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26 maggio 2021 - Interni - Italia - Panorama
C’è un varco aperto nella rotta balcanica
Il 14 ottobre si tiene a Roma il convegno “Europa: migranti e richiedenti asilo – Per una svolta di civiltà”. Fra gli organizzatori, oltre a Cgil, Cisl e Uil anche Magistratura democratica e Asgi, un’associazione di docenti, legali ed esperti, che fa di tutto per aprire le porte all’immigrazione. Sul loro sito compare il simbolo di Open society foundation, del discusso miliardario George Soros, che sostiene Asgi. La mattina del 14 ottobre prende la parola Gianfranco Schiavone, numero due dell’associazione. A Trieste è presidente della onlus Consorzio Italiano di Solidarietà, che accoglie i migranti in arrivo dalla rotta balcanica facendosi pagare dallo Stato.
Gli interventi sono tutti registrati in video. Fin dalle prime battute Schiavone si concentra sulla rotta balcanica accusando l’Italia di riammettere illegalmente in Slovenia chi arriva clandestinamente dalla Bosnia. E aggiunge: “Ci sono casi documentatissimi di tortura. Tutto è noto e avviene dentro l’Unione europea”. Ad un certo punto dichiara: “Voi direte che, vista la documentazione, prima o dopo ci sarà un giudice a Berlino”. E continua: “L’Asgi sta facendo delle azioni legali. Lo annuncio tranquillamente”. In  pratica sono state raccolte delle testimonianze dei migranti “con enorme fatica”, che denunciano pure maltrattamenti della polizia italiana durante le riammissioni in  Slovenia.
Nel pomeriggio, allo stesso convegno, dove i relatori sono presenti in sala, prende la parola l’unico magistrato fra i relatori, che guarda caso diventerà solo tre mesi dopo il famoso “giudice a Berlino” invocato da Schiavone.
Silvia Albano viene presentata come “dirigente di Magistratura democratica impegnata sia  nella battaglia culturale che nel difficile lavoro giudiziario” sui temi dei migranti. Giudice specializzata nella protezione internazionale al Tribunale di Roma esordisce spiegando che “ci troviamo sempre più in difficoltà a far vivere nella giurisdizione i diritti fondamentali soprattutto nell’epoca dei decreti sicurezza” dell’ex ministro dell’Interno, Matteo Salvini. Sul quotidiano il Manifesto, che per l’occasione pubblica un suo intervento scritto, Albano spiega: “Il testo del decreto legge di modifica dei decreti sicurezza contiene sicuramente importanti novità, ma anche molte ombre che fanno ritenere che non si tratta affatto della rivoluzione annunciata”. Non le basta l’affossamento delle norme di Salvini da parte del secondo governo Conte.
Il 18 gennaio Silvia Albano è il giudice che accoglie in pieno il ricorso contro il ministero dell’Interno di Mahmood Zeeshan presentato dagli avvocati Caterina Bove e Anna Brambilla legati all’Asgi. Il migrante pachistano sostiene, in sintesi, di essere arrivato a Trieste lungo la rotta balcanica a metà luglio dello scorso anno. Poi prelevato da agenti in borghese, maltrattato, ammanettato, nonostante volesse chiedere asilo in Italia e rispedito in Slovenia a bastonate assieme ad altri migranti.
Albano prende per oro colato la testimonianza della “vittima” riportata dalla Ong Border Violence Monitoring Network specializzata nelle denunce di maltrattamenti, che ci sono, ma soprattutto da parte della polizia croata.
Poi la giudice si spinge più in là nell’ordinanza bollando come “illegittime” le “riammissioni informali” in Slovenia. Non solo apre un varco nella rotta balcanica (lo scorso anno su oltre 6mila arrivi, 1330 migranti erano stati rimandati indietro), ma sposa perfettamente la tesi esposta da Schiavone nel convegno del 14 ottobre. E l’Asgi canta subito vittoria. La polizia viene messa in croce con grande clamore mediatico.
Albano, Magistratura democratica e Asgi sono legati da tempo. Il 12 marzo del 2019 hanno organizzato presso il tribunale di Roma, in Piazzale Clodio, un convegno su “protezione e asilo, gli obblighi dell’Italia”. Una dei relatori era Albano, che sulla sua pagina Facebook non nasconde la netta vicinanza alle Ong del mare pubblicizzando raccolte fondi a loro favore e postando articoli. Il 7 febbraio 2020 fa una donazione, lanciata da Alessandro Metz, a favore di nave Mare Jonio. Oggi Metz assieme a Luca Casarini e altri talebani dell’accoglienza è accusato dalla procura di Ragusa di favoreggiamento aggravato dell’immigrazione clandestina.
La vicenda del pachistano, però, si ribalta il 27 aprile, su ricorso del Viminale. Sempre il tribunale di Roma, ma con altri giudici, smaschera la presunta vittima della polizia italiana in stile Pinochet. La nuova ordinanza stabilisce che “non è stata fornita la prova” che il pachistano “abbia personalmente subito un respingimento informale verso la Slovenia”. E per di più vengono alla luce altre imbarazzanti verità, che dimostrano la montatura. Zeeshan, grazie alla prima sentenza di gennaio, ha ottenuto un visto dalla nostra ambasciata a Sarajevo arrivando a Milano il 9 aprile. All’aeroporto di Malpensa lo identificano e salta fuori la prima sorpresa. Le sue impronte digitale “non risultavano registrate nel sistema” si legge nella nuova ordinanza. Il pachistano potrebbe non essere mai arrivato in Italia e per di più il tribunale conferma il “dato obiettivo e difficilmente controvertibile della totale assenza di traccia alcuna del suo passaggio alle autorità italiane e quelle slovene”. Non solo: nella storiella dei maltrattamenti e diritti violati Zeeshan fa descrizioni fantasiose su luoghi e spostamenti a Trieste. Poi giura che gli avevano preso le impronte con il vecchio sistema dell’inchiostro. Peccato che dal 2016 questo metodo obsoleto è stato sostituito “da foto segnalamento con uno scanner, che non necessita di rilevamento di impronta su carta”. Ancora più grave la scoperta, grazie alla banca dati Eurodac, che il pachistano aveva presentato “una prima domanda di protezione internazionale nel luglio 2016” in Grecia. I suoi legali hanno sostenuto che era scappato dal Pakistan per  “delle persecuzioni subite a causa del proprio orientamento sessuale e dell’essersi professato ateo”, tutte da dimostrare, “un anno e mezzo prima” del presunto arrivo in Italia nel luglio 2020. In pratica si sarebbe messo in viaggio dal Pakistan a fine 2018 o inizio 2019. Oltre due anni dopo la prima richiesta di asilo in Grecia.
Il nuovo collegio, che condanna il pachistano pure al pagamento delle spese processuali, sottolinea che non è di sua competenza “l’eventuale illegittimità” dell’accordo italo-sloveno sulle riammissioni. A differenza del primo giudice pro Ong, Albano, che prendendo spunto della fantasiosa storia del migrante ha bloccato del tutto la possibilità di rimandare indietro i migranti.
Schiavone, piuttosto che chiedere scusa, contrattacca: “Non c\'è nessuna riabilitazione del comportamento della polizia, né alcuna considerazione sui respingimenti che restano infatti bloccati”. Asgi, sul sito, dove vengono puntualmente riprese le ordinanze della giudice Albano a favore dei migranti, chiede che “la magistratura italiana possa fare piena luce sui plurimi e gravi profili di illegittimità della prassi delle riammissioni informali attuate dal governo italiano”.
La replica arriva dall’assessore regionale leghista del Friuli- Venezia Giulia, Pierpaolo Roberti, che evidenzia l’aumento del 20% degli arrivi lungo la rotta balcanica rispetto allo scorso anno. Fino al primo maggio sono stati intercettati 2200 migranti e nessuno rimandato indietro. \"La bugia sui maltrattamenti altro non era che un cavallo di Troia per fermare le riammissioni in Slovenia lasciando proseguire indisturbato il giro d\'affari in mano a passeur e organizzazioni criminali” dichiara Roberti. Un rapporto sul campo della Global Initiative Against Transnational Organized Crime, organizzazione non governativa con sede a Ginevra, rivela che il giro d’affari è di 50,4 milioni di euro l’anno (leggi articolo sul sito). “Chiederemo al Governo, di ripristinare subito i respingimenti (in Slovenia nda) - dichiara Roberti - e che venga chiarito se le bugie del pakistano siano state dette in piena autonomia o suggerite da qualche abile manovratore”.
Il sottosegretario della Lega al ministero dell’Interno, Nicola Molteni, conferma che “la vicenda di Mahmood Zeeshan ha dell’incredibile. Basta gettare fango sulla nostra polizia. E’ auspicabile che il pachistano venga immediatamente espulso dall’Italia”. In realtà il Viminale neppure si era presentato in tribunale per la causa del 18 gennaio, che ha messo una pietra tombale sulle riammissioni in Slovenia grazie alla storia farlocca di Zeeshan. Il 13 gennaio il ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, stava già cedendo sulle riammissioni rispondendo in Parlamento all’offensiva politica di deputati come Erasmo Palazzotto di Leu. Allora governava ancora Conte ed il Viminale si è risvegliato per il ricorso sulla storiella del pachistano con l’esecutivo Draghi, che comprende la Lega. Il danno delle riammissioni cancellate, però, resta e pure la beffa. Asgi conferma:  “il sig. M.Z.”, che ha accusato di infondata brutalità la polizia di Trieste, “ha, potuto, comunque, esercitare il suo diritto a chiedere asilo in Italia”.
Fausto Biloslavo

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18 ottobre 2010 | La vita in diretta - Raiuno | reportage
L'Islam nelle carceri
Sono circa 10mila i detenuti musulmani nelle carceri italiane. Soprattutto marocchini, tunisini algerini, ma non manca qualche afghano o iracheno. Nella stragrande maggioranza delinquenti comuni che si aggrappano alla fede per sopravvivere dietro le sbarre. Ma il pericolo del radicalismo islamico è sempre in agguato. Circa 80 detenuti musulmani con reati di terrorismo sono stati concentrati in quattro carceri: Macomer, Asti, Benevento e Rossano. Queste immagini esclusive mostrano la preghiera verso la Mecca nella sezione di Alta sicurezza 2 del carcere sardo di Macomer. Dove sono isolati personaggi come il convertito francese Raphael Gendron arrestato a Bari nel 2008 e Adel Ben Mabrouk uno dei tre tunisini catturati in Afghanistan, internati a Guantanamo e mandati in Italia dalla Casa Bianca. “Ci insultano per provocare lo scontro dandoci dei fascisti, razzisti, servi degli americani. Una volta hanno esultato urlando Allah o Akbar, quando dei soldati italiani sono morti in un attentato in Afghanistan” denunciano gli agenti della polizia penitenziaria. Nel carcere penale di Padova sono un centinaio i detenuti comuni musulmani che seguono le regole islamiche guidati dall’Imam fai da te Enhaji Abderrahman Fra i detenuti comuni non mancano storie drammatiche di guerra come quella di un giovane iracheno raccontata dall’educatrice del carcere Cinzia Sattin, che ha l’incubo di saltare in aria come la sua famiglia a causa di un attacco suicida. L’amministrazione penitenziaria mette a disposizione degli spazi per la preghiera e fornisce il vitto halal, secondo le regole musulmane. La fede nell’Islam serve a sopportare la detenzione. Molti condannano il terrorismo, ma c’è anche dell’altro....

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03 febbraio 2012 | UnoMattina | reportage
Il naufragio di nave Concordia e l'allarme del tracciato satellitare


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14 maggio 2020 | Tg5 | reportage
Trieste, Lampedusa del Nord Est
Fausto Biloslavo TRIESTE - Il gruppetto è seduto sul bordo della strada asfaltata. Tutti maschi dai vent’anni in su, laceri, sporchi e inzuppati di pioggia sembrano sfiniti, ma chiedono subito “dov’è Trieste?”. Un chilometro più indietro passa il confine con la Slovenia. I migranti illegali sono appena arrivati, dopo giorni di marcia lungo la rotta balcanica. Non sembra il Carso triestino, ma la Bosnia nord occidentale da dove partono per arrivare a piedi in Italia. Scarpe di ginnastica, tute e qualche piumino non hanno neanche uno zainetto. Il più giovane è il capetto della decina di afghani, che abbiamo intercettato prima della polizia. Uno indossa una divisa mimetica probabilmente bosniaca, un altro ha un barbone e sguardo da talebano e la principale preoccupazione è “di non venire deportati” ovvero rimandati indietro. Non sanno che la Slovenia, causa virus, ha sospeso i respingimenti dall’Italia. Di nuovo in marcia i migranti tirano un sospiro di sollievo quando vedono un cartello stradale che indica Trieste. Il capetto alza la mano in segno di vittoria urlando da dove viene: “Afghanistan, Baghlan”, una provincia a nord di Kabul. Il 12 maggio sono arrivati in 160 in poche ore, in gran parte afghani e pachistani, il picco giornaliero dall’inizio dell’anno. La riapertura della rotta balcanica sul fronte del Nord Est è iniziata a fine aprile, in vista della fase 2 dell’emergenza virus. A Trieste sono stati rintracciati una media di 40 migranti al giorno. In Bosnia sarebbero in 7500 pronti a partire verso l’Italia. Il gruppetto di afghani viene preso in carico dai militari del reggimento Piemonte Cavalleria schierato sul confine con un centinaio di uomini per l’emergenza virus. Più avanti sullo stradone di ingresso in città, da dove si vede il capoluogo giuliano, la polizia sta intercettando altri migranti. Le volanti con il lampeggiante acceso “scortano” la colonna che si sta ingrossando con decine di giovani stanchi e affamati. Grazie ad un altoparlante viene spiegato in inglese di stare calmi e dirigersi verso il punto di raccolta sul ciglio della strada in attesa degli autobus per portarli via. Gli agenti con le mascherine controllano per prima cosa con i termometri a distanza la temperatura dei clandestini. Poi li perquisiscono uno ad uno e alla fine distribuiscono le mascherine ai migranti. Alla fine li fanno salire sugli autobus dell’azienda comunale dei trasporti cercando di non riempirli troppo per evitare focolai di contagio. “No virus, no virus” sostiene Rahibullah Sadiqi alzando i pollici verso l’alto in segno di vittoria. L’afghano è partito un anno fa dal suo paese e ha camminato per “dodici giorni dalla Bosnia, attraverso la Croazia e la Slovenia fino all’Italia”. Seduto per terra si è levato le scarpe e mostra i piedi doloranti. “I croati mi hanno rimandato indietro nove volte, ma adesso non c’era polizia e siamo passati tutti” spiega sorridendo dopo aver concluso “il gioco”, come i clandestini chiamano l’ultimo tratto della rotta balcanica. “Abbiamo registrato un crollo degli arrivi in marzo e per gran parte di aprile. Poi un’impennata alla fine dello scorso mese fino a metà maggio. L’impressione è che per i paesi della rotta balcanica nello stesso periodo sia avvenuta la fine del lockdown migratorio. In pratica hanno aperto i rubinetti per scaricare il peso dei flussi sull’Italia e sul Friuli-Venezia Giulia in particolare creando una situazione ingestibile anche dal punto di vista sanitario. E’ inaccettabile” spiega l'assessore regionale alla Sicurezza Pierpaolo Roberti, che punta il dito contro la Slovenia. Lorenzo Tamaro, responsabile provinciale del Sindacato autonomo di polizia, denuncia “la carenza d’organico davanti all’emergenza dell’arrivo in massa di immigrati clandestini. Rinnoviamo l’appello per l’invio di uomini in rinforzo alla Polizia di frontiera”. In aprile circa il 30% dei migranti che stazionavano in Serbia è entrato in Bosnia grazie alla crisi pandemica, che ha distolto uomini ed energie dal controllo dei confini. Nella Bosnia occidentale non ci sono più i campi di raccolta, ma i migranti bivaccano nei boschi e passano più facilmente in Croazia dove la polizia ha dovuto gestire l’emergenza virus e pure un terremoto. Sul Carso anche l’esercito impegnato nell’operazione Strade sicure fa il possibile per tamponare l’arrivo dei migranti intercettai pure con i droni. A Fernetti sul valico con la Slovenia hanno montato un grosso tendone mimetico dove vengono portati i nuovi arrivati per i controlli sanitari. Il personale del 118 entra con le protezioni anti virus proprio per controllare che nessuno mostri i sintomi, come febbre e tosse, di un possibile contagio. Il Sap è preoccupato per l’emergenza sanitaria: “Non abbiamo strutture idonee ad accogliere un numero così elevato di persone. Servono più ambienti per poter isolare “casi sospetti” e non mettere a rischio contagio gli operatori di Polizia. Non siamo nemmeno adeguatamente muniti di mezzi per il trasporto dei migranti con le separazioni previste dall’emergenza virus”. Gli agenti impegnati sul terreno non sono autorizzati a parlare, ma a denti stretti ammettono: “Se va avanti così, in vista della bella stagione, la rotta balcanica rischia di esplodere. Saremo travolti dai migranti”. E Trieste potrebbe trasformarsi nella Lampedusa del Nord Est.

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27 gennaio 2020 | Radio 1 Italia sotto inchiesta | intervento
Italia
Esercito e siti ebraici
Fausto Biloslavo I nostri soldati rispettano la giornata della Memoria dell’Olocausto non solo il 27 gennaio, ma tutto l’anno. L’esercito, con l’operazione Strade sicure, schiera 24 ore al giorno ben 700 uomini in difesa di 58 siti ebraici sul territorio nazionale. Tutti obiettivi sensibili per possibile attentati oppure oltraggi anti semiti. “Per ora non è mai accaduto nulla anche grazie alla presenza dei militari, che serve da deterrenza e non solo. Il senso di sicurezza ha evitato episodi di odio e minacce ripetute come in Francia, che rischiano di provocare un esodo della comunità ebraica” spiega una fonte militare de il Giornale. I soldati, che si sono fatti le ossa all’estero, sorvegliano, quasi sempre con presidi fissi, 32 sinagoghe o tempi ebraici, 9 scuole, 4 musei e altri 13 siti distribuiti in tutta Italia, ma soprattutto al nord e al centro. La città con il più alto numero di obiettivi sensibili, il 41%, è Milano. Non a caso il comandante del raggruppamento di Strade sicure, come in altre città, è ufficialmente invitato alle celebrazioni del 27 gennaio, giorno della Memoria. Lo scorso anno, in occasione dell’anniversario della nascita dello Stato di Israele, il rappresentante della comunità ebraica di Livorno, Vittorio Mosseri, ha consegnato una targa al comandante dei paracadustisti. “Alla brigata Folgore con stima e gratitudine per il servizio di sicurezza prestato nell’ambito dell’operazione Strade sicure contribuendo con attenzione e professionalità al sereno svolgimento delle attività della nostro comunità” il testo inciso sulla targa. In questi tempi di spauracchi anti semiti l’esercito difende i siti ebraici in Italia con un numero di uomini praticamente equivalente a quello dispiegato in Afghanistan nel fortino di Herat. Grazie ad un’esperienza acquisita all’estero nella protezione delle minoranze religiose, come l’antico monastero serbo ortodosso di Decani in Kosovo. “In ogni città dove è presente la comunità ebraica esiste un responsabile della sicurezza, un professionista che collabora con le forze dell’ordine ed i militari per coordinare al meglio la vigilanza” spiega la fonte del Giornale. Una specie di “assessore” alla sicurezza, che organizza anche il sistema di sorveglianza elettronica con telecamere e sistemi anti intrusione di avanguardia su ogni sito. Non solo: se in zona appare un simbolo o una scritta anti semita, soprattuto in arabo, viene subito segnalata, fotografata, analizzata e tradotta. “I livelli di allerta talvolta si innalzano in base alla situazione internazionale” osserva la fonte militare. L’ultimo allarme ha riguardato i venti di guerra fra Iran e Stati Uniti in seguito all’eliminazione del generale Qassem Soleimani. Roma è la seconda città per siti ebraici presidiati dai militari compresi asili, scuole e oratori. Le sinagoghe sono sorvegliate pure a Napoli, Verona, Trieste e quando necessario vengono disposte le barriere di cemento per evitare attacchi con mezzi minati o utilizzati come arieti. A Venezia i soldati garantiscono la sicurezza dello storico ghetto. A Livorno e in altre città sono controllati anche i cimiteri ebraici. Una residenza per anziani legata alla comunità è pure nella lista dei siti protetti a Milano. Ed i militari di Strade sicure nel capoluogo lombardo non perdono d’occhio il memoriale della Shoah, lo sterminio degli ebrei voluto da Hitler.

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03 giugno 2019 | Radio Scarp | intervento
Italia
Professione Reporter di Guerra


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03 gennaio 2011 | Radio Capodistria - Storie di bipedi | intervento
Italia
Gli occhi della guerra
Le orbite rossastre di un bambino soldato, lo sguardo terrorizzato di un prigioniero che attende il plotone di esecuzione, l’ultimo rigagnolo di vita nelle pupille di un ferito sono gli occhi della guerra incrociati in tanti reportage di prima linea. Dopo l’esposizione in una dozzina di città la mostra fotografica “Gli occhi della guerra” è stata inaugurata a Trieste. Una collezione di immagini forti scattate in 25 anni di reportage da Fausto Biloslavo, Gian Micalessin e Almerigo Grilz, ucciso il 19 maggio 1987 in Mozambico, mentre filmava uno scontro a fuoco. La mostra, che rimarrà aperta al pubblico fino al 20 gennaio, è organizzata dall’associazione Hobbit e finanziata dalla regione Friuli-Venezia Giulia. L’esposizione è dedicata a Grilz e a tutti i giornalisti caduti in prima linea. Il prossimo marzo verrà ospitata a Bruxelles presso il parlamento europeo.Della storia dell'Albatross press agency,della mostra e del libro fotografico Gli occhi della guerra ne parlo a Radio Capodistria con Andro Merkù.

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25 maggio 2010 | Spazio Radio - Radio 1 | intervento
Italia
L'Islam nelle carceri italiane
In Italia su oltre 23mila detenuti stranieri, 9840 risultano musulmani, secondo i dati ufficiali. Almeno seimila, però, non si sono dichiarati. Il rapporto di 364 pagine, “La radicalizzazione jihadista nelle istituzioni penitenziarie europee”, realizzato dall’esperto di Islam nella carceri, Sergio Bianchi, ne indica 13mila.
In Italia ci sono circa 80 islamici dietro le sbarre per reati connessi al terrorismo. Dal 2009 li hanno concentrati in quattro istituti di pena: ad Asti, Macomer, Benevento e Rossano. Nel carcere di Opera, invece, sono arrivati Adel Ben Mabrouk, Nasri Riadh e Moez Abdel Qader Fezzani, ex prigionieri di Guantanamo. Chi li controlla ogni giorno racconta che parlano in italiano. La guerra santa in Afghanistan l’hanno abbracciata dopo aver vissuto come extracomunicatori nel nostro paese. Non si possono incontrare fra loro e vivono in celle singole. Pregano regolarmente con molta devozione e hanno mantenuto i barboni islamici.

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20 giugno 2017 | WDR | intervento
Italia
Più cittadini italiani con lo ius soli
Estendere la cittadinanza italiana ai bambini figli di stranieri? È la proposta di legge in discussione in Senato in questi giorni. Abbiamo sentito favorevoli e contrari.

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