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Reportage
06 settembre 2021 - Prima - Afghanistan - Il Giornale
Sorrisi e fucili Sulle strade dell’Afghanistan la messinscena dei talebani
Kabul Il giovane talebano che presidia il confine afghano sul Kyber pass sembra uscito da un film sull\'orda di Gengis Khan. Uniforme a casaccio, bandana in testa, kalashnikov in pugno, non crede ai suoi occhi quando vede spuntare dal cunicolo di lamiere e reticolato costruito dai pachistani uno straniero vestito all\'afghana, con tunica e pantaloni a sbuffo carico di attrezzatura e trolley da battaglia. Lo sguardo stupefatto fa capire che è indeciso fra puntarmi il fucile mitragliatore addosso o chiedere aiuto. Subito dopo arrivano in soccorso altri due talebani. Il più giovane, che avrà neanche venti anni, in mimetica e barbetta appena spuntata parlicchia un po\' di inglese. L\'altro chiede se sono turco, ma sembrano quasi intimoriti davanti al primo giornalista italiano che passa a piedi il confine di Torkham, che divide il Pakistan dalla parte orientale dell\'Afghanistan.
Il posto di frontiera è caduto con tutti i mezzi della polizia intatti. L\'ufficio del vecchio comandante governativo, utilizzato come sala Vip per gli stranieri che arrivano, è pieno di vasi stracolmi di orribili fiori finti.
Il capoccia talebano fa di tutto per dimostrarsi gentile e disponibile nel nome del nuovo corso che vuole mostrare al resto del mondo il volto «buono» del secondo emirato. Per qualsiasi problema fornisce il suo numero di cellulare e chiama i posti di blocco lungo il tragitto, ordinando di farci passare senza problemi. Sembra quasi un programma Valtur in zona di guerra. Davanti al blindato americano piazzato in mezzo alla strada prima del confine si torna alla realtà con una macchina di lusso e diverse donne all\'interno evidentemente terrorizzate, che probabilmente vogliono lasciare il Paese.
L\'Afghanistan si presenta assolato, polveroso e dimenticato come sempre, ma il primo tratto di strada è il più pericoloso. «Benvenuto nella provincia di Nangarhar», esulta Suleiman, che è venuto a prendermi da Kabul. In realtà la zona è infestata dall\'Isis del Khorasan, la costola afghana del Califfato. Duemila-tremila jihadisti, compresi veterani delle guerre perse in Siria e Iraq, che considerano i talebani fin troppo mollaccioni. A ogni posto di blocco il miliziano di turno chiede se è tutto a posto e se ci sono stati problemi lungo la strada, come se fossero paciosi bobbies inglesi e non combattenti di un\'armata Brancaleone.
Lungo la strada verso la capitale gli avamposti di esercito e polizia crollati come un castello di carta sono in gran parte abbandonati, ma puntellati del vessillo bianco con le scritte del Corano in nero dei talebani. Sembra quasi che non sia accaduto nulla e il cambio di regime stia venendo assorbito in un\'apparente normalità. Il vero talebano, seppure con il volto nuovo dipinto dal sorriso, lo troviamo all\'ennesimo posto di blocco dopo Jalalabad. Mimetica, radio nella tasca con l\'antenna che gli arriva oltre la testa e cappellino da preghiera, nota che l\'autista è perfettamente rasato e per di più porta degli occhiali da sole un po\' troppo occidentali. «Non te lo chiedo come un obbligo, ma per l\'Islam bisogna lasciarsi crescere la barba. Altrimenti che esempio diamo ai giovani?», spiega con un sorrisetto di contorno e il kalashnikov a tracolla. Nel primo emirato lo avrebbe tirato giù dalla macchina punendolo con un po\' di frustate. Adesso fa il gentile, ma il messaggio è lo stesso. Il poveretto abbozza e una volta ripartito sbotta a denti stretti: «Deciderò io se tenermi la barba oppure no».
Le affascinanti gole di Sorobi potrebbero diventare un\'attrazione turistica se non ci fossero ricordi di sangue. Vent\'anni fa l\'inviata del Corriere della Sera, Maria Grazia Cutuli e altri tre giornalisti furono trucidati dai talebani in fuga dalla capitale del primo emirato martellati dai B 52 americani a uno di questi tornanti.
A Kabul si entra dalla periferia di Pol i Charki, dove lo storico penitenziario è vuoto dopo la fuga di centinaia di prigionieri compresi i terroristi dello Stato islamico avvenuta dopo la conquista della città da parte dei talebani. L\'ex zona verde, la cittadella degli occidentali, del comando Nato e delle ambasciate, è ancora presidiata dai tozzi blindati color sabbia made in Usa, ma su ognuno sventola la bandierina bianca e nera dei talebani. Lungo la strada da Jalalabad è ancora intatto qualche sbiadito poster elettorale di Ashraf Ghani, il presidente afghano fuggito in tutta fretta con la cassa abbandonando Kabul ai talebani. Altri poster che esaltano il ruolo delle donne sono deturpati o riempiti di slogan islamici duri e puri.
Nella piazza della capitale dedicata al comandante Ahmad Shah Massoud, il leone del Panshir, che combatté contro i sovietici e i talebani, sono state strappate tutte le sue foto che ornavano un monumento. Il figlio con un pugno di uomini resiste ancora nella valle del Panshir a pochi giorni dall\'anniversario dei vent\'anni della morte del padre. La prima vittima dell\'11 settembre eliminato 48 ore prima da due terroristi di Al Qaida.
[continua]

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16 aprile 2010 | SkyTG24 | reportage
Luci e ombre su Emergency in prima linea
Per la prima volta collegamento in diretta dal mio studio a Trieste. Gli altri ospiti sono: Luca Caracciolo di Limes, il sottosegretario agli Esteri Alfredo Mantica e l'ex generale Mauro Del Vecchio. In collegamento Maso Notarianni, direttore di Peacereporter

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07 giugno 2010 | Porta a Porta | reportage
Un servizio sulle guerre di pace degli italiani
Le “guerre” di pace degli italiani sono iniziate nel 1982, con la prima importante missione all’estero nel martoriato Libano, dopo il conflitto fra israeliani e palestinesi. Oggi sono quasi diecimila i soldati italiani impegnati nel mondo in venti paesi. Oltre alla baionette svolgiamo un apprezzato intervento umanitario a favore della popolazione. Dall’Africa, ai Balcani, al Medio Oriente, fino all’Afghanistan non sempre è una passeggiata per portare solo caramelle ai bambini. Nel 1991, durante la guerra del Golfo, un caccia bombardiere italiano è stato abbattuto dalla contraerea irachena. Il pilota Gianmarco Bellini ed il navigatore Maurizio Cocciolone sono rimasti per 45 giorni nelle cupe galere di Saddam Hussein. Quella in Somalia, è stata una missione sporca e dura, macchiata da casi isolati di torture e maltrattamenti. Al check point Pasta, a Mogadiscio, i paracadutisti della Folgore hanno combattuto la prima dura battaglia in terra d’Africa dopo la seconda guerra mondiale. Alla fine del conflitto etnico siamo intervenuti a pacificare la Bosnia. Per il Kosovo, nel 1999, l’aeronautica militare ha bombardato i serbi effettuando 3mila sortite. Una guerra aerea di cui non si poteva parlare per opportunità politiche. Dopo l’11 settembre i focolai di instabilità sono diventati sempre più insidiosi, dall’Iraq all’Afghanistan. Nel 2003, con la missione Antica Babilonia a Nassiryah, i nostri soldati sono rimasti coinvolti nelle battaglie dei ponti contro i miliziani sciiti. In sole 24 ore gli italiani hanno sparato centomila colpi. Siamo sbarcati di nuovo in Libano dopo il conflitto fra Israele ed Hezbollah, ma la nostra vera trincea è l’Afghanistan. Con i rinforzi previsti per l’estate arriveremo a 4mila uomini per garantire sicurezza nella parte occidentale del paese, grande come il Nord Italia, al confine con l’Iran. Herat, Bala Murghab, Farah, Bala Baluk, Bakwa, Shindad sono i nomi esotici e lontani dove fanti, alpini, paracadutisti combattono e muoiono in aspri scontri e imboscate con i talebani o attentati. Dal 1982, nelle nostre “guerre” di pace, sono caduti 103 soldati italiani.

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29 luglio 2015 | Sky Tg24 | reportage
Omar il fantasma
“Mullah Omar, il capo dei talebani, è morto nel 2013” rivela il governo di Kabul, ma sulla sua fine aleggia il mistero. Il leader guercio dei tagliagole afghani, dato per morto tante volte, è sempre “resuscitato”. Questa volta, per Omar il fantasma, potrebbe essere diverso. Abdul Hassib Seddiqi, portavoce dell’Nds, l’intelligence di Kabul ha sostenuto in un’intervista al New York Times che l’imprendibile mullah “è morto due anni fa in un ospedale alla periferia di Karachi, città pachistana”. Sicuramente l’Isi, il potente servizio segreto militare di Islamabad, aveva idea di dove fosse. Non è escluso che il capo dei talebani sia stato un sorvegliato speciale, praticamente agli arresti domiciliari, a Qetta, capoluogo della provincia pachistana del Baluchistan al confine con l’Afghanistan. Un ex ministro dei talebani ha dichiarato ieri, in cambio dell’anonimato, che il mullah “è morto due anni e 4 mesi fa di tubercolosi e poi sepolto in Afghanistan” in gran segreto.

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radio

28 agosto 2008 | Radio24 | reportage
Afghanistan
Taccuino di guerra - Torno a casa dopo un mese in trincea
Afghanistan,un'estate in trincea.In prima linea con i soldati italiani

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20 ottobre 2009 | SBS Radio Italian Language Programme | intervento
Afghanistan
Gli italiani pagano i talebani?
Mazzette ai talebani, pagati dai servizi segreti italiani in Afghanistan, che sarebbero costate la vita a dieci soldati francesi fatti a pezzi in un’imboscata lo scorso anno. Un’accusa infamante lanciata ieri dalle colonne del blasonato Times di Londra, con un articolo che fa acqua da tutte le parti. “Spazzatura” l’ha bollato il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, che ha dato mandato di querelare il quotidiano britannico. Secondo il Times la nostra intelligence avrebbe pagato “decine di migliaia di dollari i comandanti talebani e signori della guerra locali per mantenere tranquilla” l’area di Surobi, 70 chilometri a Sud Est di Kabul. Dal dicembre 2007 al luglio 2009, poco meno di duecento soldati italiani, tenevano base Tora un avamposto nell’Afghanistan orientale. L’obiettivo dei pagamenti era di evitare gli attacchi agli italiani e vittime “che avrebbero provocato difficoltà politiche in patria”. Invece ci sono stati ben otto combattimenti con un morto e cinque feriti fra le nostre forze e quelle afghane. Il 13 febbraio, nella famigerata valle di Uzbin, roccaforte talebana, è stato ucciso il maresciallo Giovanni Pezzulo. Il Times sbaglia anche la data della sua morte scrivendo che era caduto nel 2007. Per il valore dimostrato quel giorno il milanese Davide Lunetta, sergente del 4° Reggimento alpini paracadutisti, è stato premiato dalla Nato come sottufficiale dell’anno. Il 3 novembre verrà decorato al Quirinale. In un’altra battaglia i ranger di Bolzano hanno salvato dalle grinfie talebane la preziosa tecnologia di un aereo senza pilota Usa precipitato. Il 3 febbraio era finito in un’imboscata, durante un’ispezione nell’area di Surobi, il generale degli alpini Alberto Primicerj. Alla faccia della zona tranquilla, descritta dal Times, grazie alle mazzette pagate dai nostri servizi. Non solo: la task force Surobi ha sequestrato in un centinaio di arsenali nascosti e quintali di droga. In una nota palazzo Chigi sottolinea che "il governo non ha mai autorizzato nè consentito alcuna forma di pagamento di somme di danaro in favore di membri dell'insorgenza di matrice talebana in Afghanistan, nè ha cognizione di simili iniziative attuate dal precedente governo". Sul Times è relegato in una riga, verso la fine, un aspetto non di poco conto. Il centro destra ha vinto le elezioni nell’aprile del 2008 ed il governo si è insediato l’8 maggio. Fino a quel giorno governava Romano Prodi e gli ordini per l’Afghanistan arrivavano dal ministro della Difesa Arturo Parisi. Secondo il Times l’intelligence italiana “avrebbe nascosto” ai francesi, che nell’agosto 2008 ci hanno dato il cambio, il pagamento dei talebani. L’accusa più infamante è che per questa omissione siano finiti in un’ imboscata dieci militari d’Oltralpe massacrati il 18 agosto nella famigerata valle di Uzbin. Ieri l’ammiraglio Christophe Prazuck, portavoce dello stato maggiore francese, ha bollato come “infondato” l’articolo del Times. Anche la Nato ha smentito. In realtà gli alleati conoscevano benissimo la situazione a Surobi. Agli inizi di agosto del 2008, in occasione del passaggio di consegne, gli ufficiali d’Oltralpe sono stati informati dai nostri di “prestare particolare attenzione alla valle di Uzbin” la zona più pericolosa di Surobi. Il Times sostiene che gli uomini dell’intelligence americana “rimasero allibiti quando scoprirono, attraverso intercettazioni telefoniche, che gli italiani avevano “comprato” i militanti anche nella provincia di Herat". A tal punto che il loro rappresentante a Roma, nel giugno 2008, avrebbe protestato con il governo Berlusconi. Palazzo Chigi “esclude che l’ambasciatore degli Stati Uniti (allora Ronald Spogli) abbia inoltrato un formale reclamo in relazione a ipotetici pagamenti" ai talebani. Invece gli americani lodavano il lavoro degli italiani a cominciare dal generale americano Dan McNeill, comandante della Nato a Kabul. Il Times non sa che esiste un documento classificato della Nato dove il caso Surobi viene indicato come modello di successo da replicare. E la firma è proprio di un ufficiale britannico. Il compito delle barbe finte italiane a Surobi era di “facilitare” la sicurezza del contingente. Per farlo dovevano ottenere informazioni, che vengono pagate perché in Afghanistan non basta una pacca sulla spalla. Tutti i servizi alleati lo fanno. Da questo ce ne vuole di inventiva per sostenere che davamo mazzette ai talebani e che farlo di nascosto ha provocato la morte dei poveri soldati francesi. Non solo: al posto dei dollari la task force Surobi ha utilizzato un altro sistema. Portavano un ingegnere per costruire un pozzo, i viveri a dorso di mulo nei villaggi isolati dalla neve, oppure costruivano un piccolo pronto soccorso o una scuola. In cambio arrivavano le informazioni sugli arsenali nascosti o le trappole esplosive.

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27 agosto 2008 | Radio24 | reportage
Afghanistan
Taccuino di guerra - La compagnia Diavoli nell'inferno di Delaram
Afghanistan,un'estate in trincea.In prima linea con i soldati italiani

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04 agosto 2008 | Radio 24 | reportage
Afghanistan
Taccuino di guerra - In volo sugli elicotteri dei marines
Afghanistan, un'estate in trincea. In prima linea con i marines

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23 maggio 2005 | Radio 24 | reportage
Afghanistan
Clementina è viva
Ritorniamo in apertura sul sequestro in Afghanistan di Clementina Cantoni con l'intervento in diretta da Kabul di Fausto Biloslavo, inviato de "Il Giornale".

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