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Reportage
27 settembre 2021 - Esteri - Afghanistan - Il giornale.it
“Sono finalmente salva”. Così è scappata “il soldato Jane” afghano
Il messaggio, nonostante fosse atteso da giorni, arriva improvviso: “Ho appena passato il confine. Sono salva”. L’ha inviato la “soldato Jane”, che avevamo incontrato a Kabul tra gli zombie dell’Afghanistan talebano. Occhi scuri, che sbucavano tra la mascherina e il velo, e la voce sicura di chi sa di aver fatto il proprio dovere: “La nostra situazione è disperata se voi italiani non riuscirete a farci uscire dal paese finirà male. Molto male”, ci aveva detto. Oggi, però, il “soldato Jane”, di cui non possiamo fare il nome per motivi di sicurezza, è riuscita a fare il passo più importante della sua vita: quello che l’ha portata al di là del confine. La sua, però, è una eccezione.
Sono ancora centinaia gli afghani che hanno collaborato con gli italiani durante questi vent’anni di guerra e che ora vivono sotto il regime dei talebani. Tra gli abbandonati, di cui non è facile individuare un numero, anche dieci interpreti che facevano parte di una lista di 57 nomi affidata ad Ali Safdari, un loro collega che ora si trova in Italia e che, racconta chi è rimasto, non ha fatto molto per aiutarli.
I nomi dei dieci interpreti rimasti erano tutti nella lista che era stata approvata dal generale Luciano Portolano, alla guida delle operazioni di esfiltrazione a Kabul che hanno permesso l’evacuazione di 4.890 afghani. Non appena hanno ricevuto i messaggi del Covi per raggiungere l’aeroporto, gli interpreti hanno fatto il possibile per arrivare all’interno di Abbey Gate: “Abbiamo venduto i nostri elettrodomestici e le nostre cose e siamo partiti da Herat per Kabul a metà agosto 2021. Tuttavia, quando abbiamo raggiunto l’aeroporto di Kabul” – scrivono nella lettera – “abbiamo dovuto aspettare a lungo sulla ‘linea della morte’. Alcuni di noi hanno quasi perso moglie e figli nel tentativo di raggiungere la prima linea. Alcuni sono arrivati in Italia, ma non noi perché non siamo riusciti a superare la folla. Quelli che ce l’avevano fatta e che avevano raggiunto il punto di esfiltrazione sono stati ignorati dalle forze italiane…”.
Per gli interpreti rimasti, quelli dal 15 agosto in poi, sono stati dieci giorni di fuoco, che sono evaporati il 26 agosto scorso, dopo l’attentato dello Stato islamico all’aeroporto di Kabul. Sono stati sufficienti pochi istanti, subito dopo l’esplosione, per comprendere che le operazioni erano ormai impossibili perché non c’era più alcuna possibilità di garantire la sicurezza della struttura e delle migliaia di persone che vi erano dentro. Quando l’ultimo aereo italiano parte, la frustrazione comincia a diffondersi tra gli afghani.
I dieci rimasti, insieme alle famiglie, si sentono traditi e abbandonati: “Alcuni di noi sono a Kabul” – ci fanno sapere – “e vivono nelle tende sotto un clima estremamente caldo, tanto che alcuni membri della nostra famiglia si sono ammalati, ma non possiamo permetterci di portarli dal medico perché abbiamo speso la maggior parte dei nostri soldi. I nostri figli hanno problemi psicologici, piangono e si lamentano tutto il giorno. Alcuni di noi sono tornati a Herat e ora mantengono un profilo basso per evitare di essere identificati come interpreti italiani”.
Ciò che più li assilla è il tempo. Ogni giorno che passa è un giorno in più in cui rischiano che i talebani gli taglino la gola: “Non ci possiamo fidare di loro”, ci raccontano. “Sono un gruppo terroristico”. Nei giorni scorsi la Difesa ha chiamato alcuni di loro per dire che si sta facendo il possibile e che, a breve, potranno abbandonare il Paese. Ma gli interpreti fanno fatica a fidarsi. Hanno bisogno di azioni concrete, il prima possibile: “Chiediamo al governo italiano di ascoltare la nostra voce e di venire in nostro soccorso prima che noi, o le nostre amate famiglie, perdiamo la vita solo perché abbiamo avuto l’onore di lavorare per le forze italiane”. Un appello che deve essere ascoltato. Anche perché nella nostra testa risuonano ancora le parole del “soldato Jane”: “Se non ci porterete fuori finirà molto male…”.

[continua]

video
27 novembre 2001 | TG5 - Canale 5 | reportage
Kunduz sta cadendo
Kunduz sta cadendo "Inshalla"

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15 novembre 2001 | TG5 - Canale 5 e Studio Aperto - Italia 1 | reportage
Si combatte a sud di Kabul
Si combatte a sud di Kabul

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14 novembre 2001 | TG5 - Canale 5 e Studio Aperto - Italia 1 | reportage
Il giorno dopo la liberazione di Kabul
Il giorno dopo la liberazione di Kabul

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[altri video]
radio

02 novembre 2009 | SBS Radio Italian Language Programme | intervento
Afghanistan
La crisi elettorale
Dopo il boicottaggio del secondo turno di Abdulla Abdullah, il rivale tajiko del presidente pasthun Hamid Karzai

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13 novembre 2001 | Radio 24 Vivavoce | reportage
Afghanistan
Il crollo dei talebani - Giornalisti al fronte/3
In prima linea in Afghanistan dopo l'11 settembre. Il ruolo dei giornalisti. "Bisogna stare sempre più attenti. E poi se un giornalista perde la vita non può mandare il pezzo"

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12 aprile 2010 | Radio 24 | intervento
Afghanistan
Giallo sulla confessione di Emergency
Gioco sporco e tinto di giallo sula sorte dei tre volontari italiani di Emergency in manette con l’accusa di essere coinvolti in un complotto talebano per uccidere il governatore della provincia afghana di Helmand.

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26 agosto 2008 | Radio24 | reportage
Afghanistan
Taccuino di guerra - Non solo battaglie. Gli aiuti e la ricostruzione
Afghanistan,un'estate in trincea.In prima linea con i soldati italiani

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18 agosto 2010 | SBS | intervento
Afghanistan
Vittime civili e negoziati con i talebani
Dall’inizio dell’anno vengono uccisi in Afghanistan una media di 6 civili al giorno e 8 rimangono feriti a causa del conflitto. Lo sostiene Afghanistan rights monitor (Arm), che registra le vittime della guerra. Nel 2010 sono stati uccisi 1047 civili e altri 1500 feriti. Un incremento del 13% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Oltre il 60% delle vittime civili sono responsabilità degli insorti (661), che secondo il rapporto di Arm “dimostrano scarso o nessun rispetto per la sicurezza e la protezione dei non combattenti”. Le trappole esplosive hanno ucciso fino ad oggi 282 civili, più di ogni altra minaccia seguito da 127 morti a causa degli attacchi suicidi. Le truppe della coalizione internazionale hanno ridotto considerevolmente le perdite provocate fra i civili grazie alle restrizioni imposte sugli interventi aerei. L’Arm sostiene che dall’inizio dell’anno 210 civili sono morti per colpa della Nato. Altri 108 sono stati uccisi dalle forze di sicurezza afghane. Lo scorso anno, secondo le Nazioni Unite, sono stati uccisi in Afghanistan 2.412 civili, il 14% in più rispetto al 2008. Però il 70% dei morti era responsabilità dei talebani. Non solo: le 596 vittime attribuite alle forze Nato e di Kabul segnano un calo del 28% rispetto al 2008. Un segnale che gli ordini ferrei del comando Nato in Afghanistan, tesi ad evitare perdite fra i civili, sono serviti a qualcosa. La propaganda talebana, però riesce a far credere in Afghanistan, ma pure nelle fragili opinioni pubbliche occidentali che i soldati della Nato sono i più cattivi o addirittura gli unici responsabili delle vittime civili a causa dei bombardamenti.

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