
|
Reportage
22 settembre 2021 - Copertina - Afghanistan - Panorama |
|
| Il mondo alla rovescia dei talebani |
KABUL - “Non vogliamo la democrazia, ma la sharia. Abbiamo combattuto per vent’anni contro l’occidente ed i suoi valori” pontifica “barbanera”, un comandante talebano veterano della guerra santa in Afghanistan, invocando la dura legge del Corano. Maulawi Mohammed Sharif Ahmad, 46 anni, combatte con i seguaci di mullah Omar fin dal primo emirato islamico. “Sono nato talebano. Mio padre è un martire della jihad contro i sovietici e con orgoglio ho raccolto il testimone della lotta per cacciare gli americani” spiega il comandante che ci scorta verso la “pietra nera”, un caposaldo arroccato a Maidan Shar, la porta d’ingresso occidentale verso Kabul. Proprio su queste rocce i talebani hanno aperto la strada alla conquista, senza sparare un colpo, della capitale. Maulawi Ahmad schiera i Ranger, i suoi uomini migliori dell’armata Brancaleone talebana. Armati fino ai denti riempiono il cassone posteriore dei fuoristrada verdi della polizia, che sventolano la bandiera bianca con i versi del Corano in nero, vessillo dell’Emirato. A guardarli da vicino sono tutti ragazzotti che si infilano gli occhiali a specchio di taglio occidentale o si dipingono gli occhi con il rimmel senza alcun imbarazzo. Molti usano le solite ciabatte da mujaheddin fin dai tempi dell’invasione sovietica, ma i più giovani amano le sneakers, scarpe da ginnastica alla moda. I talebani hanno abbandonato il vecchio kalashnikov e sfoggiano moderni fucili mitragliatori americani M-4 nuovi di zecca, che hanno razziato negli arsenali delle forze governative. In tutto contano su 70mila uomini, che da soli non riescono a controllare l’intero paese. A Kabul hanno schierato le forze migliori, le brigate Badri e Fatah, equipaggiate alla Rambo con uniforme mimetica, ginocchiere, giubbotti anti proiettili, elmetto da corpi speciali con visore notturno, capello e barba lunghi. L’INCUBO DELLE DONNE Al bazar, dove si tasta il polso della popolazione, le donne disinvolte negli ultimi 20 anni di misisone Nato, sono tutte coperte dalla testa ai piedi. Prima dell’Emirato si fermavano a parlare con i giornalisti. Adesso scappano via. Solo incontrandole di nascosto, lontano da sguardi indiscreti, si sfogano: “Vivo in un incubo. Prima uscivo senza problemi e adesso devo pensare a come coprirmi. Abbiamo perso tutto”. La giovane giornalista afghana che abbiamo formato in Trentino si sente “abbandonata, lasciata indietro dall’Occidente”. Il suo nome, che non pubblichiamo per motivi di sicurezza, era inserito nelle liste di evacuazione, ma non è riuscita a raggiungere lo scalo di Kabul per il ponte aereo. Vent’anni dopo le Torri gemelle Said Mohammad, venditore di spezie pacioccone nel bazar di Kabul, non ha dubbi: “L’11 settembre? E’ quando l’America ha lanciato degli aeroplani contro dei grattacieli per poi giustificare l’invasione dell’Afghanistan e scatenare un bagno di sangue”. Agli incroci spuntano come funghi i venditori di stendardi dell’Emirato islamico. Pochi comprano la nuova bandiera, ma uno degli ambulanti ammette: “Non me ne frega nulla dei talebani. Vendo le bandiere perché sono povero e devo guadagnare qualcosa per vivere”. “LUNGA VITA ALLA DEMOCRAZIA” Lo slogan vittorioso dei talebani, “Zanda bad Emirate islami”, lunga vita all’Emirato islamico, è insidiato dalle coraggiose donne di Kabul che scendono in piazza gridando “lunga vita alla democrazia”. Le manifestazione vengono disperse a fucilate in aria quando non ci scappa il morto. E scatta la caccia al giornalista per sequestrare le immagini da non fare vedere al mondo. Forse i cortei non sono del tutto spontanei. Fra i manifestanti si parla di pagamenti in denaro per protestare a favore della resistenza anti talebana di Ahmad Massoud ridotta agli sgoccioli nel Panjsher. Nella valle non più invitta si incrociano i resti dei blindati inceneriti dall’alto probabilmente da droni pachistani, che appoggiano i talebani. E l’Italia ha venduto i velivoli senza pilota a Islamabad. Se le bancarelle del bazar sono piene di ogni ben di Dio, che viene dal Pakistan, la gente non ha soldi per comprare e crollano anche le vendite di nan, il pane afghano simile alla crosta della nostra pizza. “Non abbiamo il denaro per acquistare da mangiare perché le banche limitano i prelievi a soli 200 dollari a settimana per famiglia. La popolazione è inferocita” spiega con tono acceso Mohammed Taher. Assieme a centinaia di afghani è in fila da ore davanti alla banca Azizi per ritirare i pochi soldi autorizzati dal suo conto. Le riserve valutarie afghane sono state congelate negli Stati Uniti e il nuovo ministro dell’Economia, Qari Din Hani, che nessuno conosce, e più avezzo al fucile che ai conti. I dipendenti pubblici, che non ricevono lo stipendio, stanno a casa, anche per paura di venire epurati dal nuovo corso e così i ministeri non funzionano per mancanza di personale. SALONI DI BELLEZZA DIPINTI DI NERO Il mondo alla rovescia dei talebani ha imposto di dividere con una una tenda maschi e femmine alle università e separare i docenti. Anche lo sport femminile è a rischio e hanno dovuto chiudere i negozi di abbigliamento per donne della famosa cantante afghana Aryana Sayeed fuggita all’estero. Agli uomini viene “consigliato” di farsi crescere la barba “perchè lo prescrive la religione e bisogna dare l’esempio ai giovani”. L’assurdo è l’oscuramento con vernice nera delle vetrine dei saloni di bellezza che proponevano donne attraenti e truccate con splendide acconciature. Zainab, nome di fantasia di un’estetista, che con un appuntamento alla James Bond ci fa entrare nel salone, spiega sconsolata: “Abbiamo paura. I talebani possono chiudere il centro di bellezza da un giorno all’altro”. Un piccolo mondo di rossetti, smalto per le unghie, trattamenti per i capelli, che dietro le tende tirate del salone resiste, con tanta paura, al nuovo corso. “SIETE VENUTI AD EVACUARCI?” Dall’altra parte dell’Afghanistan, ad Herat dove le truppe italiane si sono ritirate a fine giugno dopo 20 anni di missione veniamo accolti all’aeroporto da ufficiali dell’esercito afghano con la divisa immacolata, che sono passati dalla sera alla mattina con i talebani. Uno ci saluta con un perfetto “buongiorno”. In qualche assurda maniera si sparge la voce che siamo “una squadra di evacuazione” per i tanti interpreti e collaboratori dell’Italia rimasti indietro. In albergo è una processione di vigili del fuoco di Herat addestrati dagli italiani, tecnici dell’aeroporto che lavoravano con la Nato e traduttori delle nostre truppe in cerca di aiuto per scappare dal paese. A Kabul abbiamo incontrato afghani in fuga veramente a rischio. La donna soldato che i talebani sono andati a cercare a casa minacciata anche prima come rappresentante della politica gender nel corpo d’armata di Herat. “Se mi prendono sono morta. Dovete aiutarmi” ribadisce l’afghana. Un interprete, che non è riuscito a raggiungere l’aeroporto, sottolinea: “Preferisco dormire per strada in Italia piuttosto che venire decapitato in Afghanistan”. Il comandante Mohammed Esrael responsabile dell’aeroporto di Herat giura che “l’amnistia decisa dall’Emirato riguarda pure i collaboratori delle forze di occupazione straniere. Non gli verrà torto un capello”. Molti afghani non si fidano e vorrebbero fuggire, ma il fondato sospetto è che fra chi ha veramente diritto alla protezione siano riusciti ad infilarsi nell’evacuazione di 5mila afghani in Italia anche parenti e amici. “COSI’ ABBIAMO COMBATTUTO CONTRO DI VOI” Il comandante Esrael ci fa entrare a Camp Arena, il quartier generale italiano saccheggiato e distrutto. Neanche la cappella è stata risparmiata e gli integralisti hanno girato un comico video mentre utilizzano la palestra, ma pure l’attrezzatura sembra sparita nel nulla. Il talebano della prima ora lancia una sorprendente proposta agli italiani: “Riconciliamoci. Noi non cerchiamo vendetta. Tornate per ricostruire assieme il paese”. Altre basi utilizzate dagli italiani sono state conquistate lungo l’autostrada per l’inferno che porta verso Kandahar, come veniva chiamata dalle truppe italiane per le trappole esplosive. Ad Adraskan, dove c’erano i carabinieri, il comandante Amrullah barbone nero come il turbante sostiene di “avere combattuto per anni contro i soldati italiani. Abbiamo piazzato trappole esplosive per far saltare in aria i vostri blindati. E attaccato questa base con razzi e colpi di mortaio”. A Bala Baluk, ancora più a sud, base Tobruk è un cumulo di macerie. Haji Ekmad, pure lui veterano del primo Emirato, racconta quando “lanciava le macchine minate contro gli italiani”. I talebani, però, non sono un monolite. Un pericoloso braccio di ferro è in corso fra i pragmatici guidati dal vicepremier Abdul Ghani Baradar ed i duri e puri del clan Haqqani fondatori dell’omonima rete terroristica. Lo scontro all’interno del governo avrebbe provocato una scazzottata ed il ferimento di Baradar. Il rischio è che esploda una guerra civile alimentata dalle faide interne. Per Alberto Cairo, veterano della Croce rossa internazionale a Kabul, i nodi arriveranno presto al pettine: “Prima mi chiedevano aiuto 2-3 persone al giorno, adesso sono dieci. Con l’inverno alle porte, il covid che non demorde e il disastro economico se vengono a mancare gli aiuti dall’estero il crollo dell’Afghanistan sarà inevitabile” . Fausto Biloslavo |
| [continua] |
|
video
|
|
|
16 aprile 2010 | SkyTG24 | reportage
Luci e ombre su Emergency in prima linea
Per la prima volta collegamento in diretta dal mio studio a Trieste. Gli altri ospiti sono: Luca Caracciolo di Limes, il sottosegretario agli Esteri Alfredo Mantica e l'ex generale Mauro Del Vecchio. In collegamento Maso Notarianni, direttore di Peacereporter
|
|
|
|
|
10 ottobre 2010 | Domenica Cinque | reportage
In guerra si muore: 4 penne nere cadute in battaglia
Furiosa battaglia in Afghanistan: i talebani tendono un'imboscata ad un convoglio italiano nella famigerata valle del Gulistan. L'obiettivo è spingere i blindati verso una o più trappole esplosive piazzate dagli insorti. Un «Lince» salta in aria uccidendo sul colpo quattro penne nere e ferendo un quinto alpino. I soccorsi riescono a mettere in salvo l'unico sopravvissuto, sotto il fuoco degli insorti. La trappola esplosiva ha ucciso Gianmarco Manca, Francesco Vannozzi, Sebastiano Ville e Marco Pedone, tutti del 7˚ reggimento alpini della brigata Julia, di stanza a Belluno.
|
|
|
|
|
14 novembre 2001 | TG5 - Canale 5 e Studio Aperto - Italia 1 | reportage
Il giorno dopo la liberazione di Kabul
Il giorno dopo la liberazione di Kabul
|
|
|
|
radio

|
02 novembre 2009 | SBS Radio Italian Language Programme | intervento |
Afghanistan
La crisi elettorale
Dopo il boicottaggio del secondo turno di Abdulla Abdullah, il rivale tajiko del presidente pasthun Hamid Karzai
|

|
18 agosto 2009 | Radio24 | reportage |
Afghanistan
Al fronte con gli italiani/Il seggio più vicino a "dushman" il nemico
La casupola disabitata, in paglia e fango, con il tetto a cupola sembra abbandonata dallo scorso anno, quando i marines combattevano nel deserto infernale di Bala Baluk. Oggi ci sono i paracadutisti della Folgore in questo sperduto angolo della provincia di Farah. All’interno è ancora peggio, ma la casupola viene subito scelta come seggio elettorale per le elezioni presidenziali e provinciali del 20 agosto.
Non per il suo fascino esotico, ma perché può venir trasformata in un fortino. La roccaforte talebana di Shewan si trova ad un pugno di chilometri. Da quelle parti comanda mullah Sultan, un ex prigioniero del campo americano di Guantanamo. “E’ il seggio più vicino a dushman, il nemico” spiega un ufficiale della poliza afghana. Se incroci di notte lui ed i suoi uomini, barbe lunghe e stile armata Brancaleone, li scambi per talebani. Solo arrivarci da queste parti è un terno al lotto come spiega il tenente Alessandro Capone della 6° compagnia Grifi (audio originale).
Il giorno del voto i paracadutisti italiani sono pronti a difendere le elezioni armi in pugno. La scorsa settimana sembrava che nella zona a rischio di Bala Baluk sarebbe stato disponibile un solo seggio, ma nelle ultime ore si punta ad aprirne 8 o 9.
Un successo, anche se la vera incognita è quanti elettori si recheranno alle urne. I talebani hanno minacciato che taglieranno il naso, le orecchie ed il dito segnato dall’inchiostro indelebile di chi è andato a votare.
Fausto Biloslavo
da base Tobruk, provincia di Farah, Afghanistan
per Radio 24 il Sole 24 ore
|

|
18 maggio 2005 | Radio 24 | intervento |
Afghanistan
Gli americani profanano il Corano. Rivolta in Afghanistan
Una volontaria italiana, Clementina Cantoni, trentaduenne milanese, è stata rapita nel centro di Kabul da quattro uomi armati. La donna è un'operatrice dell'organizzazione umanitaria Care International e si occupa da tre anni di soccorrere le vedove di guerra in Afghanistan. L'avvenimento è stata come una doccia fredda sulle speranze di normalizzazione legate al governo Karzai e all'esportazione di un modello di democrazia partito ormai dal lontano 2001. L'idea di democrazia è stata un progetto vincente? La questione della sicurezza è ancora così spinosa? La situazione afghana è migliorata dopo la sconfitta dei Talebani? Ne parliamo con Gino Strada, chirurgo e fondatore di Emergency, Fausto Biloslavo, giornalista, Alberto Cairo, responsabile in Afghanistan del progetto ortopedico del Comitato internazionale della Croce Rossa Internazionale, Pietro De Carli, responsabile dei programmi di emergenza della cooperazione italiana per il Ministero degli Esteri e Jolanda Brunetti Goetz, ambasciatore responsabile della ricostruzione della sicurezza in Afghanistan.
|

|
24 settembre 2007 | Radio 24 | intervento |
Afghanistan
Blitz dei corpi speciali
Con Fausto Biloslavo del Giornale ricostruiamo le fasi del blitz dei corpi speciali che ha consentito la liberazione dei due militari italiani rapiti in Afghanistan. Sono due agenti del Sismi, impegnati in una missione di ricognizione e fatti prigionieri da gruppi vicini ai talebani.
|

|
19 agosto 2009 | Radio24 | reportage |
Afghanistan
Al fronte con gli italiani/ Talebani scatenati contro le elezioni
Nelle ultime ore i talebani si stanno scatenando contro le elezioni presidenziali in Afghanistan di domani. Con attentati spettacolari nella capitale e cercando di ostacolare il voto nelle zone “calde” come la provincia di Farah sotto controllo italiano. Ieri mattina è toccato ad un convoglio dei bersaglieri del primo reggimento, che scortava urne e materiale elettorale a finire sotto il fuoco, come racconta a Radio 24 il tenente Marco Carnevale.
Ai Leoni, i fanti piumati partiti da base El Alamein, nel capoluogo di Farah, fischiavano i razzi controcarro Rpg sopra le teste lanciati dai talebani annidati in un villaggio ed in un boschetto. I nostri hanno risposto al fuoco in una battaglia che è durata un paio d’ore (audio originale). Sono intervenuti anche un caccia F 16 e gli elicotteri Mangusta, ma non è stato necessario bombardare. I soldati italiani sono illesi ed i mezzi non hanno subito danni significativi. “I nemici dell’Afghanistan vogliono intimidire la popolazione negandole il diritto al voto” denuncia il colonnello Gabriele Toscani De Col comandante della task force italiana a Farah.
Più a nord, vicino ad Herat dove ha sede il comando del nostro contingente di 2700 uomini si è svolta nelle ultime ore un’altra operazione contro una cellula di insorti specializzata nella preparazione delle cosiddette Ied le trappole esplosive, che un mese fa hanno ucciso il parà Alessandro Di Lisio. La battaglia per il voto in Afghanistan è iniziata.
Fausto Biloslavo da base avanzata Tobruk, provincia di Farah, Afghanistan occidentale
Per Radio 24 il Sole 24 ore
|
|
|
|
|