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07 agosto 2021 - Attualità - Afghanistan - Il Giornale
I talebani conquistano la prima città capoluogo “Italiani, salvateci voi”
I talebani conquistano il primo capoluogo provinciale, Zaranj, a Nimroz, città di 50mila abitanti vicina al confine iraniano. E ieri mattina, poche ore prima, un nostro ex interprete che ha lavorato con i carabinieri, mandava un drammatico messaggio di posta elettronica all\'ambasciata italiana a Kabul. «La mia vita è in grave pericolo - scrive Mohammed, nome di fantasia che usiamo per non rivelare le sue generalità - (I talebani) stanno sistematicamente cercando persone associate alle forze della coalizione e che lavorano con il governo dell\'Afghanistan. Ed essendo un ex interprete, sono sicuro che se continua così mi troveranno e decapiteranno davanti alla mia famiglia». L\'afghano ha lavorato per gli italiani nella base di Adrashkan e ricorda «quando un carabiniere è rimasto ucciso da un\'esplosione». Il messaggio di posta elettronica, inviato in copia a chi scrive, si conclude con un disperato appello: Spero che il governo, il Parlamento e l\'ambasciata italiana a Kabul intraprendano un\'azione umanitaria nei miei confronti, la mia famiglia e ci includano nei loro futuri voli di evacuazione in modo che possiamo vivere pacificamente in Italia. Venti giorni fa aveva ricevuto una richiesta di ulteriori informazioni, dopo la prima domanda di aiuto di mesi prima, poi buio fitto. Ieri il ministero della Difesa ha fatto sapere che sta procedendo la fase due dell\'operazione Aquila, che prevede l\'evacuazione di 81 nuclei familiari di nostri collaboratori afghani per un totale di 390 persone. Però rimangono ancora in attesa 300 richieste giunte all\'ambasciata, che spesso cozzano con lentezze e ostacoli burocratici. Fra queste c\'è il caso di Mohammed, che il Giornale ha raggiunto al telefono: Ho appena sentito una fortissima esplosione. Mia moglie è scoppiata a piangere e stringe i bambini. I talebani hanno il controllo della città (Zaraj nda) e non sappiamo come scappare. Purtroppo dall\'ambasciata non ci hanno mai dato una risposta positiva sull\'evacauzione. E adesso siamo intrappolati».
L\'ex ministro Paolo Romani, di Coraggio Italia, ha ribadito che «serve immediata una missione di recupero di tutti gli afgani che hanno collaborato con il contingente italiano e che oggi sono in serio pericolo di vita a causa dell\'avanzata dei talebani».
Il governo di Kabul sostiene che a Zaraj si combatte ancora, ma sembra proprio che gli insorti abbiano messo a segno il colpo simbolico e propagandistico della conquista del primo capoluogo provinciale.
Altre città sono sotto attacco come Herat. Kandahar e Lashkar Gah, dove l\'ospedale di Emergency rischia di venire colpito negli scontri. «I combattimenti sono proprio qui fuori e abbiamo dovuto spostare i pazienti nelle aree più protette dell\'ospedale, lontano dalle finestre» lancia l\'allarme Victor Urosevic, coordinatore medico. In prima linea c\'è anche la volontaria italiana Leila Borsa. Emergency sta facendo circolare un volantino con la foto aerea dell\'ospedale per evitare che venga colpito dai combattimenti.
A Kabul è stato ucciso Dawa Khan Menapal, responsabile per i media e l\'informazione del governo. Il portavoce dei talebani, Zabihullah Mujahid, ha rivendicato «l\'attacco speciale effettuato dai mujaheddin». Gli insorti stanno lanciando in parallelo all\'offensiva sulle città una campagna di omicidi mirati, dietro le linee, in stile Brigate rosse. Il 4 agosto hanno cercato di uccidere nella capitale il ministro della Difesa, Bismillah Khan Mohammadi. A Kandahar i talebani hanno «giustiziato» in casa diversi funzionari governativi. E prestano particolare attenzione alle stazioni radio o tv che occupano nell\'avanzata. Se ci sono donne le cacciano e nel sud hanno già trasformato un\'emittente radiofonica in radio Sharia, la dura legge del Corano.
[continua]

video
01 ottobre 2019 | Tg4 | reportage
I talebani alle porte di Kabul
GUERRA ALLE PORTE DI KABUL A Maidan Shahr, cinquanta chilometri da Kabul, la guerra con i talebani è senza esclusione di colpi L’artiglieria di fabbricazione russa dell’esercito afghano martella le postazioni dei talebani che controllano l’entroterra Il comandante della quarta brigata spiega che è stata individuata una base del nemico, dushman ed i suoi esploratori confermano via radio che l’obiettivo è stato centrato e distrutto Non è semplice per gli occidentali arrivare a Maidan Shahr Nel capoluogo provinciale la polizia ci porta subito in un’operazione notturna Un avamposto governativo è sotto attacco e ha bisogno di fuoco di copertura Il generale che comanda la polizia del Wardak sostiene con orgoglio che i suoi uomini hanno eliminato 540 talebani negli ultimi sette mesi I numeri vanno presi con le pinze, ma anche l’esercito vuole farsi vedere attivo Il comandate intercetta le comunicazioni radio del nemico e ci scorta fino sulla prima linea appena a dieci chilometri da Maidan Shahr I governativi controllano il capoluogo e a malapena l’autostrada numero 1 I blindati avanzano e pochi minuti dopo arrivano i primi colpi Queste sono le immagini di un altro scontro il giorno prima La provincia di Wardak è la porta d’ingresso di Kabul infestata dai talebani

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25 novembre 2001 | TG5 - Canale 5 e Studio Aperto - Italia 1 | reportage
Il futuro governo dell'Afghanistan
Il futuro governo dell'Afghanistan

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27 novembre 2001 | TG5 - Canale 5 | reportage
La caduta di Kunduz
La caduta di Kunduz

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radio

14 agosto 2009 | Radio24 | reportage
Afghanistan
Al fronte con gli italiani / Trappola esplosiva per i parà
SHEWAN - Il fumo nero e lugubre si alza in un istante per una quindicina di metri. “Attenzione Ied alla testa del convoglio” lanciano subito l’allarme per radio i paracadutisti della Folgore in uno dei blindati più vicini all’esplosione. La tensione è alle stelle. La trappola esplosiva, chiamata in gergo Ied, era nascosta sulla strada. I parà che spuntano della botola dei mezzi puntano le mitragliatrice pesanti verso le casupole di Shewan, roccaforte dei talebani. La striscia d’asfalto che stiamo percorrendo è la famigerata 517, soprannominata l’autostrada per l’inferno. Il convoglio composto da soldati italiani, americani e poliziotti afghani scorta due camion con il materiale elettorale per le presidenziali del 20 agosto. I talebani di Shewan da giorni annunciano con gli altoparlanti delle moschee che i veri fedeli dell’Islam non devono andare alle urne. Chi sgarra rischia di venir sgozzato o quantomeno di vedersi tagliare il dito, che sarà segnato con l’inchiostro indelebile per evitare che lo stesso elettore voti più volte. La colonna è partita alle 13.30 da Farah (Afghanistan sud occidentale) per portare urne, schede e altro materiale elettorale nel distretto a rischio di Bala Baluk. Novanta chilometri di paura, con i talebani che attendono i convogli come avvoltoi. Prima ancora di arrivare nell’area “calda” di Shewan giungevano segnalazioni di insorti in avvicinamento verso il convoglio. Li hanno visti i piloti degli elicotteri d’attacco Mangusta giunti in appoggio dal cielo. Ad un certo punto la strada si infila fra quattro casupole in fango e paglia, dove i civili afghani sembrano scomparsi da un momento all’altro. I talebani avevano già colpito e dato alle fiamme due cisterne afghane ed un camion che trasportava un’ambulanza. Le carcasse fumanti che superiamo sono la prima avvisaglia che ci aspettano. Nel blindato Lince del tenente Alessandro Capone, 30 anni, romano, comandante del primo plotone Nembo, i parà sono pronti al peggio. La trappola esplosiva ha colpito un Coguar americano, all’inizio della colonna con l’obiettivo di immobilizzarlo e bloccare tutto il convoglio. Invece il mezzo anti mina resiste e prosegue senza registrare feriti a bordo. Sui tetti delle casupole stanno cercando riparo alcuni soldati dell’esercito afghano. “L’Ana (le forze armate di Kabul nda) ha visto qualcosa” urla il parà che spunta dalla botola del Lince. Tutti hanno il dito sul grilletto e ci si aspetta un’imboscata in piena regola dopo lo scoppio dell’Ied. Invece la coppia di elicotteri Mangusta che svolazzano bassi su Shewan consigliano i talebani di tenere giù la testa. L’attacco è fallito. Il materiale elettorale un’ora dopo arriva destinazione, ma la battaglia per le elezioni in Afghanistan continua.

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22 agosto 2008 | Radio24 | intervento
Afghanistan
Raid americano polverizza un villaggio nella provincia di Herat
Afghanistan, un'estate in trincea.

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12 novembre 2001 | Radio 24 Gr | reportage
Afghanistan
Il crollo dei talebani - L'attacco su Kabul
In prima linea in Afghanistan dopo l'11 settembre. L'attacco su Kabul alle prima ore dell'alba con il sottofondo dei razzi terra terra lanciati dai mujaheddin sulle linee talebane a nord della capitale

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23 agosto 2008 | Radio24 | intervento
Afghanistan
Strage di civili
Afghanistan, un'estate in trincea.

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20 ottobre 2009 | SBS Radio Italian Language Programme | intervento
Afghanistan
Gli italiani pagano i talebani?
Mazzette ai talebani, pagati dai servizi segreti italiani in Afghanistan, che sarebbero costate la vita a dieci soldati francesi fatti a pezzi in un’imboscata lo scorso anno. Un’accusa infamante lanciata ieri dalle colonne del blasonato Times di Londra, con un articolo che fa acqua da tutte le parti. “Spazzatura” l’ha bollato il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, che ha dato mandato di querelare il quotidiano britannico. Secondo il Times la nostra intelligence avrebbe pagato “decine di migliaia di dollari i comandanti talebani e signori della guerra locali per mantenere tranquilla” l’area di Surobi, 70 chilometri a Sud Est di Kabul. Dal dicembre 2007 al luglio 2009, poco meno di duecento soldati italiani, tenevano base Tora un avamposto nell’Afghanistan orientale. L’obiettivo dei pagamenti era di evitare gli attacchi agli italiani e vittime “che avrebbero provocato difficoltà politiche in patria”. Invece ci sono stati ben otto combattimenti con un morto e cinque feriti fra le nostre forze e quelle afghane. Il 13 febbraio, nella famigerata valle di Uzbin, roccaforte talebana, è stato ucciso il maresciallo Giovanni Pezzulo. Il Times sbaglia anche la data della sua morte scrivendo che era caduto nel 2007. Per il valore dimostrato quel giorno il milanese Davide Lunetta, sergente del 4° Reggimento alpini paracadutisti, è stato premiato dalla Nato come sottufficiale dell’anno. Il 3 novembre verrà decorato al Quirinale. In un’altra battaglia i ranger di Bolzano hanno salvato dalle grinfie talebane la preziosa tecnologia di un aereo senza pilota Usa precipitato. Il 3 febbraio era finito in un’imboscata, durante un’ispezione nell’area di Surobi, il generale degli alpini Alberto Primicerj. Alla faccia della zona tranquilla, descritta dal Times, grazie alle mazzette pagate dai nostri servizi. Non solo: la task force Surobi ha sequestrato in un centinaio di arsenali nascosti e quintali di droga. In una nota palazzo Chigi sottolinea che "il governo non ha mai autorizzato nè consentito alcuna forma di pagamento di somme di danaro in favore di membri dell'insorgenza di matrice talebana in Afghanistan, nè ha cognizione di simili iniziative attuate dal precedente governo". Sul Times è relegato in una riga, verso la fine, un aspetto non di poco conto. Il centro destra ha vinto le elezioni nell’aprile del 2008 ed il governo si è insediato l’8 maggio. Fino a quel giorno governava Romano Prodi e gli ordini per l’Afghanistan arrivavano dal ministro della Difesa Arturo Parisi. Secondo il Times l’intelligence italiana “avrebbe nascosto” ai francesi, che nell’agosto 2008 ci hanno dato il cambio, il pagamento dei talebani. L’accusa più infamante è che per questa omissione siano finiti in un’ imboscata dieci militari d’Oltralpe massacrati il 18 agosto nella famigerata valle di Uzbin. Ieri l’ammiraglio Christophe Prazuck, portavoce dello stato maggiore francese, ha bollato come “infondato” l’articolo del Times. Anche la Nato ha smentito. In realtà gli alleati conoscevano benissimo la situazione a Surobi. Agli inizi di agosto del 2008, in occasione del passaggio di consegne, gli ufficiali d’Oltralpe sono stati informati dai nostri di “prestare particolare attenzione alla valle di Uzbin” la zona più pericolosa di Surobi. Il Times sostiene che gli uomini dell’intelligence americana “rimasero allibiti quando scoprirono, attraverso intercettazioni telefoniche, che gli italiani avevano “comprato” i militanti anche nella provincia di Herat". A tal punto che il loro rappresentante a Roma, nel giugno 2008, avrebbe protestato con il governo Berlusconi. Palazzo Chigi “esclude che l’ambasciatore degli Stati Uniti (allora Ronald Spogli) abbia inoltrato un formale reclamo in relazione a ipotetici pagamenti" ai talebani. Invece gli americani lodavano il lavoro degli italiani a cominciare dal generale americano Dan McNeill, comandante della Nato a Kabul. Il Times non sa che esiste un documento classificato della Nato dove il caso Surobi viene indicato come modello di successo da replicare. E la firma è proprio di un ufficiale britannico. Il compito delle barbe finte italiane a Surobi era di “facilitare” la sicurezza del contingente. Per farlo dovevano ottenere informazioni, che vengono pagate perché in Afghanistan non basta una pacca sulla spalla. Tutti i servizi alleati lo fanno. Da questo ce ne vuole di inventiva per sostenere che davamo mazzette ai talebani e che farlo di nascosto ha provocato la morte dei poveri soldati francesi. Non solo: al posto dei dollari la task force Surobi ha utilizzato un altro sistema. Portavano un ingegnere per costruire un pozzo, i viveri a dorso di mulo nei villaggi isolati dalla neve, oppure costruivano un piccolo pronto soccorso o una scuola. In cambio arrivavano le informazioni sugli arsenali nascosti o le trappole esplosive.

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