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Reportage
13 settembre 2021 - Prima - Afghanistan - Il Giornale |
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| “Noi soldatesse afghane addestrate dagli italiani Qui rischiamo la vita” |
Fausto Biloslavo e Gian Micalessin Kabul Sono i grandi dimenticati. E rischiano di diventare la nostra indelebile vergogna. Sono i morti che camminano, gli zombie dell\\\'Afghanistan talebano. Sono uomini e donne in divisa che avevano promesso fedeltà all\\\'esercito afghano e a quello italiano. Per questo erano nelle liste di chi doveva esser fatto uscire dal paese. Ma nel caos degli ultimi giorni nessuno si è curato di loro. E così ora a cercarli sono quei talebani al cui odio avevamo promesso di sottrarli. Afrooz, chiamiamola così, è uno dei casi più disperati. Fino a pochi mesi fa vestiva la divisa dell\\\'esercito afghano e lavorava con un\\\'unità di donne soldato messa insieme con il coordinamento dei nostri comandi di Herat. Proprio per questo il suo nome e il suo volto erano comparsi su tanti, troppi, media afghani. Ora quel nome e quel volto sono sulle liste nere talebane. E lei, fuggita da Herat, vive alla macchia nella capitale assieme alla figlia di pochi mesi, al marito e ai fratelli. «Ho lavorato con i vostri ufficiali per sei o sette anni e l\\\'esercito afghano mi ha più volte decorata eppure sono stata lasciata indietro. Così ora la mia vita e quella della mia famiglia è a rischio» Afrooz non parla a caso. L\\\'incontriamo nella sala riservata alle famiglie di un ristorante di Kabul. Ha il volto coperto da una mascherina e il capo avvolto in un velo giallo. I fratelli e il marito, anche loro ex militari, sorvegliano preoccupati l\\\'entrata della sala. «La nostra situazione è disperata se voi italiani non riuscirete a farci uscire dal paese finirà male. Molto male. Cinque giorni dopo la nostra fuga da Herat i talebani si sono presentati a casa mia, l\\\'hanno perquisita, si son portati via ogni cosa, dai mobili ai vestiti e han bloccato l\\\'entrata con un enorme lucchetto. Poi son andati da mia madre dicendole che avevo tempo cinque giorni per presentarmi al loro comando. Passati i cinque giorni sono tornati e se la son presa con mio padre. Non ti vergogni - gli han detto - di avere una figlia che lavora per gli stranieri?. Poi l\\\'hanno insultato e gli han dato venti giorni per portarmi da loro. Quando ci penso, mi vien ancora da piangere. Non riuscirò mai a fuggire alla loro vendetta». Afrooz purtroppo non ha torto. «Il mio nome è nelle vostre liste e avrei diritto a venir accolta in Italia, ma come faccio ad arrivarci viva ? Se anche riprendessero le evacuazione non potrei presentarmi all\\\'aeroporto perché sono ricercata dai talebani. Per lo stesso motivo non posso uscire legalmente dall\\\'Afghanistan e presentarmi in una vostra ambasciata. Dovrei fuggire illegalmente, ma non posso farlo con una bimba di meno di un anno. Non posso mettere a rischio anche la sua vita». In un altro ristorante ci aspettano Imtiaz e Jawid. Anche i loro nomi sono ovviamente fasulli. La loro storia e la loro disperazione un po\\\' meno. «Vi prego - sussurra Imraz - chiedete al vostro governo di portarci via. Preferisco dormire per strada in Italia che rischiare la vita qui in Afghanistan». Il loro caso è il simbolo dell\\\'improvvisazione che ha guidato la tumultuosa evacuazione di fine agosto. «Quando, fuggiti da Herat, siamo arrivati Kabul e abbiamo chiamato i due contatti, un ufficiale italiano e il portavoce di noi traduttori, incaricati di coordinare l\\\' entrata all\\\'aeroporto per l\\\'evacuazione nessuno ci ha risposto. Abbiamo chiamato per giorni e nessuno ci ha dato retta. E non siamo i soli. Oltre a noi ci sono almeno altri otto interpreti dimenticati da voi italiani e costretti a vivere alla macchia con le famiglie» spiega Jawid mostrando su Whatsapp i profili dei due fallimentari contatti. Quando gli ricordiamo la promessa di amnistia per i collaboratori degli eserciti stranieri annunciata dai talebani all\\\'indomani della vittoria Imtiaz e Jawid sorridono e scuotono la testa. «Voi credete a quella roba? I talebani in passato hanno già tagliato la testa a tre nostri colleghi. E sono pronti a rifarlo con noi se ci prendono». |
| [continua] |
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17 novembre 2001 | TG5 - Canale5 | reportage
La caccia ai terroristi ucciso Mohammed Atef
La caccia ai terroristi ucciso Mohammed Atef
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15 novembre 2001 | La vita in diretta - RaiUno | reportage
In Afghanistan si ritorna a vivere
In Afghanistan si ritorna a vivere
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02 novembre 2012 | Tg5 | reportage
Messa in prima linea per l'ultimo caduto
Tiziano Chierotti ucciso in combattimento a Bakwa il 25 ottobre viene ricordato con una toccante cerimonia nella mensa da campo di base Lavaredo.
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12 novembre 2001 | Radio 24 Linea 24 | reportage |
Afghanistan
Il crollo dei talebani - Una giornata di guerra/2
In prima linea in Afghanistan dopo l'11 settembre. L'avanzata su Kabul e le notizie di saccheggi e vendette a Mazar i Sharif. I "gulam jam" del generale Dostum sono entrati in città. Tagliano le orecchie ai nemici per ottenere la ricompensa. Il soprannome "gulam jam" significa che quando passano loro bisogna arrotolare il tappeto e andarsene, perchè non resta più nulla
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04 ottobre 2009 | Radio24 | reportage |
Afghanistan
10 anni di Radio24. UNO SPOT SULLA CADUTA DI KABUL
Il mio servizio dalla prima linea di Kabul dopo l'11 settembre 2001, come spot per i 10 anni di Radio24. Era il 4 ottobre del 1999 quando a Milano nasceva Radio 24, la prima emittente news&talk italiana. Informazione, attualità, intrattenimento, economia, cultura, con un'attenzione sempre costante alla voce degli ascoltatori: questa la formula di un successo confermato dagli oltre 4,8 milioni di ascoltatori alla settimana, come confermano i dati Audiradio, relativi al quarto bimestre 2009.
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13 novembre 2001 | Radio 24 Vivavoce | reportage |
Afghanistan
Il crollo dei talebani - Giornalisti al fronte/2
In prima linea in Afghanistan dopo l'11 settembre. Il ruolo dei giornalisti
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14 novembre 2001 | Radio 24 | reportage |
Afghanistan
Kabul liberata il giorno dopo
Torna a splendere il sole sulla capitale afghana. Gli esuli cacciati dai talebani rientrano nelle loro case.
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18 agosto 2010 | SBS | intervento |
Afghanistan
Vittime civili e negoziati con i talebani
Dall’inizio dell’anno vengono uccisi in Afghanistan una media di 6 civili al giorno e 8 rimangono feriti a causa del conflitto. Lo sostiene Afghanistan rights monitor (Arm), che registra le vittime della guerra. Nel 2010 sono stati uccisi 1047 civili e altri 1500 feriti. Un incremento del 13% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Oltre il 60% delle vittime civili sono responsabilità degli insorti (661), che secondo il rapporto di Arm “dimostrano scarso o nessun rispetto per la sicurezza e la protezione dei non combattenti”. Le trappole esplosive hanno ucciso fino ad oggi 282 civili, più di ogni altra minaccia seguito da 127 morti a causa degli attacchi suicidi.
Le truppe della coalizione internazionale hanno ridotto considerevolmente le perdite provocate fra i civili grazie alle restrizioni imposte sugli interventi aerei. L’Arm sostiene che dall’inizio dell’anno 210 civili sono morti per colpa della Nato. Altri 108 sono stati uccisi dalle forze di sicurezza afghane.
Lo scorso anno, secondo le Nazioni Unite, sono stati uccisi in Afghanistan 2.412 civili, il 14% in più rispetto al 2008. Però il 70% dei morti era responsabilità dei talebani. Non solo: le 596 vittime attribuite alle forze Nato e di Kabul segnano un calo del 28% rispetto al 2008. Un segnale che gli ordini ferrei del comando Nato in Afghanistan, tesi ad evitare perdite fra i civili, sono serviti a qualcosa.
La propaganda talebana, però riesce a far credere in Afghanistan, ma pure nelle fragili opinioni pubbliche occidentali che i soldati della Nato sono i più cattivi o addirittura gli unici responsabili delle vittime civili a causa dei bombardamenti.
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