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Reportage
14 settembre 2021 - Prima - Afghanistan - Il Giornale
Nell’ex base italiana abbandonata e distrutta dalla furia dei talebani
Herat Sul monumento ai caduti italiani in Afghanistan sfregiato e dimenticato resistono solo queste parole: «Siete sempre con noi». Tutt\\\'attorno abbandono, devastazione e saccheggio. É un colpo al cuore entrare a Camp Arena deserto, la Little Italy militare che per quasi vent\\\'anni è stata la nostra base più importante a Herat. Il comandante talebano Mohammed Esrael, armato di radio portatile e turbante nero, ci scorta verso il quartier generale italiano attivo fino a giugno. Poi abbiamo consegnato la grande base all\\\'esercito afghano, che si è sciolto come neve al sole in pochi giorni di combattimenti. «Sono state le truppe governative a devastare e saccheggiare prima di darsi alla fuga. Non abbiamo sparato nemmeno un colpo per conquistare Camp Arena» giura il veterano del primo emirato islamico. Il sospetto è che pure i talebani una volta occupata Herat, poco più di un mese dopo il ritiro dei soldati italiani, abbiano fatto man bassa dentro la base. Per di più alla mattina all\\\'aeroporto sono arrivati degli ufficiali dell\\\'esercito afghano in divisa immacolata ed uno ci ha accolto con un «buongiorno» in perfetto italiano. Il salto del fosso è una pratica affinata in 40 anni di guerre.
Il comando del settore Ovest dell\\\'Afghanistan, dove per 20 anni abbiamo sputato sangue e sudore, è il simbolo della disfatta. Le porte blindate con i codici sono spalancate e il lungo corridoio è pieno di materiale sparso a terra. Tutte le cose di valore sono state razziate. La sala riunione del generale che comandava i soldati italiani, fino a 4mila nei momenti più duri, è trasformata in un caravanserraglio.
Davanti al monumento ai caduti il comandante Esrael ricorda «che gli italiani hanno bombardato e ucciso il nostro popolo, ma sappiamo che avete anche aiutato con progetti di cooperazione». E lancia un messaggio sorprendente: «Adesso dobbiamo riconciliarci. Noi non vi odiamo e non vogliamo vendetta. Tornate per ricostruire assieme il Paese».
Dall\\\'esterno le file di alloggi protetti dai cilindri di sabbia sembrano intatti, ma dentro è il caos del saccheggio. E nella fuga sono stati abbandonati anche gli stivali militari. Camp Arena è deserto e incombe uno spettrale silenzio. Il talebano si infila nei bunker per i razzi che arrivavano sempre più spesso. All\\\'ingresso c\\\'è ancora la scritta in italiano «attenzione alla testa!». Il comandante ci chiede dove dobbiamo andare: «Ci sarete venuti tante volte. La conoscete bene».
La piazza d\\\'armi è desolante: sui pennoni delle bandiere della Nato è stata dimenticata quella slovena. I simboli delle nostre gloriose unità dai carristi, ai paracadutisti, fino ai «dimonios» della brigata Sassari sono stati portati via o scarnificati dai nuovi arrivati. Su questa piazza abbandonata i reparti in armi, durante i 20 anni di missione in Afghanistan, sono stati arringati da generali, ministri e premier.
Anche la cappella non è state risparmiata e le parole del Vangelo sulle pareti sono cancellate dalla vernice nera. La scritta Roxi bar rimane sopra lo spaccio spogliato di tutto. «Vogliamo mantenere intatta la base e quello che contiene se tornerete in pace» sostiene Esrael, che si mobilita per rimettere dentro un container depredato del materiale abbandonato. Oltre all\\\'immondizia ci sono anche i resti di documenti evidentemente sensibili tagliati a fettine.
Il comandante passa sotto la targa «Via del Döi» dedicata al secondo alpini. I ricordi dei reportage embedded con gli imbarchi notturni sugli elicotteri dall\\\'aeroporto a fianco di Camp Arena, per raggiungere le zone di operazione, si mescolano al triste panorama della potente base abbandonata al suo destino. Al calare del sole ci lasciamo alle spalle l\\\'ex quartier generale scoprendo che è ancora intatto, di fronte ad una garitta senza soldati, il cartello in italiano del «mercato della domenica aperto dalle 10 alle 16». All\\\'esterno della base i negozietti sono chiusi o depredati e molti venditori sono stati evacuati in Italia. La cantilena del muezzin chiama all\\\'appello i talebani per la preghiera della vittoria.
[continua]

video
16 novembre 2001 | Studio Aperto - Italia 1 | reportage
I talebani perdono Jalalabad
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17 novembre 2001 | TG5 - Canale5 | reportage
La caccia ai terroristi ucciso Mohammed Atef
La caccia ai terroristi ucciso Mohammed Atef

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07 giugno 2010 | Porta a Porta | reportage
Un servizio sulle guerre di pace degli italiani
Le “guerre” di pace degli italiani sono iniziate nel 1982, con la prima importante missione all’estero nel martoriato Libano, dopo il conflitto fra israeliani e palestinesi. Oggi sono quasi diecimila i soldati italiani impegnati nel mondo in venti paesi. Oltre alla baionette svolgiamo un apprezzato intervento umanitario a favore della popolazione. Dall’Africa, ai Balcani, al Medio Oriente, fino all’Afghanistan non sempre è una passeggiata per portare solo caramelle ai bambini. Nel 1991, durante la guerra del Golfo, un caccia bombardiere italiano è stato abbattuto dalla contraerea irachena. Il pilota Gianmarco Bellini ed il navigatore Maurizio Cocciolone sono rimasti per 45 giorni nelle cupe galere di Saddam Hussein. Quella in Somalia, è stata una missione sporca e dura, macchiata da casi isolati di torture e maltrattamenti. Al check point Pasta, a Mogadiscio, i paracadutisti della Folgore hanno combattuto la prima dura battaglia in terra d’Africa dopo la seconda guerra mondiale. Alla fine del conflitto etnico siamo intervenuti a pacificare la Bosnia. Per il Kosovo, nel 1999, l’aeronautica militare ha bombardato i serbi effettuando 3mila sortite. Una guerra aerea di cui non si poteva parlare per opportunità politiche. Dopo l’11 settembre i focolai di instabilità sono diventati sempre più insidiosi, dall’Iraq all’Afghanistan. Nel 2003, con la missione Antica Babilonia a Nassiryah, i nostri soldati sono rimasti coinvolti nelle battaglie dei ponti contro i miliziani sciiti. In sole 24 ore gli italiani hanno sparato centomila colpi. Siamo sbarcati di nuovo in Libano dopo il conflitto fra Israele ed Hezbollah, ma la nostra vera trincea è l’Afghanistan. Con i rinforzi previsti per l’estate arriveremo a 4mila uomini per garantire sicurezza nella parte occidentale del paese, grande come il Nord Italia, al confine con l’Iran. Herat, Bala Murghab, Farah, Bala Baluk, Bakwa, Shindad sono i nomi esotici e lontani dove fanti, alpini, paracadutisti combattono e muoiono in aspri scontri e imboscate con i talebani o attentati. Dal 1982, nelle nostre “guerre” di pace, sono caduti 103 soldati italiani.

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radio

13 gennaio 2003 | Radio 24 Nove in punto | intervento
Afghanistan
Arrivano i rinforzi italiani, ma in Afghanistan si mette male/2
Cinquanta attacchi al mese alle truppe della Nato. Ancora "punzecchiature", ma gli italiani sono pronti ad inviare gli alpini nell'Afghanistan sud orientale. Nel vicino Pakistan i talebani ed i resti di Al Qaida stanno mettendo in piedi le loro basi di retrovia, come i mujaheddin ai tempi dell'invasione sovietica.

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06 agosto 2008 | Radio24 | reportage
Afghanistan
Taccuino di guerra - Sveglia all'alba e trappole esplosive
Afghanistan, un'estate in trincea. In prima linea con i marines

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22 agosto 2008 | Radio24 | reportage
Afghanistan
Taccuino di guerra - Predator: gli occhi invisibili del contingente italiano
Afghanistan,un'estate in trincea.In prima linea con i soldati italiani

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14 agosto 2009 | Radio24 | reportage
Afghanistan
Al fronte con gli italiani / Trappola esplosiva per i parà
SHEWAN - Il fumo nero e lugubre si alza in un istante per una quindicina di metri. “Attenzione Ied alla testa del convoglio” lanciano subito l’allarme per radio i paracadutisti della Folgore in uno dei blindati più vicini all’esplosione. La tensione è alle stelle. La trappola esplosiva, chiamata in gergo Ied, era nascosta sulla strada. I parà che spuntano della botola dei mezzi puntano le mitragliatrice pesanti verso le casupole di Shewan, roccaforte dei talebani. La striscia d’asfalto che stiamo percorrendo è la famigerata 517, soprannominata l’autostrada per l’inferno. Il convoglio composto da soldati italiani, americani e poliziotti afghani scorta due camion con il materiale elettorale per le presidenziali del 20 agosto. I talebani di Shewan da giorni annunciano con gli altoparlanti delle moschee che i veri fedeli dell’Islam non devono andare alle urne. Chi sgarra rischia di venir sgozzato o quantomeno di vedersi tagliare il dito, che sarà segnato con l’inchiostro indelebile per evitare che lo stesso elettore voti più volte. La colonna è partita alle 13.30 da Farah (Afghanistan sud occidentale) per portare urne, schede e altro materiale elettorale nel distretto a rischio di Bala Baluk. Novanta chilometri di paura, con i talebani che attendono i convogli come avvoltoi. Prima ancora di arrivare nell’area “calda” di Shewan giungevano segnalazioni di insorti in avvicinamento verso il convoglio. Li hanno visti i piloti degli elicotteri d’attacco Mangusta giunti in appoggio dal cielo. Ad un certo punto la strada si infila fra quattro casupole in fango e paglia, dove i civili afghani sembrano scomparsi da un momento all’altro. I talebani avevano già colpito e dato alle fiamme due cisterne afghane ed un camion che trasportava un’ambulanza. Le carcasse fumanti che superiamo sono la prima avvisaglia che ci aspettano. Nel blindato Lince del tenente Alessandro Capone, 30 anni, romano, comandante del primo plotone Nembo, i parà sono pronti al peggio. La trappola esplosiva ha colpito un Coguar americano, all’inizio della colonna con l’obiettivo di immobilizzarlo e bloccare tutto il convoglio. Invece il mezzo anti mina resiste e prosegue senza registrare feriti a bordo. Sui tetti delle casupole stanno cercando riparo alcuni soldati dell’esercito afghano. “L’Ana (le forze armate di Kabul nda) ha visto qualcosa” urla il parà che spunta dalla botola del Lince. Tutti hanno il dito sul grilletto e ci si aspetta un’imboscata in piena regola dopo lo scoppio dell’Ied. Invece la coppia di elicotteri Mangusta che svolazzano bassi su Shewan consigliano i talebani di tenere giù la testa. L’attacco è fallito. Il materiale elettorale un’ora dopo arriva destinazione, ma la battaglia per le elezioni in Afghanistan continua.

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05 agosto 2008 | Radio24 | reportage
Afghanistan
Taccuino di guerra - La base nel deserto
Afghanistan, un'estate in trincea. In prima linea con i marines

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