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Editoriale
09 giugno 2021 - Prima - Afghanistan - Il Giornale
Non abbiamo vinto E’ il nostro Vietnam
In Afghanistan non abbiamo vinto e l\\\'ammaina bandiera ad Herat assomiglia molto ad una sconfitta semi nascosta e mascherata da orgogliosi discorsi ufficiali. La realtà sul terreno è che, nel solo mese di maggio, 26 fra avamposti e basi delle forze di sicurezza afghane, in quattro province, si sono semplicemente arresi ai talebani. Gli insorti jihadisti minacciano 17 dei 34 capoluoghi afghani e sono ben attestati a 50 chilometri da Kabul, nella provincia di Wardak, la porta d\\\'ingresso della capitale. Nel 2014, quando la Nato aveva deciso di passare il testimone della sicurezza agli afghani, nessun capoluogo era sotto tiro. Solo negli ultimi tre anni i talebani hanno conquistato il doppio dei distretti (88) e contestano la presenza governativa in altri 213. Secondo alcune stime gli eredi di mullah Omar controllano già il 60% del territorio a parte le grandi città.
All\\\'ammaina bandiera ad Herat è stato giustamente ricordato il sacrificio dei 53 caduti italiani e di 700 feriti, ma abbiamo sempre relegato in secondo piano le medaglie dei tanti episodi di coraggio ed eroismo dei nostri soldati. Piccole e grandi vittorie nelle battaglie contro i talebani, che stonano, però, con la litania della missione di pace propinata dalla politica di tutti i governi. Per tanto tempo la Difesa ha anche «ridotto» il numero dei feriti d\\\'Italia circoscrivendolo ai circa 150 casi più gravi, altrimenti (...)
(...) sarebbe stato ancora più chiaro che in 20 anni abbiamo combattuto pure una guerra e non solo portato caramelle ai bambini. Le meritate decorazioni vengono assegnate lontano dai riflettori, senza alcuna enfasi, e per portarle agli onori della cronaca bisogna andarle a cercare con il lanternino.
L\\\'ultimo caso «scovato» da PerseoNews e ripreso da Analisi difesa è l\\\'onorificenza concessa al caporale maggiore Diego Magno Massotti del 66° Reggimento fanteria aeromobile Trieste.
La medaglia è stata consegnata il 2 giugno, festa della Repubblica, in prefettura a Forlì senza fare troppa pubblicità, come per dozzine di decorazioni al valore. Pure le motivazioni subiscono l\\\'influenza del «politicamente corretto».
Il coraggioso mitragliere di un blindato Lince ha risposto al fuoco «di un elemento ostile», che non abbiamo mai il coraggio di chiamare con il suo nome, «nemico» e nemmeno talebano.
Alla fine in un fuoco d\\\'inferno di razzi anticarro e armi automatiche il decorato «neutralizzava la minaccia» perché anche solo il termine «eliminare» chi ti spara addosso è un tabù. I soldati italiani, nelle tante battaglie degli ultimi vent\\\'anni, hanno ammazzato forse migliaia di talebani, ma guai a farlo sapere fino in fondo.
L\\\'atto di coraggio del caporale maggiore Massotti risale al 2 gennaio 2019.
Nei comunicati dai teatri operativi di allora, come ricorda Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi difesa, non c\\\'era una solo riga sullo scontro a fuoco, come di tanti altri prima.
Piuttosto che accendere i riflettori sulle piccole e grandi vittorie in combattimento abbiamo sempre preferito mandare in diretta il ritorno delle bare dei caduti avvolte dal Tricolore, che oggi più che mai suonano come simbolo di una missione incompiuta, se non una sconfitta annunciata.
L\\\'Afghanistan è stato nei secoli la tomba degli imperi, ma forse la guerra potevamo vincerla se i militari non fossero stati costretti a combattere con una mano legata dietro la schiena per colpa dei pruriti e timori politici. Alla fine la ritirata suonata dagli americani ci impone anche una smobilitazione frettolosa entro le fine di luglio, ma proprio da Washington, il repubblicano Michael McCaul, presidente della Commissione Esteri del Congresso, evoca lo spettro del Vietnam: «Non possiamo permetterci che l\\\'Afghanistan sia un\\\'altra Saigon».
L\\\'11 settembre, la data di fine missione scelta dal presidente Joe Biden, è già un tragico paradosso.
Nel 2001 i B-52 incenerivano i campi di Al Qaida assieme al regime di mullah Omar e aprivano la strada al lungo intervento occidentale con il Tricolore che prima sventolava a Kabul e poi ad Herat. Per l\\\'11 settembre di vent\\\'anni dopo i talebani stanno preparando la parata della vittoria.
Fausto Biloslavo
[continua]

video
17 novembre 2001 | TG5 - Canale5 | reportage
La caccia ai terroristi ucciso Mohammed Atef
La caccia ai terroristi ucciso Mohammed Atef

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20 maggio 2010 | Rai 1 Mattina | reportage
L'ultimo addio ai caduti
I funerali di stato, a Roma per il sergente Massimiliano Ramadù ed il caporal maggiore Luigi Pascazio. La mattina del 17 maggio sono saltati in aria su una trappola esplosiva lungo la “strada maledetta”. Una pista in mezzo alle montagne di sabbia che porta da Herat, il capoluogo dell’Afghanistan occidentale, a Bala Murghab, dove i soldati italiani tengono con le unghie e con i denti una base avanzata. I caduti fanno parte del 32° reggimento genio guastatori della brigata Taurinense.
Il racconto di come vivono e combattono i nostri soldati in Afgahnistan.

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27 novembre 2001 | TG5 - Canale 5 | reportage
La caduta di Kunduz
La caduta di Kunduz

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[altri video]
radio

27 maggio 2008 | Radio R101 TGcom | intervento
Afghanistan
I soldati italiani in Afghanistan potranno combattere
Il governo italiano ha annunciato il cambiamento dei caveat, gli ordini nazionali che limitano gli interventi del nostro contingente in Afghanistan. La zona a sud della cosiddetta "cintura" pasthun, il serbatoio etnico dei talebani, è la più calda. I soldati italiani potrebbero essere chiamati ad intervenire in quest'area.

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08 agosto 2008 | Radio24 | reportage
Afghanistan
Taccuino di guerra - Cowboy road la strada dei kamikaze
Afghanistan, un'estate in trincea. In prima linea con i marines

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20 agosto 2009 | Radio24 | reportage
Afghanistan
Al fronte con gli italiani/ Alle urne fra minacce talebane e presunti brogli
Si parte all’alba da base Tobruk, con i paracadutisti della Folgore, per garantire la sicurezza delle elezioni presidenziali in Afghanistan nella turbolenta provincia di Farah. Nel distretto di Bala Baluk, infestato dai talebani, sono aperti 5 seggi su 30. I parà della 6° compagnia Grifi, dislocati nei punti nevralgici, sono pronti ad intervenire per difendere le urne. Gli insorti hanno proclamato una specie di coprifuoco contro le elezioni “degli infedeli che occupano il paese”. Chi va ai seggi a queste parti rischia la pelle ancora prima di arrivarci. Con dei volantini affissi nelle moschee l’emirato talebano ha minacciato “di piazzare mine sulle strade principali”. I terroristi suicidi si sono inventati nuove tattiche come spiega prima di partire il tenente dei paracadutisti Alessandro Capone. L’elezione del nuovo presidente afghano e dei consigli provinciali nelle zone a rischio come questa di Bala Baluk è un terno al lotto. Nell'umile e polveroso villaggio di Sharak, le 40 famiglie che ci abitano avevano ricevuto solo 8 certificati elettorali. "E' passato il comandante Zabid Jalil e gli abbiamo consegnato le schede. Ha detto che ci pensa lui a scegliere il presidente. Meglio così: se i talebani le trovavano ci avrebbero ammazzato" racconta haji Nabu, il capo villaggio. Jalil è il boss della tribù e ha pure i gradi di generale della polizia. Un esempio di "democrazia" all'afghana.

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12 settembre 2002 | Radio 24 Nove in punto | reportage
Afghanistan
Afghanistan un anno dopo/3
Un anno dopo l'11 settembre ed il crollo dei talebani il problema delle coltivazioni di papavero e del traffico di oppio

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12 settembre 2002 | Radio 24 Nove in punto | reportage
Afghanistan
Afghanistan un anno dopo/2
Un anno dopo l'11 settembre ed il crollo dei talebani la caccia ad Osama Bin Laden continua

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