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Articolo
02 agosto 2022 - Il Fatto - Italia - Il Giornale
Le Ong esultano per una sentenza della Corte Ue (senza leggerla)
di Fausto Biloslavo
L e Ong del mare cantano vittoria per una sentenza della Corte di giustizia europea, che secondo loro affosserebbe le ispezioni ed i fermi della Guardia costiera. In realtà leggendo con attenzione le 36 pagine i giudici Ue sanciscono dei punti fissi, primo fra tutti che le ispezioni sono legittime e le Capitanerie possono intervenire, come fanno con tutte le navi, se riscontrano gravi deficienze di sicurezza e ambientali. L\'intero impianto, però, pende dalla parte dei talebani dell\'accoglienza. L\'aspetto più grave è che la sentenza stabilisce, di fatto, che non sono necessarie per le navi delle Ong le certificazioni al soccorso. Uno dei nodi cruciali relativo alla stato di bandiera e alla classificazioni delle unità, spesso di trasporto o commerciali.
L\'intricata vicenda ha origine nell\'estate del 2020, quando Sea watch 3 e Sea watch 4, le navi dei talebani dell\'accoglienza tedeschi, vengono ispezionate e fermate a Palermo e Porto Empedocle non solo per la mancata abilitazione al soccorso in mare, ma per una lunga lista di carenze in tema di sicurezza e ambientale. Gli avvocati della Ong oltranzista si sono rivolti al tribunale regionale ed il Tar ha chiesto chiarimenti alla Corte europea.
La sentenza di ieri avalla il recupero e sbarco senza regole dei migranti in nome del supremo dovere umanitario. Non solo: «Le persone che si trovano a bordo di una nave per causa di forza maggiore - si legge - o in conseguenza dell\'obbligo imposto al comandante di trasportare naufraghi, o altre persone, non devono essere computate» per quanto riguarda la sicurezza anche se risultano in numero ben più elevato di quello autorizzato. In pratica i talebani dell\'accoglienza possono imbarcare quanti migranti vogliono e ovviamente portarli in Italia.
Almeno la Corte sancisce che lo Stato di approdo, «può sottoporre a un\'ispezione supplementare le navi che esercitano un\'attività sistematica di ricerca e soccorso e che si trovano in uno dei suoi porti o in acque soggette alla sua giurisdizione». Però devono prima completare «tutte le operazioni di trasbordo o di sbarco delle persone alle quali i rispettivi comandanti hanno deciso di prestare soccorso». E le ispezioni sono sottoposte a delle Forche Caudine ovvero possono avvenire solo «in base di elementi giuridici e fattuali circostanziati, che esistevano indizi seri tali da dimostrare un pericolo per la salute, la sicurezza, le condizioni di lavoro a bordo o l\'ambiente». Le Capitanerie già lo fanno ma la decisione dei giudici comunitari renderà ancora più arduo e delicato un fermo amministrativo.
Purtroppo l\'Italia «non può imporre che venga provato che tali navi dispongono di certificati diversi da quelli rilasciati dallo Stato di bandiera o che esse rispettano tutte le prescrizioni applicabili a una diversa classificazione». In pratica anche se la nave è nata per fare altro, come un rimorchiatore d\'alto mare, può recuperare i migranti e portarli a casa nostra.
Le Ong suonano la carica di facciata. In realtà puntavano a bollare come illegittime le ispezioni. «Per mesi - ricordano i talebani dell\'accoglienza tedeschi - Sea Watch 3 e Sea Watch 4 sono state trattenute per controlli dello Stato di approdo con motivazioni assurde: certificazioni mancanti e troppe persone soccorse. Nella sentenza, la Corte di Giustizia Ue ha dichiarato che il salvataggio in mare è un dovere e i controlli dello Stato di approdo non devono essere usati in modo arbitrario per trattenere le navi e impedire loro di svolgere il proprio lavoro». Fulvio Vassallo Paleologo, esperto dei diritti umani all\'Università di Palermo, è convinto che «andranno risarciti tutti i danni per l\'ingiustificato fermo amministrativo, protratto anche per mesi, ai danni delle navi delle Ong».
[continua]

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31 ottobre 2021 | Quarta repubblica | reportage
No vax scontri al porto
I primi lacrimogeni rimbalzano sull'asfalto e arditi No Pass cercano di ributtarli verso il cordone dei carabinieri che sta avanzando per sgomberare il varco numero 4 del porto di Trieste. I manifestanti urlano di tutto «merde, vergogna» cercando pietre e bottiglie da lanciare contro le forze dell'ordine. Un attivista ingaggia lo scontro impossibile e viene travolto dalle manganellate. Una volta crollato a terra lo trascinano via oltre il loro cordone. Scene da battaglia urbana, il capoluogo giuliano non le vedeva da decenni. Portuali e No Pass presidiavano da venerdì l'ingresso più importante dello scalo per protestare contro l'introduzione obbligatoria del lasciapassare verde. In realtà i portuali, dopo varie spaccature, sono solo una trentina. Gli altri, che arriveranno fino a 1.500, sono antagonisti e anarchici, che vogliono la linea dura, molta gente venuta da fuori, più estremisti di destra. Alle 9 arrivano in massa le forze dell'ordine con camion-idranti e schiere di agenti in tenuta antisommossa. Una colonna blu che arriva da dentro il porto fino alla sbarra dell'ingresso. «Lo scalo è porto franco. Non potevano farlo. È una violazione del trattato pace (dello scorso secolo, nda)» tuona Stefano Puzzer detto Ciccio, il capopopolo dei portuali. Armati di pettorina gialla sono loro che si schierano in prima linea seduti a terra davanti ai cordoni di polizia. La resistenza è passiva e gli agenti usano gli idranti per cercare di far sloggiare la fila di portuali. Uno di loro viene preso in pieno da un getto d'acqua e cade a terra battendo la testa. Gli altri lo portano via a braccia. Un gruppo probabilmente buddista prega per evitare lo sgombero. Una signora si avvicina a mani giunte ai poliziotti implorando di retrocedere, ma altri sono più aggressivi e partono valanghe di insulti. Gli agenti avanzano al passo, metro dopo metro. I portuali fanno da cuscinetto per tentare di evitare incidenti più gravi convincendo la massa dei No Pass, che nulla hanno a che fare con lo scalo giuliano, di indietreggiare con calma. Una donna alza le mani cercando di fermare i poliziotti, altri fanno muro e la tensione sale alimentata dal getto degli idranti. «Guardateci siamo fascisti?» urla un militante ai poliziotti. Il nocciolo duro dell'estrema sinistra seguito da gran parte della piazza non vuole andarsene dal porto. Quando la trattativa con il capo della Digos fallisce la situazione degenera in scontro aperto. Diego, un cuoco No Pass, denuncia: «Hanno preso un mio amico, Vittorio, per i capelli, assestandogli una manganellata in faccia». Le forze dell'ordine sgomberano il valico, ma sul grande viale a ridosso scoppia la guerriglia. «Era gente pacifica che non ha alzato un dito - sbotta Puzzer - È un attacco squadrista». I più giovani sono scatenati e spostano i cassonetti dell'immondizia per bloccare la strada scatenando altre cariche degli agenti. Donne per nulla intimorite urlano «vergognatevi» ai carabinieri, che rimangono impassibili. In rete cominciano a venire pubblicati post terribili rivolti agli agenti: «Avete i giorni contati. Se sai dove vivono questi poliziotti vai a ucciderli».Non a caso interviene anche il presidente Sergio Mattarella: «Sorprende e addolora che proprio adesso, in cui vediamo una ripresa incoraggiante esplodano fenomeni di aggressiva contestazione». Uno dei portuali ammette: "Avevamo detto ai No Pass di indietreggiare quando le forze dell'ordine avanzavano ma non ci hanno ascoltati. Così la manifestazione pacifica è stata rovinata». Puzzer raduna le «truppe» e i rinforzi, 3mila persone, in piazza Unità d'Italia. E prende le distanze dagli oltranzisti: «Ci sono gruppi che non c'entrano con noi al porto che si stanno scontrando con le forze dell'ordine». Non è finita, oltre 100 irriducibili si scatenano nel quartiere di San Vito. E riescono a bloccare decine di camion diretti allo scalo con cassonetti dati alle fiamme in mezzo alla strada. Molti sono vestiti di nero con il volto coperto simili ai black bloc. La battaglia sul fronte del porto continua fino a sera.

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23 aprile 2012 | Premio Lago | reportage
Il premio Giorgio Lago: Arte, impresa, giornalismo, volontariato del Nord Est
Motivazione della Giuria: Giornalista di razza. Sempre sulla notizia, esposto in prima persona nei vari teatri di guerra del mondo. Penna sottile, attenta, con un grande amore per la verità raccontata a narrare le diverse vicende dell’uomo.

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24 novembre 2015 | Rai 1 Storie vere | reportage
Terrorismo in Europa
Dopo gli attacchi di Parigi cosa dobbiamo fare per estirpare la minaccia in Siria, Iraq e a casa nostra

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03 giugno 2019 | Radio Scarp | intervento
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Professione Reporter di Guerra


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06 settembre 2018 | Radio immaginaria | intervento
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Teen Parade
Gli adolescenti mi intervistano sulla passione per i reportage di guerra

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24 maggio 2010 | Radio Padania Libera | intervento
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Proselitismo islamico dietro le sbarre
“Penso che sia giusto se alcuni musulmani combattono la guerra santa contro gli americani in paesi che non sono la loro terra”. Dopo un lungo girarci attorno Kamel Adid sorprende un po’ tutti, quando sputa il rospo. La domanda riguardava i mujaheddin, i musulmani pronti a morire per Allah, contro l’invasore infedele. Tre soldati della guerra santa, arrivati un paio di mesi fa da Guantanamo, sono rinchiusi poco più in là, nel reparto di massima sicurezza del carcere di Opera, alle porte di Milano.
Adid è un giovane marocchino di 31 anni con barbetta islamica d’ordinanza e tunica color noce. Nel carcere modello di Opera fa l’imam dei 44 musulmani detenuti, che frequentano una grande sala adibita a moschea. Un predicatore fai da te, che di solito parla un linguaggio moderato e ti guarda con occhioni apparentemente timidi.
Deve scontare ancora due mesi di pena per un reato legato alla droga e da pochi giorni è stato trasferito in un altro istituto. “Quelli che si fanno saltare in aria subiscono il lavaggio del cervello – si affretta a spiegare l’autonominato imam – Noi abbiamo riscoperto la fede in carcere. Pregare ci da conforto, ci aiuta ad avere speranza”.

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03 gennaio 2011 | Radio Capodistria - Storie di bipedi | intervento
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Gli occhi della guerra
Le orbite rossastre di un bambino soldato, lo sguardo terrorizzato di un prigioniero che attende il plotone di esecuzione, l’ultimo rigagnolo di vita nelle pupille di un ferito sono gli occhi della guerra incrociati in tanti reportage di prima linea. Dopo l’esposizione in una dozzina di città la mostra fotografica “Gli occhi della guerra” è stata inaugurata a Trieste. Una collezione di immagini forti scattate in 25 anni di reportage da Fausto Biloslavo, Gian Micalessin e Almerigo Grilz, ucciso il 19 maggio 1987 in Mozambico, mentre filmava uno scontro a fuoco. La mostra, che rimarrà aperta al pubblico fino al 20 gennaio, è organizzata dall’associazione Hobbit e finanziata dalla regione Friuli-Venezia Giulia. L’esposizione è dedicata a Grilz e a tutti i giornalisti caduti in prima linea. Il prossimo marzo verrà ospitata a Bruxelles presso il parlamento europeo.Della storia dell'Albatross press agency,della mostra e del libro fotografico Gli occhi della guerra ne parlo a Radio Capodistria con Andro Merkù.

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20 giugno 2017 | WDR | intervento
Italia
Più cittadini italiani con lo ius soli
Estendere la cittadinanza italiana ai bambini figli di stranieri? È la proposta di legge in discussione in Senato in questi giorni. Abbiamo sentito favorevoli e contrari.

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