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16 marzo 2023 - Interni - Italia - Il Giornale
Le minacce russe a Crosetto Gli 007 indagano sulla taglia
Il ministro della Difesa, Guido Crosetto, è nel mirino di russi, che considerano gli italiani «traditori» per il fermo appoggio all’Ucraina. Dieci giorni fa l’intelligence avrebbe informato Crosetto che il gruppo Wagner aveva messo una taglia di 15 milioni di dollari sulla sua testa, come ha rivelato ieri il quotidiano il Foglio. La scorta non è stata aumentata e le nostre antenne a Mosca confermano solo «minacce verbali» riprese dalla stampa russa. Crosetto è in missione dall’altra parte del mondo, in Giappone, e contattato dal Giornale preferisce non rilasciare dichiarazioni.
La scorta non è stata aumentata, ma l’allarme sarebbe scattato dal primo marzo quando il capo degli Stati maggiori riuniti delle Forze armate americane, generale Mark A. Milley, incontra Crosetto a Roma. L’alto ufficiale spiega che in Africa, attori non statali cercano di «destabilizzare le nazioni e di minare lo stato di diritto». Si parla di sfide ibride guidate dalla compagnia militare privata Wagner, che gli americani hanno contrastato in Libia e Sudan.
Il Foglio sostiene che «l’allarme è arrivato la scorsa settimana» e sarebbe «stata intercettata la richiesta specifica di Mosca: 15 milioni di dollari per colpire il ministro dela Difesa italiano». Il tutto prima delle parole dello stesso Crosetto sul ruolo ibrido di Wagner nell’alimentare i flussi migratori verso l’Italia.
«Wagner si è posizionata in Africa, soprattutto nel Sahel, dove destabilizza la regione.
Le loro operazioni possono favorire la fuga dei migranti, ma non organizzare il traffico che va avanti da solo. Casomai è una conseguenza più o meno diretta» dichiara al Giornale, Pietro Orizio, analista esperto di contractor a cominciare dalla compagnia militare privata russa.
Crosetto e l’Italia sono finiti più volte nel mirino dei russi, ma per ora solo a parole. L’ultima pochi giorni fa quando il capo di Wagner, Evgeni Prigozhin, lo insultava come «mudak i pizdabol» letteralmente «cog... e cazz...» per le accuse al suo gruppo di fomentare i flussi migratori dall’Africa. «Abbiamo altre cose più importanti di cui occuparci» sosteneva l’ex cuoco di Putin. I primi scontri verbali sulla armi italiane fornite agli ucraini sono scoppiati con l’ambasciatore russo a Roma, Sergey Razov. Su Telegram, l’ex presidente russo, Dmitri Medvedev, che prima dell’invasione aveva sempre sostenuto di amare l’Italia, ha pure attaccato Crosetto, come ricorda il Foglio, dandogli dello «sciocco raro». Medvedev è vicepresidente del Consiglio di sicurezza nazionale, ma il vero capo dell’organismo è Nikolai Patrushev, vecchio sodale di Putin ed ex generale dei servizi segreti. Il gruppo Wagner si coordina con il Gru, l’intelligence militare russa.
Il Foglio sostiene che «la Wagner ha almeno due cellule in Europa: una nei Balcani, che si muove fra la Serbia e l’Albania. L’altra nei paesi Baltici con sede in Estonia». E ipotizza che dai «manipoli di alcune decine di effettivi potrebbe staccarsi una pattuglia con l’obiettivo di compiere azioni mirate in Italia». La presenza di Wagner più probabile è a Belgrado e risulta arduo pensare che i mastini della guerra russi, legati a filo doppio al Cremlino, si lancerebbero in un attentato a un ministro della Difesa del G7 a Roma. «Sulla taglia non ci credo molto. Dopo l’invasione dell’Ucraina e con la battaglia di Bakhmut, il gruppo Wagner è diventato come il prezzemolo, responsabile di tutti i mali» spiega Orizio che ha descritto nei dettagli su Analisi Difesa le mosse della compagnia militare russa in Libia, Sudan, Repubblica centroafricana, Mali e altri 14 paesi africani.
«La Russia realizza una guerra ibrida e non certo da oggi, anche con l’azione della Wagner in Africa e il traffico dei clandestini. Ha ragione Borghi (parlamentare Pd, ndr) nel ricordare che ce ne occupammo più volte nella scorsa legislatura, evidenziandolo in relazioni del Copasir al Parlamento» ha dichiarato ieri il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso. Non siamo ai livelli di guerra ibrida della Bielorussia, che nei mesi precedenti all’invasione spingeva migliaia di migranti, giunti con un ponte aereo, verso la Polonia per dividere l’Europa sull’immigrazione. Però dall’estate 2022 i migranti partiti dalla Cirenaica controllata da Haftar con l’appoggio di Wagner, sono effettivamente aumentati a dismisura: quasi 22mila sbarchi in Italia fino a marzo 2023.

video
29 dicembre 2011 | SkyTG24 | reportage
Almerigo ricordato 25 anni dopo
Con un bel gesto, che sana tante pelose dimenticanze, il presidente del nostro Ordine,Enzo Iacopino, ricorda davanti al premier Mario Monti, Almerigo Grilz primo giornalista italiano caduto su un campo di battaglia dopo la fine della seconda guerra mondiale, il 19 maggio 1987 in Mozambico.

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11 novembre 2008 | Centenario della Federazione della stampa | reportage
A Trieste una targa per Almerigo Grilz
e tutti i caduti sul fronte dell'informazione

Ci sono voluti 21 anni, epiche battaglie a colpi di articoli, proteste, un libro fotografico ed una mostra, ma alla fine anche la "casta" dei giornalisti triestini ricorda Almerigo Grilz. L'11 novembre, nella sala del Consiglio comunale del capoluogo giuliano, ha preso la parola il presidente dell'Ordine dei giornalisti del Friuli-Venezia Giulia, Pietro Villotta. Con un appassionato discorso ha spiegato la scelta di affiggere all'ingresso del palazzo della stampa a Trieste una grande targa in cristallo con i nomi di tutti i giornalisti italiani caduti in guerra, per mano della mafia o del terrorismo dal 1945 a oggi. In rigoroso ordine alfabetico c'era anche quello di Almerigo Grilz, che per anni è stato volutamente dimenticato dai giornalisti triestini, che ricordavano solo i colleghi del capoluogo giuliano uccisi a Mostar e a Mogadiscio. La targa è stata scoperta in occasione della celebrazione del centenario della Federazione nazionale della stampa italiana. Il sindacato unico ha aderito all'iniziativa senza dimostrare grande entusiasmo e non menzionando mai, negli interventi ufficiali, il nome di Grilz, ma va bene lo stesso. Vale la pena dire: "Meglio tardi che mai". E da adesso speriamo veramente di aver voltato pagina sul "buco nero" che ha avvolto per anni Almerigo Grilz, l'inviato ignoto.

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21 settembre 2012 | La Vita in Diretta | reportage
Islam in Italia e non solo. Preconcetti, paure e pericoli


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radio

25 maggio 2010 | Spazio Radio - Radio 1 | intervento
Italia
L'Islam nelle carceri italiane
In Italia su oltre 23mila detenuti stranieri, 9840 risultano musulmani, secondo i dati ufficiali. Almeno seimila, però, non si sono dichiarati. Il rapporto di 364 pagine, “La radicalizzazione jihadista nelle istituzioni penitenziarie europee”, realizzato dall’esperto di Islam nella carceri, Sergio Bianchi, ne indica 13mila.
In Italia ci sono circa 80 islamici dietro le sbarre per reati connessi al terrorismo. Dal 2009 li hanno concentrati in quattro istituti di pena: ad Asti, Macomer, Benevento e Rossano. Nel carcere di Opera, invece, sono arrivati Adel Ben Mabrouk, Nasri Riadh e Moez Abdel Qader Fezzani, ex prigionieri di Guantanamo. Chi li controlla ogni giorno racconta che parlano in italiano. La guerra santa in Afghanistan l’hanno abbracciata dopo aver vissuto come extracomunicatori nel nostro paese. Non si possono incontrare fra loro e vivono in celle singole. Pregano regolarmente con molta devozione e hanno mantenuto i barboni islamici.

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24 maggio 2010 | Radio Padania Libera | intervento
Italia
Proselitismo islamico dietro le sbarre
“Penso che sia giusto se alcuni musulmani combattono la guerra santa contro gli americani in paesi che non sono la loro terra”. Dopo un lungo girarci attorno Kamel Adid sorprende un po’ tutti, quando sputa il rospo. La domanda riguardava i mujaheddin, i musulmani pronti a morire per Allah, contro l’invasore infedele. Tre soldati della guerra santa, arrivati un paio di mesi fa da Guantanamo, sono rinchiusi poco più in là, nel reparto di massima sicurezza del carcere di Opera, alle porte di Milano.
Adid è un giovane marocchino di 31 anni con barbetta islamica d’ordinanza e tunica color noce. Nel carcere modello di Opera fa l’imam dei 44 musulmani detenuti, che frequentano una grande sala adibita a moschea. Un predicatore fai da te, che di solito parla un linguaggio moderato e ti guarda con occhioni apparentemente timidi.
Deve scontare ancora due mesi di pena per un reato legato alla droga e da pochi giorni è stato trasferito in un altro istituto. “Quelli che si fanno saltare in aria subiscono il lavaggio del cervello – si affretta a spiegare l’autonominato imam – Noi abbiamo riscoperto la fede in carcere. Pregare ci da conforto, ci aiuta ad avere speranza”.

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03 giugno 2019 | Radio Scarp | intervento
Italia
Professione Reporter di Guerra


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03 gennaio 2011 | Radio Capodistria - Storie di bipedi | intervento
Italia
Gli occhi della guerra
Le orbite rossastre di un bambino soldato, lo sguardo terrorizzato di un prigioniero che attende il plotone di esecuzione, l’ultimo rigagnolo di vita nelle pupille di un ferito sono gli occhi della guerra incrociati in tanti reportage di prima linea. Dopo l’esposizione in una dozzina di città la mostra fotografica “Gli occhi della guerra” è stata inaugurata a Trieste. Una collezione di immagini forti scattate in 25 anni di reportage da Fausto Biloslavo, Gian Micalessin e Almerigo Grilz, ucciso il 19 maggio 1987 in Mozambico, mentre filmava uno scontro a fuoco. La mostra, che rimarrà aperta al pubblico fino al 20 gennaio, è organizzata dall’associazione Hobbit e finanziata dalla regione Friuli-Venezia Giulia. L’esposizione è dedicata a Grilz e a tutti i giornalisti caduti in prima linea. Il prossimo marzo verrà ospitata a Bruxelles presso il parlamento europeo.Della storia dell'Albatross press agency,della mostra e del libro fotografico Gli occhi della guerra ne parlo a Radio Capodistria con Andro Merkù.

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27 gennaio 2020 | Radio 1 Italia sotto inchiesta | intervento
Italia
Esercito e siti ebraici
Fausto Biloslavo I nostri soldati rispettano la giornata della Memoria dell’Olocausto non solo il 27 gennaio, ma tutto l’anno. L’esercito, con l’operazione Strade sicure, schiera 24 ore al giorno ben 700 uomini in difesa di 58 siti ebraici sul territorio nazionale. Tutti obiettivi sensibili per possibile attentati oppure oltraggi anti semiti. “Per ora non è mai accaduto nulla anche grazie alla presenza dei militari, che serve da deterrenza e non solo. Il senso di sicurezza ha evitato episodi di odio e minacce ripetute come in Francia, che rischiano di provocare un esodo della comunità ebraica” spiega una fonte militare de il Giornale. I soldati, che si sono fatti le ossa all’estero, sorvegliano, quasi sempre con presidi fissi, 32 sinagoghe o tempi ebraici, 9 scuole, 4 musei e altri 13 siti distribuiti in tutta Italia, ma soprattutto al nord e al centro. La città con il più alto numero di obiettivi sensibili, il 41%, è Milano. Non a caso il comandante del raggruppamento di Strade sicure, come in altre città, è ufficialmente invitato alle celebrazioni del 27 gennaio, giorno della Memoria. Lo scorso anno, in occasione dell’anniversario della nascita dello Stato di Israele, il rappresentante della comunità ebraica di Livorno, Vittorio Mosseri, ha consegnato una targa al comandante dei paracadustisti. “Alla brigata Folgore con stima e gratitudine per il servizio di sicurezza prestato nell’ambito dell’operazione Strade sicure contribuendo con attenzione e professionalità al sereno svolgimento delle attività della nostro comunità” il testo inciso sulla targa. In questi tempi di spauracchi anti semiti l’esercito difende i siti ebraici in Italia con un numero di uomini praticamente equivalente a quello dispiegato in Afghanistan nel fortino di Herat. Grazie ad un’esperienza acquisita all’estero nella protezione delle minoranze religiose, come l’antico monastero serbo ortodosso di Decani in Kosovo. “In ogni città dove è presente la comunità ebraica esiste un responsabile della sicurezza, un professionista che collabora con le forze dell’ordine ed i militari per coordinare al meglio la vigilanza” spiega la fonte del Giornale. Una specie di “assessore” alla sicurezza, che organizza anche il sistema di sorveglianza elettronica con telecamere e sistemi anti intrusione di avanguardia su ogni sito. Non solo: se in zona appare un simbolo o una scritta anti semita, soprattuto in arabo, viene subito segnalata, fotografata, analizzata e tradotta. “I livelli di allerta talvolta si innalzano in base alla situazione internazionale” osserva la fonte militare. L’ultimo allarme ha riguardato i venti di guerra fra Iran e Stati Uniti in seguito all’eliminazione del generale Qassem Soleimani. Roma è la seconda città per siti ebraici presidiati dai militari compresi asili, scuole e oratori. Le sinagoghe sono sorvegliate pure a Napoli, Verona, Trieste e quando necessario vengono disposte le barriere di cemento per evitare attacchi con mezzi minati o utilizzati come arieti. A Venezia i soldati garantiscono la sicurezza dello storico ghetto. A Livorno e in altre città sono controllati anche i cimiteri ebraici. Una residenza per anziani legata alla comunità è pure nella lista dei siti protetti a Milano. Ed i militari di Strade sicure nel capoluogo lombardo non perdono d’occhio il memoriale della Shoah, lo sterminio degli ebrei voluto da Hitler.

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