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Articolo
08 giugno 2021 - Il fatto - Italia - Il Giornale |
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| Le “Saman” d’Italia sono più di duemila l’anno Le nozze combinate business gestito da donne |
«Sposati con chi dico io o t\'ammazzo» è la follia di un padre padrone pachistano venuta alla luce a Viareggio lo scorso settembre, prima della scomparsa di Saman. La figlia minorenne di 15 anni era stata minacciata con un coltello dal genitore che voleva darla in sposa a un cinquantenne. La madre intervenuta per difenderla è rimasta ferita, ma la ragazzina è riuscita a chiamare le forze dell\'ordine evitando una tragedia. Le giovani musulmane in Italia costrette a sposarsi nei paesi d\'origine sarebbero duemila l\'anno, ma rappresentano solo la punta di un iceberg. Le Saman d\'Italia, che si sottomettono con le buone o le cattive, sono molte di più. Si teme che i matrimoni combinati o imposti siano il 20% delle unioni delle comunità islamiche in Italia. Il fenomeno è «normale» soprattutto fra i pachistani dove è più accentuato e potrebbe arrivare all\'80% dei casi. Anche marocchini ed egiziani propendono per il matrimonio imposto dai genitori. E pure gli indiani, in gran parte non musulmani, seguono questa linea. Solo in Emilia Romagna, dove viveva Saman, si registrano un centinaio di segnalazioni all\'anno di ragazze musulmane che subiscono dalla famiglia sottomissione, pressione psicologica o violenza fisica, compresi matrimoni imposti. «Per quanto sia nata qui, se i genitori sono chiusi mentalmente, ciao!» spiegava N., una ragazza italo tunisina intervistata per una ricerca sull\'integrazione e l\'estremismo in Italia. Una delle storie più clamorose, per fortuna a lieto fine, è quella di Farah. Oggi fa la cameriera, vive come vuole ed è ritornata a Verona. Nel 2018 aspetta un bambino dal fidanzato italiano, per di più cristiano. La famiglia non ne vuole sapere e con un tranello la riporta in Pakistan dove il padre la riempie di botte e la madre la fa abortire per imporle un matrimonio con un parente. Lei riesce a contattare l\'Italia, che interviene con l\'ambasciata e la fa liberare. Un anno prima una minorenne egiziana ha tentato il suicidio per scampare alle nozze imposte dai genitori in Egitto con un uomo di dieci anni più grande. «Il matrimonio combinato può essere uno strumento per aggirare i limiti posti dalle quote ed entrare in Italia grazie al ricongiungimento familiare» aveva evidenziato Mara Tognetti, sociologa, che ha realizzato una delle prime ricerche sul tema. Si organizzano le nozze per procura, talvolta con un parente, come un cugino, che vuole venire in Italia. Una volta sposati il consorte rimasto in Pakistan, Marocco o Egitto chiede il ricongiungimento familiare e il permesso di soggiorno. Noorshen spiega che «il promesso sposo può venire in Italia grazie a noi. Un visto per l\'Europa è una dote non da poco». E un affare per la famiglia della sposa. Il matrimonio forzato è un business solitamente gestito dalle donne della famiglia. Oltre alle tradizioni e al Corano le madri stanno molto attente alla dote, che si stabilisce prima e si quantifica spesso con regali in oro. Spesso le giovani nate in Italia si piegano cercando un compromesso per evitare guai peggiori chiedendo in cambio di scegliere fra più pretendenti o di continuare gli studi. Una ragazza marocchina di Milano ammette: «Ho accettato la richiesta di papà, sposerò un uomo del mio Paese. Però ho chiesto di poter scegliere tra più di un possibile marito, di vederne almeno tre o quattro». |
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05 febbraio 2015 | Porta a Porta | reportage
IN RICORDO DELLE FOIBE E L'ESODO LA PUNTATA DI PORTA A PORTA
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21 settembre 2012 | La Vita in Diretta | reportage
Islam in Italia e non solo. Preconcetti, paure e pericoli
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26 agosto 2023 | Tgcom24 | reportage
Emergenza migranti
Idee chiare sulla crisi dagli sbarchi alla rotta balcanica.
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25 maggio 2010 | Spazio Radio - Radio 1 | intervento |
Italia
L'Islam nelle carceri italiane
In Italia su oltre 23mila detenuti stranieri, 9840 risultano musulmani, secondo i dati ufficiali. Almeno seimila, però, non si sono dichiarati. Il rapporto di 364 pagine, “La radicalizzazione jihadista nelle istituzioni penitenziarie europee”, realizzato dall’esperto di Islam nella carceri, Sergio Bianchi, ne indica 13mila.
In Italia ci sono circa 80 islamici dietro le sbarre per reati connessi al terrorismo. Dal 2009 li hanno concentrati in quattro istituti di pena: ad Asti, Macomer, Benevento e Rossano. Nel carcere di Opera, invece, sono arrivati Adel Ben Mabrouk, Nasri Riadh e Moez Abdel Qader Fezzani, ex prigionieri di Guantanamo. Chi li controlla ogni giorno racconta che parlano in italiano. La guerra santa in Afghanistan l’hanno abbracciata dopo aver vissuto come extracomunicatori nel nostro paese. Non si possono incontrare fra loro e vivono in celle singole. Pregano regolarmente con molta devozione e hanno mantenuto i barboni islamici.
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03 gennaio 2011 | Radio Capodistria - Storie di bipedi | intervento |
Italia
Gli occhi della guerra
Le orbite rossastre di un bambino soldato, lo sguardo terrorizzato di un prigioniero che attende il plotone di esecuzione, l’ultimo rigagnolo di vita nelle pupille di un ferito sono gli occhi della guerra incrociati in tanti reportage di prima linea.
Dopo l’esposizione in una dozzina di città la mostra fotografica “Gli occhi della guerra” è stata inaugurata a Trieste. Una collezione di immagini forti scattate in 25 anni di reportage da Fausto Biloslavo, Gian Micalessin e Almerigo Grilz, ucciso il 19 maggio 1987 in Mozambico, mentre filmava uno scontro a fuoco. La mostra, che rimarrà aperta al pubblico fino al 20 gennaio, è organizzata dall’associazione Hobbit e finanziata dalla regione Friuli-Venezia Giulia. L’esposizione è dedicata a Grilz e a tutti i giornalisti caduti in prima linea. Il prossimo marzo verrà ospitata a Bruxelles presso il parlamento europeo.Della storia dell'Albatross press agency,della mostra e del libro fotografico Gli occhi della guerra ne parlo a Radio Capodistria con Andro Merkù.
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06 settembre 2018 | Radio immaginaria | intervento |
Italia
Teen Parade
Gli adolescenti mi intervistano sulla passione per i reportage di guerra
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24 maggio 2010 | Radio Padania Libera | intervento |
Italia
Proselitismo islamico dietro le sbarre
“Penso che sia giusto se alcuni musulmani combattono la guerra santa contro gli americani in paesi che non sono la loro terra”. Dopo un lungo girarci attorno Kamel Adid sorprende un po’ tutti, quando sputa il rospo. La domanda riguardava i mujaheddin, i musulmani pronti a morire per Allah, contro l’invasore infedele. Tre soldati della guerra santa, arrivati un paio di mesi fa da Guantanamo, sono rinchiusi poco più in là, nel reparto di massima sicurezza del carcere di Opera, alle porte di Milano.
Adid è un giovane marocchino di 31 anni con barbetta islamica d’ordinanza e tunica color noce. Nel carcere modello di Opera fa l’imam dei 44 musulmani detenuti, che frequentano una grande sala adibita a moschea. Un predicatore fai da te, che di solito parla un linguaggio moderato e ti guarda con occhioni apparentemente timidi.
Deve scontare ancora due mesi di pena per un reato legato alla droga e da pochi giorni è stato trasferito in un altro istituto. “Quelli che si fanno saltare in aria subiscono il lavaggio del cervello – si affretta a spiegare l’autonominato imam – Noi abbiamo riscoperto la fede in carcere. Pregare ci da conforto, ci aiuta ad avere speranza”.
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03 giugno 2019 | Radio Scarp | intervento |
Italia
Professione Reporter di Guerra
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