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Articolo
24 dicembre 2021 - Prima - Italia - Il Giornale |
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| Carola, sentenza choc: piena libertà alle Ong di sbarcare in Italia |
Al timone di una nave dei talebani dell\'accoglienza recuperi 53 migranti illegali partiti dalla Libia senza sognarti minimamente di farli sbarcare nella vicina Tunisia oppure in un altro paese europeo, ma solo in Italia. Poi disubbidisci a un ordine del ministro dell\'Interno di non entrare nelle acque territoriali italiane. E alla fine, pur di farli sbarcare, te ne freghi della motovedetta della Guardia di Finanza, che cerca di fermarti e la stritoli fra la fiancata della nave e il molo. In un paese normale ti sbatterebbero dietro le sbarre per un bel po\'. In Italia non solo diventi un\'eroina, ma ti viene garantita l\'impunità «umanitaria» grazie ad una sfilza di archiviazioni tese a sancire che non hai compiuto alcun reato. L\'ultimo atto di questa commedia giudiziaria si è consumato ieri ribadendo che Carola Rackete ha fatto bene a violare l\'ordine del Viminale di non entrare nelle acque italiane e ovviamente non ha favorito l\'immigrazione clandestina. Il ministro dell\'Interno di allora, giugno 2019, era Matteo Salvini e gli sbarchi quell\'anno sono stati 11.349. Oggi sono 64.364. Non solo: dopo il proscioglimento pieno della capitana tedesca qualsiasi comandante delle Ong del mare si sentirà libero di entrare in porto senza autorizzazione per sbarcare i migranti illegali. Il via libera, di fatto, arriva dall\'archiviazione della gip del tribunale di Agrigento, Micaela Raimondo, che ha scritto: «Carola Rackete ha agito nell\'adempimento del dovere di salvataggio previsto dal diritto nazionale e internazionale del mare». Impunità «umanitaria» per il favoreggiamento dell\'immigrazione clandestina. Il 12 giugno 2019, Colibrì, un aereo di una ong decollato da Lampedusa, individuò i migranti in mare. «Era un gommone in condizioni precarie e nessuno aveva giubbotto di salvataggio, non avevano benzina per raggiungere alcun posto» testimoniò Carola. In realtà una foto scattata dalla stessa Sea watch dimostrava che i tubolari del gommone blu risultavano gonfi e a bordo c\'erano diverse taniche solitamente usate per il carburante. I «soccorsi» spesso sono dei «recuperi» grazie ai trafficanti che individuano le posizioni delle navi e lanciano i gommoni. La procura di Agrigento, dopo due anni, ha deciso che era tutto a posto. Per di più la gip, accogliendo la richiesta di archiviazione del procuratore aggiunto Salvatore Vella, sostiene che la capitana di Sea Watch 3 «ha agito nell\'adempimento del dovere perché non si poteva considerare luogo sicuro il porto di Tripoli». Una volta imbarcati i migranti la nave si trovava più vicina alla Tunisia, 69 miglia, rispetto alle 124 da Lampedusa, ma Carola ha puntato sull\'Italia. Nell\'archiviazione di ieri si ribadisce che avere disobbedito al divieto del Viminale è una «condotta (...) scriminata dalla causa di giustificazione». Lo stato e il governo, che con Salvini aveva imposto i decreti sicurezza, di fatto, non hanno poteri per fermare i talebani dell\'accoglienza. Il paradosso è che la Sea Watch 3 «non può essere considerata come luogo sicuro - scrive la gip - oltre a essere in balia degli eventi meteorologici avversi, non consente il rispetto dei diritti fondamentali delle persone soccorse». Se così fosse non si capisce perché può svolgere sistematiche operazioni di «soccorso» nonostante la Guardia costiera avesse ripetutamente chiesto lo stop della nave per mancanza di certificazione e attrezzature necessarie. Il vero epitaffio giudiziario sul caso Rackete è arrivato nel 2020 dalla Corte di cassazione, che aveva sancito l\'illegittimità dell\'arresto e lo scorso maggio con una prima archiviazione delle accuse di resistenza a pubblico ufficiale e violenza a nave da guerra per lo «schiacciamento» della motovedetta della Finanza. Sea Watch canta vittoria e Open arms assieme a Greenpeace, costola ecologica dei talebani dell\'accoglienza, puntano il dito contro Salvini auspicando che l\'archiviazione diventi «un punto fondamentale per la vicenda che vede l\'ex ministro dell\'Interno accusato di sequestro di persona» a Palermo. Nel mondo alla rovescia delle Ong del mare con 788 migranti su tre navi da sbarcare in Italia per Natale il totale proscioglimento di Carola Rackete è un\'arma di pressione in più. E se qualcuno osasse opporsi si può sempre forzare impunemente l\'ingresso in porto. |
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29 dicembre 2011 | SkyTG24 | reportage
Almerigo ricordato 25 anni dopo
Con un bel gesto, che sana tante pelose dimenticanze, il presidente del nostro Ordine,Enzo Iacopino, ricorda davanti al premier Mario Monti, Almerigo Grilz primo giornalista italiano caduto su un campo di battaglia dopo la fine della seconda guerra mondiale, il 19 maggio 1987 in Mozambico.
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30 aprile 2020 | Tg5 | reportage
L'anticamera dell'inferno
Fausto Biloslavo
TRIESTE - “Per noi in prima linea c’è il timore che il ritorno alla vita normale auspicata da tutti possa portare a un aumento di contagi e dei ricoveri di persone in condizioni critiche” ammette Gianfranco, veterano degli infermieri bardato come un marziano per proteggersi dal virus. Dopo anni in pronto soccorso e terapia intensiva lavorava come ricercatore universitario, ma si è offerto volontario per combattere la pandemia. Lunedì si riapre, ma non dimentichiamo che registriamo ancora oltre 250 morti al giorno e quasi duemila nuovi positivi. I guariti aumentano e il contagio diminuisce, però 17.569 pazienti erano ricoverati con sintomi fino al primo maggio e 1578 in rianimazione. Per entrare nel reparto di pneumologia semi intensiva respiratoria dell’ospedale di Cattinara a Trieste bisogna seguire una minuziosa procedura di vestizione. Mascherina di massima protezione, tuta bianca, copri scarpe, doppi guanti e visiera per evitare il contagio. Andrea Valenti, responsabile infermieristico, è la guida nel reparto dove si continua a combattere, giorno e notte, per strappare i contagiati alla morte. Un grande open space con i pazienti più gravi collegati a scafandri o maschere che li aiutano a respirare e un nugolo di tute bianche che si spostano da un letto all’altro per monitorare o somministrare le terapie e dare conforto. Un contagiato con i capelli grigi tagliati a spazzola sembra quasi addormentato sotto il casco da marziano che pompa ossigeno. Davanti alla finestra sigillata un altro paziente che non riesce a parlare gesticola per indicare agli infermieri dove sente una fitta di dolore. Un signore cosciente, ma sfinito, con i tubi dell’ossigeno nel naso è collegato, come gli altri, a un monitor che segnala di continuo i parametri vitali. “Mi ha colpito un paziente che descriveva la sensazione terribile, più brutta del dolore, di non riuscire a respirare. Diceva che “è come se mi venisse incontro la morte”” racconta Marco Confalonieri direttore della struttura complessa di pneumologia e terapia intensiva respiratoria al dodicesimo piano della torre medica di Cattinara. La ventilazione non invasiva lascia cosciente il paziente che a Confalonieri ha raccontato come “bisogna diventare amico con la macchina, mettersi d’accordo con il ventilatore per uscire dal tunnel” e tornare alla vita.
Una “resuscitata” è Vasilica, 67 anni, operatrice di origine romena di una casa di risposo di Trieste dove ha contratto il virus. “Ho passato un inferno collegata a questi tubi, sotto il casco, ma la voglia di vivere e di rivedere i miei nipoti, compreso l’ultimo che sta per nascere, ti fa sopportare tutto” spiega la donna occhialuta con una coperta sulle spalle, mascherina e tubo per l’ossigeno. La sopravvissuta ancora ansima quando parla del personale: “Sono angeli. Senza questi infermieri, medici, operatori sanitari sarei morta. Lottano ogni momento al nostro fianco”.
Il rumore di fondo del reparto è il ronzio continuo delle macchine per l’ossigeno. L’ambiente è a pressione negativa per aspirare il virus e diminuire il pericolo, ma la ventilazione ai pazienti aumenta la dispersione di particelle infette. In 6 fra infermieri ed un medico sono stati contagiati. “Mi ha colpito la telefonata di Alessandra che piangendo ripeteva “non è colpa mia, non è colpa mia” - racconta Confalonieri con il volto coperto da occhialoni e maschera di protezione - Non aveva nessuna colpa, neppure sapeva come si è contagiata, ma si struggeva per dover lasciare soli i colleghi a fronteggiare il virus”.
Nicol Vusio, operatrice sanitaria triestina di 29 anni, ha spiegato a suo figlio che “la mamma è in “guerra” per combattere un nemico invisibile e bisogna vincere”. Da dietro la visiera ammette: “Me l’aspettavo fin dalla prime notizie dalla Cina. Secondo me avremmo dovuto reagire molto prima”. Nicol racconta come bagna le labbra dei pazienti “che con gli occhi ti ringraziano”. I contagiati più gravi non riescono a parlare, ma gli operatori trovano il modo di comunicare. “Uno sguardo, la rotazione del capo, il movimento di una mano ti fa capire se il paziente vuole essere sollevato oppure girato su un fianco o se respira male” spiega Gianfranco, infermiere da 30 anni.
Il direttore sottolinea che “il covid “cuoce” tutti gli organi, non solo il polmone e li fa collassare”, ma il reparto applica un protocollo basato sul cortisone che ha salvato una novantina di contagiati. Annamaria è una delle sopravvissute, ancora debole. Finalmente mangia da sola un piattino di pasta in bianco e con un mezzo sorriso annuncia la vittoria: “Il 7 maggio compio 79 anni”.
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16 marzo 2012 | Terra! | reportage
Feriti d'Italia
Fausto Biloslavo racconta le storie di alcuni soldati italiani feriti nel corso delle guerre in Afghanistan e Iraq.
Realizzato per il programma "Terra" (Canale 5).
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20 giugno 2017 | WDR | intervento |
Italia
Più cittadini italiani con lo ius soli
Estendere la cittadinanza italiana ai bambini figli di stranieri? È la proposta di legge in discussione in Senato in questi giorni. Abbiamo sentito favorevoli e contrari.
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03 giugno 2019 | Radio Scarp | intervento |
Italia
Professione Reporter di Guerra
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25 maggio 2010 | Spazio Radio - Radio 1 | intervento |
Italia
L'Islam nelle carceri italiane
In Italia su oltre 23mila detenuti stranieri, 9840 risultano musulmani, secondo i dati ufficiali. Almeno seimila, però, non si sono dichiarati. Il rapporto di 364 pagine, “La radicalizzazione jihadista nelle istituzioni penitenziarie europee”, realizzato dall’esperto di Islam nella carceri, Sergio Bianchi, ne indica 13mila.
In Italia ci sono circa 80 islamici dietro le sbarre per reati connessi al terrorismo. Dal 2009 li hanno concentrati in quattro istituti di pena: ad Asti, Macomer, Benevento e Rossano. Nel carcere di Opera, invece, sono arrivati Adel Ben Mabrouk, Nasri Riadh e Moez Abdel Qader Fezzani, ex prigionieri di Guantanamo. Chi li controlla ogni giorno racconta che parlano in italiano. La guerra santa in Afghanistan l’hanno abbracciata dopo aver vissuto come extracomunicatori nel nostro paese. Non si possono incontrare fra loro e vivono in celle singole. Pregano regolarmente con molta devozione e hanno mantenuto i barboni islamici.
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03 gennaio 2011 | Radio Capodistria - Storie di bipedi | intervento |
Italia
Gli occhi della guerra
Le orbite rossastre di un bambino soldato, lo sguardo terrorizzato di un prigioniero che attende il plotone di esecuzione, l’ultimo rigagnolo di vita nelle pupille di un ferito sono gli occhi della guerra incrociati in tanti reportage di prima linea.
Dopo l’esposizione in una dozzina di città la mostra fotografica “Gli occhi della guerra” è stata inaugurata a Trieste. Una collezione di immagini forti scattate in 25 anni di reportage da Fausto Biloslavo, Gian Micalessin e Almerigo Grilz, ucciso il 19 maggio 1987 in Mozambico, mentre filmava uno scontro a fuoco. La mostra, che rimarrà aperta al pubblico fino al 20 gennaio, è organizzata dall’associazione Hobbit e finanziata dalla regione Friuli-Venezia Giulia. L’esposizione è dedicata a Grilz e a tutti i giornalisti caduti in prima linea. Il prossimo marzo verrà ospitata a Bruxelles presso il parlamento europeo.Della storia dell'Albatross press agency,della mostra e del libro fotografico Gli occhi della guerra ne parlo a Radio Capodistria con Andro Merkù.
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24 maggio 2010 | Radio Padania Libera | intervento |
Italia
Proselitismo islamico dietro le sbarre
“Penso che sia giusto se alcuni musulmani combattono la guerra santa contro gli americani in paesi che non sono la loro terra”. Dopo un lungo girarci attorno Kamel Adid sorprende un po’ tutti, quando sputa il rospo. La domanda riguardava i mujaheddin, i musulmani pronti a morire per Allah, contro l’invasore infedele. Tre soldati della guerra santa, arrivati un paio di mesi fa da Guantanamo, sono rinchiusi poco più in là, nel reparto di massima sicurezza del carcere di Opera, alle porte di Milano.
Adid è un giovane marocchino di 31 anni con barbetta islamica d’ordinanza e tunica color noce. Nel carcere modello di Opera fa l’imam dei 44 musulmani detenuti, che frequentano una grande sala adibita a moschea. Un predicatore fai da te, che di solito parla un linguaggio moderato e ti guarda con occhioni apparentemente timidi.
Deve scontare ancora due mesi di pena per un reato legato alla droga e da pochi giorni è stato trasferito in un altro istituto. “Quelli che si fanno saltare in aria subiscono il lavaggio del cervello – si affretta a spiegare l’autonominato imam – Noi abbiamo riscoperto la fede in carcere. Pregare ci da conforto, ci aiuta ad avere speranza”.
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