image
Intervista esclusiva
16 settembre 2022 - Prima - Afghanistan - Il Giornale
“Il mio Afghanistan dimenticato per Kiev. Ma la Jihad va fermata o colpirà l’Occidente”
Vienna Il pacul, tipico copricapo a ciambella afghano, lo porta anche a Vienna. Ahmad Shah Massoud, che guida la resistenza ai talebani come fece il padre, il leone del Panjsher, è in missione in Europa per unire la diaspora. Nell\\\'intervista esclusiva al Giornale parla dell\\\'Afghanistan dimenticato. E mette in guardia su un «catastrofico» attacco del terrore jihadista in Occidente.
La prima volta in Europa dopo la conquista talebana di Kabul un anno fa. Qual è il motivo?
«Sono a Vienna per una conferenza con le élite all\\\'estero del mio Paese per creare una coalizione o meglio unire la diaspora politica afghana, tutti coloro che si oppongono ai talebani. E assieme trovare una via di uscita dal caos».
Qual è la situazione?
«Terribile e frustante. L\\\'Afghanistan è stato dimenticato a causa della guerra in Ucraina e per altre ragioni. È in mano a gruppi estremisti che l\\\'hanno trasformato in un rifugio sicuro per i terroristi. Per non parlare del narcotraffico. La mia nazione è una prigione guidata da una banda».
Lei è a capo della resistenza del Fronte nazionale. Riuscite a insidiare i talebani?
«Gli afghani vogliono resistere contro un regime oppressivo. All\\\'inizio i talebani hanno addirittura negato che esistesse una resistenza. I nostri martiri sul campo di battaglia sono una chiara indicazione che mentivano. La lotta si è espansa oltre la valle del Panjsher, in altre province e anche nell\\\'Afghanistan occidentale, ma siamo solo all\\\'inizio».
Su quanti combattenti potete contare?
«Abbiamo oltre 3mila uomini e il nostro obiettivo è aumentare gli effettivi a 5mila per la fine dall\\\'anno. La domanda per arruolarsi è molto alta, ma sfortunatamente non abbiamo la possibilità di accogliere tutti perché nessun Paese ci aiuta».
Come è possibile?
«Spero che unendo la diaspora afghana il mondo ci ascolterà prestando attenzione alle nostre richieste. Bisogna premere sui talebani per un negoziato politico. E dal punto di vista militare aiutare la prima linea contro la tirannia, l\\\'ultima speranza per un Afghanistan democratico».
Voi non ricevete aiuti esterni. E i talebani?
«Le nostre forze hanno visto i droni sopra le loro teste e i talebani tracciano, in maniera sorprendente, i telefonini. Non possono avere queste capacità da soli».
Esiste una soluzione negoziale?
«L\\\'unica possibilità è un governo afghano legittimo scelto dal popolo attraverso libere elezioni, anche se il voto facesse vincere i talebani. Credo che la soluzione dovrebbe essere politica e non militare, ma hanno preso il potere armi in pugno. Se i talebani cambiassero attitudine sono pronto a negoziare. Al contrario non mi piegherò mai a vivere sotto dittatura e tirannia».
Al Qaida è presente in Afghanistan e più forte di prima?
«Certamente. La prova evidente della collaborazione fra i talebani e al Qaida era la presenza di Ayman al Zawahiri a Kabul. Abbiamo anche informazioni su campi attivi di al Qaida, ma si tratta solo di uno dei 21 gruppi del terrore presenti in Afghanistan».
I terroristi potrebbero tornare a colpire come l\\\'11 settembre?
«Certo. In Afghanistan hanno trovato un rifugio sicuro dove operare e sono di nuovo in grado di reclutare e addestrare. È solo una questione di tempo prima di un\\\'altra catastrofe in Europa o in America. Se non li fermiamo un attacco è inevitabile».
L\\\'Isis in Afghanistan punta a esportare la guerra santa oltre i confini?
«È un obiettivo comune con il regime. Il leader dei talebani viene chiamato Amir al-Mu\\\'minin, il capo di tutti i credenti, anche fuori dall\\\'Afghanistan. Gli obiettivi di gran parte dei 21 gruppi terroristici sono all\\\'esterno. E non riguarda solo il Tajikistan, ma l\\\'Uzbekistan, la Cina, il Pakistan».
In Italia abbiamo accolto migliaia di afghani. Non sarebbero utili alla resistenza?
«Se non miglioreremo le condizioni dell\\\'Afghanistan, il fiume dell\\\'emigrazione non si fermerà mai. Uno dei nostri obiettivi è invertire la tendenza. La resistenza sta già attingendo fra l\\\'ex personale della sicurezza. L\\\'obiettivo è liberare un\\\'area, che mostri al mondo la nostro volontà e che attragga gli afghani fuggiti».
Si sente tradito dall\\\'Occidente?
«No, ma l\\\'Occidente si è disorientato a cominciare dai vertici Usa. In Ucraina la mobilitazione internazionale è scattata in nome della difesa del Paese e della libertà. Noi afghani chiediamo lo stesso, ma la risposta è non appoggiamo la resistenza armata. Questa è ipocrisia».
[continua]

video
13 marzo 2011 | Terra! | reportage
Cicatrici
Cicatrici

play
25 novembre 2001 | TG5 - Canale 5 e Studio Aperto - Italia 1 | reportage
Il futuro governo dell'Afghanistan
Il futuro governo dell'Afghanistan

play
07 giugno 2010 | Porta a Porta | reportage
Un servizio sulle guerre di pace degli italiani
Le “guerre” di pace degli italiani sono iniziate nel 1982, con la prima importante missione all’estero nel martoriato Libano, dopo il conflitto fra israeliani e palestinesi. Oggi sono quasi diecimila i soldati italiani impegnati nel mondo in venti paesi. Oltre alla baionette svolgiamo un apprezzato intervento umanitario a favore della popolazione. Dall’Africa, ai Balcani, al Medio Oriente, fino all’Afghanistan non sempre è una passeggiata per portare solo caramelle ai bambini. Nel 1991, durante la guerra del Golfo, un caccia bombardiere italiano è stato abbattuto dalla contraerea irachena. Il pilota Gianmarco Bellini ed il navigatore Maurizio Cocciolone sono rimasti per 45 giorni nelle cupe galere di Saddam Hussein. Quella in Somalia, è stata una missione sporca e dura, macchiata da casi isolati di torture e maltrattamenti. Al check point Pasta, a Mogadiscio, i paracadutisti della Folgore hanno combattuto la prima dura battaglia in terra d’Africa dopo la seconda guerra mondiale. Alla fine del conflitto etnico siamo intervenuti a pacificare la Bosnia. Per il Kosovo, nel 1999, l’aeronautica militare ha bombardato i serbi effettuando 3mila sortite. Una guerra aerea di cui non si poteva parlare per opportunità politiche. Dopo l’11 settembre i focolai di instabilità sono diventati sempre più insidiosi, dall’Iraq all’Afghanistan. Nel 2003, con la missione Antica Babilonia a Nassiryah, i nostri soldati sono rimasti coinvolti nelle battaglie dei ponti contro i miliziani sciiti. In sole 24 ore gli italiani hanno sparato centomila colpi. Siamo sbarcati di nuovo in Libano dopo il conflitto fra Israele ed Hezbollah, ma la nostra vera trincea è l’Afghanistan. Con i rinforzi previsti per l’estate arriveremo a 4mila uomini per garantire sicurezza nella parte occidentale del paese, grande come il Nord Italia, al confine con l’Iran. Herat, Bala Murghab, Farah, Bala Baluk, Bakwa, Shindad sono i nomi esotici e lontani dove fanti, alpini, paracadutisti combattono e muoiono in aspri scontri e imboscate con i talebani o attentati. Dal 1982, nelle nostre “guerre” di pace, sono caduti 103 soldati italiani.

play
[altri video]
radio

12 novembre 2001 | Radio 24 Gr | reportage
Afghanistan
Il crollo dei talebani - Il leone di Herat
In prima linea in Afghanistan dopo l'11 settembre. Ad Herat sono entrati i mujaheddin di Ismail Khan, il vecchio comandante della guerra contro i sovietici. Tutti lo conoscono come il leone per coraggio e carisma

play

16 giugno 2010 | Spazio Radio - Radio 1 | intervento
Afghanistan
Il "tesoro" nascosto
L’Afghanistan è un paese disgraziato, povero e senza risorse, a parte l’oppio? Assolutamente no. Il sottosuolo afghano nasconde un forziere di minerali che vale 1 trilione di dollari. In cifre europee stiamo parlando di 810 miliardi di euro. Oro, gemme, rame, ferro ed il prezioso litio sono presenti in quantità tali da poter trasformare l’Afghanistan in una delle maggiori “potenze” minerarie al mondo. Lo hanno scoperto i geologi assoldati dal Pentagono studiando vecchie carte tracciate dai sovietici, che invasero il paese negli anni ottanta. Una ricchezza naturale capace di risollevare economicamente l’Afganistan e magari farlo uscire dal tunnel delle guerra.

play

13 aprile 2010 | Radio Città Futura | intervento
Afghanistan
La sorte dei tre italiani di Emergency in manette
Gli uomini dei servizi afghani puntano il dito contro il chirurgo Marco Garatti e Matteo D’Aira, il capo infermiere, mentre il giovane Matteo Pagani non sarebbe coinvolto e potrebbe venir ben presto scagionato.

play

20 agosto 2008 | Radio24 | reportage
Afghanistan
Taccuino di guerra - Il fortino di Bala Murghab sotto attacco
Afghanistan,un'estate in trincea.In prima linea con i soldati italiani

play

12 aprile 2010 | Radio 24 | intervento
Afghanistan
Giallo sulla confessione di Emergency
Gioco sporco e tinto di giallo sula sorte dei tre volontari italiani di Emergency in manette con l’accusa di essere coinvolti in un complotto talebano per uccidere il governatore della provincia afghana di Helmand.

play

[altri collegamenti radio]




fotografie







[altre foto]