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Intervista
09 dicembre 2021 - 10 notizie - Afghanistan - Grazia
Per arrivare in Italia ho sfidato i talebani
VERONA - “Aiutatemi a fuggire altrimenti i talebani mi uccideranno” era il disperato appello di Zhara Gol Popal, 32 anni, che avevamo incontrato di nascosto a Kabul nei primi giorni di settembre con la capitale appena conquistata dall’Emirato islamico. Il soldato Jane dell’Afghanistan, che collaborava con il contingente italiano ad Herat, aveva gli occhi lucidi e si teneva stretta i due figli, la più piccola Aslehan, nata a marzo e Arsalan di 9 anni. Zhara era in cima alla piccola Schindler list afghana di donne in pericolo, che alcuni giornalisti ed ex ufficiali italiani, ha deciso di portare in salvo. Grazie a una gara di solidarietà che ha coinvolto la Fondazione l’Ancora, il Lions Risorgimento di Torino e il Comune di Verona, la soldatessa afghana ed i suoi familairi sono arrivati in Italia. E racconta la sua storia a Grazia.
Perchè sei scappata dall’Afghanistan?
“In Afghanistan ero morta. Sentivo che la mia vita se ne stava andando. I talebani hanno sbattuto in galera mio padre perché volevano che mi consegnassi con la promessa dell’amnistia che non avrebbero mai mantenuto”.
Eri ricercata perchè indossavi l’uniforme?
“Sì ed ero diventata un simbolo a livello nazionale. Mi avevano anche dato una medaglia come donna più coraggiosa dell’Afghanistan. Con il grado di maggiore rappresentavo il genere femminile, le oltre 200 volontarie in divisa del 207° corpo d’armata di Herat. Avevo la responsabilità di far rispettare i diritti delle donne soldato nell’Afghanistan occidentale”.
Hai anche combattuto contro i talebani?
“In India ho frequentato un corso di tiratore scelto e sono arrivata prima. Partecipavo alle operazioni contro i talebani, alle perquisizioni. E l’ho fatto quando ero già in cinta della mia bambina”.
Avevi contatti con il contingente italiano?
“I rapporti con le vostre forze armate erano eccezionali. Due volte alla settimana avevamo una riunione con gli ufficiali italiani e per questo mi recavo a Camp Arena (il quartier generale ad Herat nda). E poi sono stato la prima donna soldato in missione a Farah (il capoluogo di una provincia infestata dai talebani nda) presso il vostro distaccamento”.
Che fine hanno fatto le altre soldatesse afghane?
“Chi aveva soldi e poteva permetterselo è scappata verso l’Iran o il Pakistan. La maggioranza, però, è ancora in Afghanistan e vive nella paura, in una costante sofferenza. Sono in contatto con loro: Vogliono fare un video in inglese per lanciare un appello alla comunità internazionale denunciando che prima o dopo verranno uccise”.
Ci sono già state rappresaglie?
“Quando i talebani sono arrivati a Mazar i Sharif hanno fatto irruzione nella casa di una tenente dell’esercito afghano in cerca di armi e soprattutto soldi. Non aveva nulla e le hanno tagliato la gola, ma grazie al cielo non è morta. (Ci fa vedere un video della giovane militare con un profondo taglio da una parte all’altra del collo tamponato da una benda)”.
Quando sono arrivati i talebani ad Herat cosa è successo?
“Per una settimana siamo rimasti chiusi dentro la base del corpo d’armata con i talebani che attaccavano da tutte le parti. Ho tentato una sortita con due dei miei fratelli, che sono pure ufficiali dell’esercito. In  braccio avevo la bambina di pochi mesi e mio marito era al volante. Quando abbiamo cercato di passare il ponte Pasthun hanno cominciato a spararci addosso. Ho infilato la bambina sotto il sedile e siamo scesi  aprendo il fuoco per difenderci. E’ stato uno scontro drammatico, brutale. I talebani ci hanno lanciato contro un razzo anti carro Rpg, ma per fortuna mio marito è riuscito a girare il mezzo e siamo riusciti a scappare”.
Verso dove?
“Siamo tornati alla base dove il comandante pensava che fossimo morti. Il giorno dopo è atterrato l’ultimo aereo militare da Kabul e sono stata evacuata verso la capitale”.
I talebani, però, sono arrivati ben presto nella capitale…
“Mi piangeva il cuore. Mio padre dal carcere era stato costretto a chiamarmi per chiedermi di consegnarmi. Ci nascondevamo da un parente e avevamo paura di uscire di casa per comprare il pane. Sono stati giorni terribili: tremavo dal terrore e non avevamo da mangiare”.
Con il papà e la tua casa ad Herat cosa è accaduto?
“I talebani volevano mezzo milione di afghani (una cifra consistente in Afghanistan, ma che equivale a 4700 €) per liberarlo. Siamo riusciti a raccogliere metà della somma per pagare il riscatto. Lo stesso giorno della caduta di Herat la mia casa è stata occupata dalle famiglie dei loro “martiri”. I kamikaze che si sono fatti saltare in aria”.
Poi ci siamo incontrati di nascosto…
“Pensavo che la mia vita fosse finita, ma un amico mi ha passato il tuo numero dicendo che eri un generale italiano che aiutava gli afghani un fuga. Quando ti ho visto era chiaro che fossi un giornalista. Sei stato la nostra ancora di salvezza”.
Una lettera ti ha salvato la vita?
“Saremmo morti se non fosse stato per la lettera della Fondazione l’Ancora di Verona inviata all’ambasciata italiana a Islamabad, che garantiva la nostra accoglienza in Italia. Poche righe su un foglio di carta hanno salvato la mia vita e quella dei mie cari. Per questo vi sarò grata per sempre”.  
Come ti trovi in Italia?
“Benissimo e spero che mio figlio più grande possa andare presto a scuola. Così comincerà a imparare l’italiano, come voglio fare pure io”.   
Cosa pensi del futuro dell’Afghanistan?
“Negli ultimi 20 anni era rinato come paese emancipato, ma adesso siamo tornati indietro a un secolo fa. L’Afghanistan non esiste più. La classe dirigente è scappata. La mia nazione per cui i vostri e nostri soldati hanno versato il loro sangue è morta”.
Vuoi dire qualcosa alle donne italiane?
“Alle più giovani dico di non perdere mai le vostre speranze, i sogni. Prego che non vi troviate in una situazione come la mia. Spero che le donne italiane possano vivere sempre nell’assoluta libertà. E  auspico che tramite la loro voce riescano a far sentire la voce delle donne afghane oppresse dai talebani”.
Fausto Biloslavo

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