image
Reportage
27 ottobre 2021 - Interni - Italia - Panorama
No pass gli invisibili della protesta
TRIESTE - “Bugiardi, falsari, truffatori” grida Antonio davanti alla sede Rai di Trieste assediata da diecimila manifestanti scesi in piazza per protestare contro il green pass. Assicuratore non lontano dalla quiescenza, sempre impeccabile e distinto, sente il richiamo della gioventù quando sfilava nei cortei anti trattato di Osimo degli anni settanta, che sancì la cessione senza contropartite dell’ultimo lembo dell’Istria al maresciallo Tito. E anche allora la Rai era accusata di parzialità e disinformazione. Antonio è uno dei tanti cittadini normali che hanno aderito alla protesta no pass senza le intemperanze dei radicali di sinistra, degli estremisti di destra o di ultrà religiosi. “Ho partecipato e parteciperò alle manifestazioni contro il \\\"green pass\\\". Le ritengo giuste, doverose e sacrosante. Il filosofo Giorgio Agamben ha ricordato recentemente che nemmeno nella vecchia Unione Sovietica del compagno Stalin erano previste restrizioni così gravose ed irragionevoli” spiega Antonio. Uomo di cultura attacca “la \\\"carta verde\\\" diventata un requisito per poter lavorare ed un ricatto per forzare le vaccinazioni, cosa che peraltro pare del tutto normale ai tanti costituzionalisti a gettone che siedono in parlamento o occupano i vertici delle istituzioni”. Antonio, che ha sfilato elegantemente in giacca, difende i cortei: “Sono popolati da uomini e donne preoccupati per la salute propria e dei propri cari, che condividono le fondate riserve di molti scienziati nei confronti della vaccinazione di massa. Ci si imbatte anche, ma è fisiologico ed inevitabile, in personaggi folcloristici o non del tutto equilibrati. Si tratta di componenti veramente marginali che diventano prevalenti o maggioritari solo negli interessati resoconti di certi giornalisti”.
Non tutti schierati con la linea ufficiale. Riccardo Pellicetti, giornalista triestino, conosce bene la zona degli scontri scoppiati il 18 ottobre per l’intervento di sgombero della polizia dei portuali e manifestanti che presidiavano uno dei varchi d’ingresso dello scalo giuliano, il primo in Italia per movimentazione merci. “Ai disordini in viale Campi Elisi hanno partecipato al massimo una cinquantina di persone - racconta - Ma i cortei no pass sono composti da migliaia di cittadini, lavoratori, anziani, pensionati, gente assolutamente normale e tranquilla”. Malato di covid, vaccinato della prima ora, Pellicetti è convinto “che era meglio l’obbligo vaccinale rispetto al green pass che provoca discriminazione ed è uno strumento di controllo sociale”. Per questo “sono andato in piazza sia per aderire alla protesta che come giornalista per documentare le manifestazioni”.
Trieste, “capitale” dei no pass, divide le famiglie della borghesia cittadina solitamente tranquilla. Paola e Anna sono due sorelle “contro” sul fronte del lasciapassare verde. L’11 ottobre quando erano scese in piazza 15mila persone, la prima prestava servizio come volontaria al centro vaccinale in porto vecchio. La seconda partecipava al corteo nelle stesse ore, che ha fatto diventare Trieste la “capitale” no pass. “Mia sorella è vaccinata e ha il green pass, ma pensa che viviamo in una dittatura sanitaria. Sono dall’altra parte della barricata e sbaruffiamo alla grande. Ci vogliamo sempre bene, ma sto malissimo” spiega Paola che armata di mascherina aiuta le persone nelle pratiche per il vaccino. Anna è molto legata alla sorella, ma ammette che “c’è un muro, non abbiamo un punto di incontro. Scendo in piazza solo nei cortei autorizzati. La protesta deve essere pacifica. Quando qualcuno voleva manifestare in modo più acceso noi donne ci siamo messe in mezzo per placare tutti. Siamo in tante per i nostri figli”. Anna ha il marito primario d’accordo con lei, anche se “mi prende per pazza perché vado alle manifestazioni”. I due figli grandi non sono vaccinati e fanno i tamponi ogni 48 ore per andare al lavoro. “Sull’uso della forza della polizia al porto contro gente pacifica ci siamo dette di tutto con mia sorella. Ma nella telefonata dopo si fa pace - racconta Anna - Questa situazione  mette le persone una contro l’altra. Una mia cara amica si è lasciata con il compagno estremista pro vax e lei contro il vaccino”.
Un farmacista ha portato la moglie in piazza e commenta: “Ci sono quelli che si fanno le canne con le treccioline, ma incontri anche l’avvocato, il commercialista, i professionisti che manifestano per la libertà”. Molto preparato sciorina numeri e tabelle che dimostrerebbero l’inefficacia dei vaccini e l’infondatezza dei dati ufficiali. Assieme a Francesco Zarattini, piccolo imprenditore in ambito sanitario, aveva portato un paio di tavolini da campeggio e mezzi di conforto per i manifestanti all’ingresso del porto. “Non ho tesi di partito, non appartengo ad alcuna associazione, ma sono qui perché la democrazia si sta sgretolando con un progetto che parte da lontano. Basta leggere il Grande reset, libro di Klaus Schwab. L’obiettivo è indebolire la democrazia con governi di tecnocrati” è convinto Zarattini in piazza con la moglie. Lui è vaccinato e favorevole “ad un uso prudente e razionale dei vaccini con una pari dignità di tutte le terapie domiciliari, soprattuto precoci”.
Bruno Scapini, ex ambasciatore italiano, è a Roma, ma viene spesso a Trieste, dove vive la figlia e ha partecipato ai cortei. Durante il presidio allo scalo giuliano rimbalzato in tutto il mondo ha fatto girare un messaggio ai suoi contatti all’estero, in inglese, di questo tenore: “Cari amici! È spaventoso! Impossibile crederci! Ma vero! L\\\'Italia sta per diventare una dittatura totale. (…) Noi persone abbiamo bisogno di aiuto ora da paesi amici! Nella maggior parte delle città ci sono ribelli. I lavoratori del porto di Trieste hanno preso la guida dell\\\'opposizione al governo e hanno bisogno di sostegno per continuare la loro lotta per la libertà!”. In realtà il 19 ottobre i portuali hanno preso le distanze dal loro ex portavoce, Stefano Puzzer, che continua a guidare la ribellione con un nuovo Comitato composto da professionisti che non hanno mai lavorato nello scalo.
La no vax  più anziana, e certamente innocua, è Liliana, 88 anni, munita di berretto e piumino bianchi. “Per solidarietà mi sento una portuale pure io - ha dichiarato - Non mi sono vaccinata e non ho il green pass anche se alcune persone care sono morte di covid. Trieste ha lottato e dopo la guerra si è trovata con metà gente. Non siamo marionette”. Lo spirito indipendente è confermato da Renato Furlani, commercialista: “Trieste ha un retaggio storico importante. E’ una città che si è sempre sentita libera. Non ho mai sfilato in un corteo in vita mia. La stragrande maggioranza dei manifestanti è composta da cittadini normalissimi. La molla è stata la violazione della Costituzione a cominciare dal green pass”.
Fausto Biloslavo
[continua]

video
04 luglio 2012 | Telefriuli | reportage
Conosciamoci
Giornalismo di guerra e altro.

play
23 aprile 2012 | Premio Lago | reportage
Il premio Giorgio Lago: Arte, impresa, giornalismo, volontariato del Nord Est
Motivazione della Giuria: Giornalista di razza. Sempre sulla notizia, esposto in prima persona nei vari teatri di guerra del mondo. Penna sottile, attenta, con un grande amore per la verità raccontata a narrare le diverse vicende dell’uomo.

play
07 aprile 2020 | Tg5 | reportage
Parla il sopravvissuto al virus
Fausto Biloslavo TRIESTE - Il sopravvissuto sta sbucciando un’arancia seduto sul letto di ospedale, come se non fosse rispuntato da poco dall’anticamera dell’inferno. Maglietta grigia, speranza dipinta negli occhi, Giovanni Ziliani è stato dimesso mercoledì, per tornare a casa. Quarantadue anni, atleta e istruttore di arti marziali ai bambini, il 10 marzo ha iniziato a stare male nella sua città, Cremona. Cinque giorni dopo è finito in terapia intensiva. Dalla Lombardia l’hanno trasferito a Trieste, dove un tubo in gola gli pompava aria nei polmoni devastati dall’infezione. Dopo 17 giorni di calvario è tornato a vivere, non più contagioso. Cosa ricorda di questa discesa all’inferno? “Non volevo dormire perchè avevo paura di smettere di respirare. Ricordo il tubo in gola, come dovevo convivere con il dolore, gli sforzi di vomito ogni volta che cercavo di deglutire. E gli occhi arrossati che bruciavano. Quando mi sono svegliato, ancora intubato, ero spaventato, disorientato. La sensazione è di impotenza sul proprio corpo. Ti rendi conto che dipendi da fili, tubi, macchine. E che la cosa più naturale del mondo, respirare, non lo è più”. Dove ha trovato la forza? “Mi sono aggrappato alla famiglia, ai valori veri. Al ricordo di mia moglie, in cinta da otto mesi e di nostra figlia di 7 anni. Ti aggrappi a quello che conta nella vita. E poi c’erano gli angeli in tuta bianca che mi hanno fatto rinascere”. Gli operatori sanitari dell’ospedale? “Sì, medici ed infermieri che ti aiutano e confortano in ogni modo. Volevo comunicare, ma non ci riuscivo perchè avevo un tubo in gola. Hanno provato a farmi scrivere, ma ero talmente debole che non ero in grado. Allora mi hanno portato un foglio plastificato con l’alfabeto e digitavo le lettere per comporre le parole”. Il momento che non dimenticherà mai? “Quando mi hanno estubato. E’ stata una festa. E quando ero in grado di parlare la prima cosa che hanno fatto è una chiamata in viva voce con mia moglie. Dopo tanti giorni fra la vita e la morte è stato un momento bellissimo”. Come ha recuperato le forze? “Sono stato svezzato come si fa con i vitellini. Dopo tanto tempo con il sondino per l’alimentazione mi hanno somministrato in bocca del tè caldo con una piccola siringa. Non ero solo un paziente che dovevano curare. Mi sono sentito accudito”. Come è stato infettato? “Abbiamo preso il virus da papà, che purtroppo non ce l’ha fatta. Mio fratello è intubato a Varese non ancora fuori pericolo”. E la sua famiglia? “Moglie e figlia di 7 anni per fortuna sono negative. La mia signora è in attesa di Gabriele che nascerà fra un mese. Ed io sono rinato a Trieste”. Ha pensato di non farcela? “Ero stanco di stare male con la febbre sempre a 39,6. Speravo di addormentarmi in terapia intensiva e di risvegliarmi guarito. Non è andata proprio in questo modo, ma è finita così: una vittoria per tutti”.

play
[altri video]
radio

15 marzo 2018 | Radio Radicale | intervento
Italia
Missioni militari e interesse nazionale
https://www.radioradicale.it/scheda/535875/missioni-militari-e-interesse-nazionale Convegno "Missioni militari e interesse nazionale", registrato a Roma giovedì 15 marzo 2018 alle 09:23. L'evento è stato organizzato da Center for Near Abroad Strategic Studies. Sono intervenuti: Paolo Quercia (Direttore del CeNASS, Center for Near Abroad Strategic Studies), Massimo Artini (vicepresidente della Commissione Difesa della Camera dei deputati, Misto - Alternativa Libera (gruppo parlamentare Camera)), Fausto Biloslavo (giornalista, inviato di guerra), Francesco Semprini (corrispondente de "La Stampa" da New York), Arije Antinori (dottore di Ricerca in Criminologia ed alla Sicurezza alla Sapienza Università di Roma), Leonardo di marco (generale di Corpo d'Armata dell'Esercito), Fabrizio Cicchitto (presidente della Commissione Affari esteri della Camera, Area Popolare-NCD-Centristi per l'Europa). Tra gli argomenti discussi: Difesa, Esercito, Esteri, Forze Armate, Governo, Guerra, Informazione, Italia, Ministeri, Peace Keeping, Sicurezza. La registrazione video di questo convegno ha una durata di 2 ore e 46 minuti. Questo contenuto è disponibile anche nella sola versione audio

play

06 settembre 2018 | Radio immaginaria | intervento
Italia
Teen Parade
Gli adolescenti mi intervistano sulla passione per i reportage di guerra

play

24 maggio 2010 | Radio Padania Libera | intervento
Italia
Proselitismo islamico dietro le sbarre
“Penso che sia giusto se alcuni musulmani combattono la guerra santa contro gli americani in paesi che non sono la loro terra”. Dopo un lungo girarci attorno Kamel Adid sorprende un po’ tutti, quando sputa il rospo. La domanda riguardava i mujaheddin, i musulmani pronti a morire per Allah, contro l’invasore infedele. Tre soldati della guerra santa, arrivati un paio di mesi fa da Guantanamo, sono rinchiusi poco più in là, nel reparto di massima sicurezza del carcere di Opera, alle porte di Milano.
Adid è un giovane marocchino di 31 anni con barbetta islamica d’ordinanza e tunica color noce. Nel carcere modello di Opera fa l’imam dei 44 musulmani detenuti, che frequentano una grande sala adibita a moschea. Un predicatore fai da te, che di solito parla un linguaggio moderato e ti guarda con occhioni apparentemente timidi.
Deve scontare ancora due mesi di pena per un reato legato alla droga e da pochi giorni è stato trasferito in un altro istituto. “Quelli che si fanno saltare in aria subiscono il lavaggio del cervello – si affretta a spiegare l’autonominato imam – Noi abbiamo riscoperto la fede in carcere. Pregare ci da conforto, ci aiuta ad avere speranza”.

play

27 gennaio 2020 | Radio 1 Italia sotto inchiesta | intervento
Italia
Esercito e siti ebraici
Fausto Biloslavo I nostri soldati rispettano la giornata della Memoria dell’Olocausto non solo il 27 gennaio, ma tutto l’anno. L’esercito, con l’operazione Strade sicure, schiera 24 ore al giorno ben 700 uomini in difesa di 58 siti ebraici sul territorio nazionale. Tutti obiettivi sensibili per possibile attentati oppure oltraggi anti semiti. “Per ora non è mai accaduto nulla anche grazie alla presenza dei militari, che serve da deterrenza e non solo. Il senso di sicurezza ha evitato episodi di odio e minacce ripetute come in Francia, che rischiano di provocare un esodo della comunità ebraica” spiega una fonte militare de il Giornale. I soldati, che si sono fatti le ossa all’estero, sorvegliano, quasi sempre con presidi fissi, 32 sinagoghe o tempi ebraici, 9 scuole, 4 musei e altri 13 siti distribuiti in tutta Italia, ma soprattutto al nord e al centro. La città con il più alto numero di obiettivi sensibili, il 41%, è Milano. Non a caso il comandante del raggruppamento di Strade sicure, come in altre città, è ufficialmente invitato alle celebrazioni del 27 gennaio, giorno della Memoria. Lo scorso anno, in occasione dell’anniversario della nascita dello Stato di Israele, il rappresentante della comunità ebraica di Livorno, Vittorio Mosseri, ha consegnato una targa al comandante dei paracadustisti. “Alla brigata Folgore con stima e gratitudine per il servizio di sicurezza prestato nell’ambito dell’operazione Strade sicure contribuendo con attenzione e professionalità al sereno svolgimento delle attività della nostro comunità” il testo inciso sulla targa. In questi tempi di spauracchi anti semiti l’esercito difende i siti ebraici in Italia con un numero di uomini praticamente equivalente a quello dispiegato in Afghanistan nel fortino di Herat. Grazie ad un’esperienza acquisita all’estero nella protezione delle minoranze religiose, come l’antico monastero serbo ortodosso di Decani in Kosovo. “In ogni città dove è presente la comunità ebraica esiste un responsabile della sicurezza, un professionista che collabora con le forze dell’ordine ed i militari per coordinare al meglio la vigilanza” spiega la fonte del Giornale. Una specie di “assessore” alla sicurezza, che organizza anche il sistema di sorveglianza elettronica con telecamere e sistemi anti intrusione di avanguardia su ogni sito. Non solo: se in zona appare un simbolo o una scritta anti semita, soprattuto in arabo, viene subito segnalata, fotografata, analizzata e tradotta. “I livelli di allerta talvolta si innalzano in base alla situazione internazionale” osserva la fonte militare. L’ultimo allarme ha riguardato i venti di guerra fra Iran e Stati Uniti in seguito all’eliminazione del generale Qassem Soleimani. Roma è la seconda città per siti ebraici presidiati dai militari compresi asili, scuole e oratori. Le sinagoghe sono sorvegliate pure a Napoli, Verona, Trieste e quando necessario vengono disposte le barriere di cemento per evitare attacchi con mezzi minati o utilizzati come arieti. A Venezia i soldati garantiscono la sicurezza dello storico ghetto. A Livorno e in altre città sono controllati anche i cimiteri ebraici. Una residenza per anziani legata alla comunità è pure nella lista dei siti protetti a Milano. Ed i militari di Strade sicure nel capoluogo lombardo non perdono d’occhio il memoriale della Shoah, lo sterminio degli ebrei voluto da Hitler.

play

03 giugno 2019 | Radio Scarp | intervento
Italia
Professione Reporter di Guerra


play

[altri collegamenti radio]




fotografie







[altre foto]