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Editoriale
14 agosto 2021 - Prima - Afghanistan - Il Giornale
Caro Presidente adesso salviamo i nostri interpreti
C aro Presidente Draghi, ci appelliamo a lei che è persona seria e pragmatica a nome di tutti i nostri ex collaboratori in Afghanistan che rischiano di rimanere indietro, di non venire portati in salvo in Italia, nonostante le promesse. E di finire nelle grinfie dei talebani, che avanzano in tutto il Paese. Se anche solo a uno degli afghani, che sono stati spalla a spalla con i nostri soldati per vent\\\'anni, capitasse qualcosa l\\\'Italia si meriterebbe la medaglia della vergogna e del disonore. Il Giornale si è fatto paladino di questa giusta causa da mesi, voce quasi isolata nel panorama mediatico a parte qualche rara eccezione. Dopo la caduta di Herat delle ultime ore, decine di interpreti sono stati tagliati fuori e colti dalla disperazione. Molti sono scoppiati a piangere davanti a mogli e figli, che si rendono conto come il capo famiglia possa venire decapitato dai talebani in qualsiasi momento come (...)
(...) «collaborazionista» degli occidentali e quindi «infedele». In queste ore i messaggi whatsapp che riceviamo da chi è stato anche ferito al nostro fianco sono di questo tenore: «Ci avete tradito, dimenticato, lasciato ingiustamente indietro».
Il primo madornale errore della Difesa e dei vertici militari, che in alcuni casi non hanno mai sentito fischiare un proiettile vicino alla testa, è stato di prevedere gran parte dell\\\'evacuazione dopo il ritiro del contingente. Quando il Tricolore è stato ammainato a Herat siamo riusciti a portare in salvo in Italia con l\\\'operazione Aquila 1 appena 228 afghani, i primi collaboratori con i loro familiari. E talvolta li abbiamo accolti in sistemazioni da migranti di serie Z. Almeno sono in salvo, ma altri 389 afghani dovrebbero venire evacuati in agosto. Da oggi, viene assicurato, comincerà il rilascio dei visti e se l\\\'aeroporto di Kabul non chiuderà per l\\\'avanzata talebana dovrebbero imbarcarsi su voli commerciali. Anche l\\\'ultimo dei soldati semplici sa che un\\\'evacuazione si fa in sicurezza quando hai ancora le truppe sul terreno e non dopo. Altrimenti si rischia il caos di questi giorni con l\\\'inarrestabile avanzata talebana.
Lentezze burocratiche e nei controlli, scaricabarile fra ministeri coinvolti (Difesa, Esteri, Interno), difficoltà degli afghani di reperire i documenti, a cominciare dal passaporto, hanno lasciato nel limbo dozzine di collaboratori. L\\\'operazione Aquila 2 con gli 81 nuclei familiari previsti (389 persone) forse andrà in porto se i talebani non arrivano prima a Kabul, ma restano ancora fuori in tanti. All\\\'ambasciata sono arrivate ulteriori 300 richieste, molte saranno farlocche, ma altre no, a cominciare da oltre 50 interpreti in gran parte rimasti tagliati fuori a Herat. Questi disgraziati chiedono solo di sapere se sono stati accettati o meno nel piano di salvataggio. Poi sono pronti a rischiare la pelle raggiungendo con le famiglie Kabul via terra, ma con la certezza che avranno un visto umanitario per l\\\'Italia. Dalla Difesa e dall\\\'ambasciata non ottengono risposte.
Le stime dei militari ai primi di luglio indicavano un massimo, compresi quelli già nel nostro paese, di 1.200-1.500 persone da evacuare, assieme ai familiari. Adesso si parla di 2mila. Molti non avranno diritto e possono venire stralciati, ma anche se fossero questi i numeri è un problema insormontabile dopo 20 anni di missione? Sulle nostre coste sono sbarcati 1.920 migranti, in soli tre giorni, dal 23 al 25 luglio, senza documenti e senza la minima idea di chi siano veramente, al contrario degli afghani. Li accogliamo sempre. Non possiamo fare velocemente lo stesso con gli afghani, che scappano veramente dai proiettili, approfondendo i controlli in un secondo tempo in Italia? Non c\\\'è più tempo.
Inglesi e americani mandano truppe a Kabul per l\\\'evacuazione dei loro cittadini e dei collaboratori afghani, ma noi inviamo al massimo tre militari di supporto all\\\'ambasciata per le pratiche. Il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, ha ripetutamente promesso che nessuno rimarrà indietro. Non è così e lo dimostra la caduta di Herat. Non siamo l\\\'Italietta, ma un grande Paese, dove il Giornale invita tutti i media a battersi per salvare i collaboratori dei nostri contingenti e delle ong italiane in Afghanistan. E primo fra tutti è lei, Presidente, con i suoi ministri direttamente coinvolti, che deve evitare al nostro Paese la medaglia della vergogna e del disonore.
Fausto Biloslavo
[continua]

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07 giugno 2010 | Porta a Porta | reportage
Un servizio sulle guerre di pace degli italiani
Le “guerre” di pace degli italiani sono iniziate nel 1982, con la prima importante missione all’estero nel martoriato Libano, dopo il conflitto fra israeliani e palestinesi. Oggi sono quasi diecimila i soldati italiani impegnati nel mondo in venti paesi. Oltre alla baionette svolgiamo un apprezzato intervento umanitario a favore della popolazione. Dall’Africa, ai Balcani, al Medio Oriente, fino all’Afghanistan non sempre è una passeggiata per portare solo caramelle ai bambini. Nel 1991, durante la guerra del Golfo, un caccia bombardiere italiano è stato abbattuto dalla contraerea irachena. Il pilota Gianmarco Bellini ed il navigatore Maurizio Cocciolone sono rimasti per 45 giorni nelle cupe galere di Saddam Hussein. Quella in Somalia, è stata una missione sporca e dura, macchiata da casi isolati di torture e maltrattamenti. Al check point Pasta, a Mogadiscio, i paracadutisti della Folgore hanno combattuto la prima dura battaglia in terra d’Africa dopo la seconda guerra mondiale. Alla fine del conflitto etnico siamo intervenuti a pacificare la Bosnia. Per il Kosovo, nel 1999, l’aeronautica militare ha bombardato i serbi effettuando 3mila sortite. Una guerra aerea di cui non si poteva parlare per opportunità politiche. Dopo l’11 settembre i focolai di instabilità sono diventati sempre più insidiosi, dall’Iraq all’Afghanistan. Nel 2003, con la missione Antica Babilonia a Nassiryah, i nostri soldati sono rimasti coinvolti nelle battaglie dei ponti contro i miliziani sciiti. In sole 24 ore gli italiani hanno sparato centomila colpi. Siamo sbarcati di nuovo in Libano dopo il conflitto fra Israele ed Hezbollah, ma la nostra vera trincea è l’Afghanistan. Con i rinforzi previsti per l’estate arriveremo a 4mila uomini per garantire sicurezza nella parte occidentale del paese, grande come il Nord Italia, al confine con l’Iran. Herat, Bala Murghab, Farah, Bala Baluk, Bakwa, Shindad sono i nomi esotici e lontani dove fanti, alpini, paracadutisti combattono e muoiono in aspri scontri e imboscate con i talebani o attentati. Dal 1982, nelle nostre “guerre” di pace, sono caduti 103 soldati italiani.

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18 novembre 2001 | Studio Aperto - Italia1 | reportage
I campi del terrore ed i documenti di Al Qaida
I campi del terrore ed i documenti di Al Qaida

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28 ottobre 2012 | TGCOM | reportage
Così sono saltato in aria in aria su una trappola esplosiva con i soldati italiani in Afghanistan
L’esplosione è improvvisa, quando meno te l’aspetti, lungo una pista arida, assolata e deserta, che si infila fra le montagne. Non hai neppure il tempo di capire se sei vivo o morto, che la polvere invade il super blindato Cougar fatto apposta per resistere alle trappole esplosive. E’ come se la mano del Dio talebano afferrasse il bestione da 14 tonnellate in movimento fermandolo come una macchinina giocattolo. “Siano saltati, siamo saltati” urla alla radio il tenente Davide Secondi, che conduce la missione per stanare gli Ied, le famigerate trappole esplosive. E poi sbotta: “Porco demonio”.

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26 agosto 2008 | Radio24 | reportage
Afghanistan
Taccuino di guerra - Non solo battaglie. Gli aiuti e la ricostruzione
Afghanistan,un'estate in trincea.In prima linea con i soldati italiani

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08 aprile 2008 | Radio 24 - Gr24 extralarge | reportage
Afghanistan
Surobi, avamposto dimenticato. Gli italiani in prima linea
A piedi, con i muli, nei mezzi che assomigliano a gatti delle nevi blindati, gli alpini paracadutisti dell’avamposto dimenticato di Surobi, 70 chilometri a sud est di Kabul, ce la mettano tutta. Centoquaranta uomini a cominciare dai corpi speciali, i ranger del reggimento Monte Cervino, assieme ai paracadutisti della Folgore e agli esperti Cimic degli interventi umanitari e di ricostruzione. Tutti in prima linea nella guerra degli italiani in Afghanistan.

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18 agosto 2009 | Radio24 | reportage
Afghanistan
Al fronte con gli italiani/Il seggio più vicino a "dushman" il nemico
La casupola disabitata, in paglia e fango, con il tetto a cupola sembra abbandonata dallo scorso anno, quando i marines combattevano nel deserto infernale di Bala Baluk. Oggi ci sono i paracadutisti della Folgore in questo sperduto angolo della provincia di Farah. All’interno è ancora peggio, ma la casupola viene subito scelta come seggio elettorale per le elezioni presidenziali e provinciali del 20 agosto. Non per il suo fascino esotico, ma perché può venir trasformata in un fortino. La roccaforte talebana di Shewan si trova ad un pugno di chilometri. Da quelle parti comanda mullah Sultan, un ex prigioniero del campo americano di Guantanamo. “E’ il seggio più vicino a dushman, il nemico” spiega un ufficiale della poliza afghana. Se incroci di notte lui ed i suoi uomini, barbe lunghe e stile armata Brancaleone, li scambi per talebani. Solo arrivarci da queste parti è un terno al lotto come spiega il tenente Alessandro Capone della 6° compagnia Grifi (audio originale). Il giorno del voto i paracadutisti italiani sono pronti a difendere le elezioni armi in pugno. La scorsa settimana sembrava che nella zona a rischio di Bala Baluk sarebbe stato disponibile un solo seggio, ma nelle ultime ore si punta ad aprirne 8 o 9. Un successo, anche se la vera incognita è quanti elettori si recheranno alle urne. I talebani hanno minacciato che taglieranno il naso, le orecchie ed il dito segnato dall’inchiostro indelebile di chi è andato a votare. Fausto Biloslavo da base Tobruk, provincia di Farah, Afghanistan per Radio 24 il Sole 24 ore

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13 novembre 2001 | Radio 24 Vivavoce | reportage
Afghanistan
Il crollo dei talebani - Giornalisti al fronte/1
In prima linea in Afghanistan dopo l'11 settembre. Il ruolo dei giornalisti

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18 ottobre 2007 | Radio 24 | intervento
Afghanistan
La guerra che non ci vogliono far vedere
In Afghanistan gli italiani combattono. Lo ha verificato Fausto Biloslavo, che ha realizzato un servizio per Panorama sulla "guerra all'italiana" che non ci vogliono far vedere.

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