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Intervista esclusiva
20 agosto 2023 - Prima - Italia - Il Giornale |
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| “Accoglienza diffusa? No, diventa senza limiti Confronto coi sindaci” |
Nicola Molteni, sottosegretario all’Interno, è il leghista che ha più dimestichezza con il tema cruciale dell’immigrazione. E non si nasconde dietro un dito sull’aumento degli sbarchi e le difficoltà spiegando la strategia del governo.
A metà agosto oltre centomila sbarchi. Come si è arrivati a questo punto? «Rispetto all’anno scorso abbiamo meno sbarchi dall’Algeria e dalla Turchia e anche gli arrivi dalla Libia stanno diminuendo. La differenza riguarda la Tunisia che registra 68mila sbarchi. Il paese è la limite del collasso e del dissesto economico-finanziario. I 50mila arrivi in più, rispetto all’anno scorso, sono quelli dalla Tunisia».
Dopo l’accordo con la Ue, voluto dall’Italia, i tunisini stanno facendo qualcosa? «Ad oggi la Guardia costiera tunisina ha riportato a terra 42mila persone. Se la sinistra fosse al governo non avremo fatto l’accordo e ci saremo trovati con migliaia di immigrati in più. Il giorno di Ferragosto hanno intercettato 20 barchini con 800 migranti».
Il blocco navale è impossibile, ma non è realizzabile una «barriera» assieme alla Guardia costiera tunisina con la nostra Marina? «Esatto, bisogna puntare a questo. E l’abbiamo già fatto negli anni novanta con l’Albania e con il governo Berlusconi, ministro dell’Interno Maroni, con la Tunisia. L’obiettivo sono i pattugliamenti congiunti in acque territoriali tunisine per contrastare scafisti e trafficanti e pure pirati del mare».
I pescherecci tunisini fungono talvolta da navi madre dei migranti? «Assaltano i barchini portando via i motori fuori bordo per farli utilizzare di nuovo. E c’è pure il meccanismo delle navi madre con il peschereccio carico di migranti, che li fa salire sui barchini lasciandoli alla deriva. Per questo bisogna agire sulle partenze. Non servono nuove Mare nostrum o missioni europee come vorrebbe la sinistra, che provocherebbero più partenze, morti e sbarchi».
In Libia, secondo paese di partenza dei barconi, sono tornate a spararsi le milizie. Cosa stiamo facendo? «Negli ultimi tre mesi gli arrivi dalla Libia si sono ridotti sia dalla Tripolitania che dalla Cirenaica da dove partivano i pescherecci con 500-600 a bordo. La Guardia costiera libica, tanto bistrattata dalla sinistra, ha intercettato oltre 20mila persone. Se vogliamo fermare l’immigrazione clandestina dobbiamo migliorare i rapporti di partenariato bilaterale con i paesi di partenza e transito, in particolare Tunisia e Libia. Ovviamente bisogna lavorare anche per la stabilizzazione e pacificazione a cominciare dalla Libia».
Stiamo fornendo nuove motovedette? «In Tunisia sono circa una ventina fra quelle mandate in manutenzione e da consegnare. Un punto di partenza per la logica del pattugliamento congiunto da costruire con un accordo politico. Questa è la sfida da chiudere nei prossimi mesi. L’Italia non si può permettere 1500 sbarchi al giorno».
Alla fine la nostra Guardia costiera ha chiesto aiuto alle navi delle Ong. Non è paradossale? «Il governo non delegherà mai a soggetti privati e stranieri la ricerca ed il soccorso in mare. Ci sono stati dei casi eccezionali, che non possono diventare la regola. Il decreto sulle Ong ha funzionato come dimostrano i dati: i salvataggi in area di ricerca e soccorso sono scesi a 4200 migranti rispetto ai 74mila di Guardia costiera e Guardia di finanza».
Anche dalla rotta balcanica risultano aumentati gli arrivi. Le riammissioni in Slovenia sono in stallo? «Stiamo parlando di oltre 10mila arrivi. E le riammissioni sono bloccate per una sentenza. O funzionano quelle con la Slovenia oppure dobbiamo bloccare quelle dalla Francia. I francesi a Ventimiglia respingono verso l’Italia 100 migranti al giorno comprese donne e minori. E noi non possiamo fare nulla con gli sloveni. É inaccettabile».
I rimpatri sono ancora lenti e pochi. Cosa pensate di fare? «Ad oggi siamo a 2900 rimpatri rispetto ai 2200 dell’anno scorso. Per aumentarli servono due cose: più Centri di permanenza per i rimpatri (Cpr) e nuovi accordi con gli stati. Stiamo lavorando a quello con la Costa d’Avorio e dobbiamo aumentare i Cpr. Ne abbiamo 10 e ne funzionano 9. L’obiettivo è un Cpr per regione. Con il decreto sicurezza che arriverà a settembre saranno previste procedure più rapide ed una stretta per allontanare facilmente soggetti pericolosi».
La sinistra sta approfittando della situazione? «I sindaci di sinistra dicono meno immigrazione, ma i dirigenti nazionali del Pd vogliono Mare nostrum e quindi più migranti. Oppure non vogliono cooperare con la Guardia costiera libica. É una sinistra che ha un approccio ideologico e punta ad un mondo senza frontiere con accoglienza illimitata stabilendo che non esiste la clandestinità».
Però molti sindaci leghisti del Nord protestano parlando di bilanci in ginocchio e tendopoli. Cosa ne pensa? «Con i sindaci bisogna dialogare e non si può calare l’accoglienza sulla testa degli amministratori locali. Non sono un sostenitore dell’accoglienza diffusa perchè rischia di diventare illimitata. Con i primi cittadini, che sento ogni giorno, serve dialogo e confronto. Il problema vero e serio sono i minori stranieri non accompagnati, oggi 20mila. Bisogna fare una riflessione sulla legge Zampa relativa all’accertamento dell’età del migrante».
Lo stop agli sbarchi è sempre stato un tema forte del centro destra. Se a fine anno si arriva a numeri record di 150mila sbarchi o più, come nel 2026-2017, non c’è il rischio che l’elettorato volti le spalle al governo? «Da sottosegretario con Matteo Salvini ministro dell’Interno abbiamo dimostrato che non era impossibile bloccare l’immigrazione clandestina. Il governo deve continuare sulla strada intrapresa e ci sarà un’accelerazione se la prossima Commissione europea rifletterà il modello del centro destra italiano, per difendere le frontiere e contrastare l’immigrazione clandestina, senza escludere nessuno o porre veti, ma senza i socialisti. Così eviteremo che il nostro paese, di primo approdo, continui ad essere la Cenerentola del Mediterraneo». |
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11 novembre 2008 | Centenario della Federazione della stampa | reportage
A Trieste una targa per Almerigo Grilz e tutti i caduti sul fronte dell'informazione
Ci sono voluti 21 anni, epiche battaglie a colpi di articoli, proteste, un libro fotografico ed una mostra, ma alla fine anche la "casta" dei giornalisti triestini ricorda Almerigo Grilz. L'11 novembre, nella sala del Consiglio comunale del capoluogo giuliano, ha preso la parola il presidente dell'Ordine dei giornalisti del Friuli-Venezia Giulia, Pietro Villotta. Con un appassionato discorso ha spiegato la scelta di affiggere all'ingresso del palazzo della stampa a Trieste una grande targa in cristallo con i nomi di tutti i giornalisti italiani caduti in guerra, per mano della mafia o del terrorismo dal 1945 a oggi. In rigoroso ordine alfabetico c'era anche quello di Almerigo Grilz, che per anni è stato volutamente dimenticato dai giornalisti triestini, che ricordavano solo i colleghi del capoluogo giuliano uccisi a Mostar e a Mogadiscio. La targa è stata scoperta in occasione della celebrazione del centenario della Federazione nazionale della stampa italiana. Il sindacato unico ha aderito all'iniziativa senza dimostrare grande entusiasmo e non menzionando mai, negli interventi ufficiali, il nome di Grilz, ma va bene lo stesso. Vale la pena dire: "Meglio tardi che mai". E da adesso speriamo veramente di aver voltato pagina sul "buco nero" che ha avvolto per anni Almerigo Grilz, l'inviato ignoto.
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04 luglio 2012 | Telefriuli | reportage
Conosciamoci
Giornalismo di guerra e altro.
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05 ottobre 2010 | La vita in diretta - Raiuno | reportage
Islam, matrimoni forzati e padri assassini
Nosheen, la ragazza pachistana, in coma dopo le sprangate del fratello, non voleva sposarsi con un cugino in Pakistan.
Il matrimonio forzato era stato imposto dal padre, che ha ucciso a colpi di mattone la madre della giovane di 20 anni schierata a fianco della figlia. Se Nosheen avesse chinato la testa il marito, scelto nella cerchia familiare, avrebbe ottenuto il via libera per emigrare legalmente in Italia.
La piaga dei matrimoni combinati nasconde anche questo. E altro: tranelli per rimandare nella patria d’origine le adolescenti dove le nozze sono già pronte a loro insaputa; e il business della dote con spose che vengono quantificate in oro o migliaia di euro.
Non capita solo nelle comunità musulmane come quelle pachistana, marocchina o egiziana, ma pure per gli indiani e i rom, che sono un mondo a parte.
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15 marzo 2018 | Radio Radicale | intervento |
Italia
Missioni militari e interesse nazionale
https://www.radioradicale.it/scheda/535875/missioni-militari-e-interesse-nazionale
Convegno "Missioni militari e interesse nazionale", registrato a Roma giovedì 15 marzo 2018 alle 09:23. L'evento è stato organizzato da Center for Near Abroad Strategic Studies. Sono intervenuti: Paolo Quercia (Direttore del CeNASS, Center for Near Abroad Strategic Studies), Massimo Artini (vicepresidente della Commissione Difesa della Camera dei deputati, Misto - Alternativa Libera (gruppo parlamentare Camera)), Fausto Biloslavo (giornalista, inviato di guerra), Francesco Semprini (corrispondente de "La Stampa" da New York), Arije Antinori (dottore di Ricerca in Criminologia ed alla Sicurezza alla Sapienza Università di Roma), Leonardo di marco (generale di Corpo d'Armata dell'Esercito), Fabrizio Cicchitto (presidente della Commissione Affari esteri della Camera, Area Popolare-NCD-Centristi per l'Europa). Tra gli argomenti discussi: Difesa, Esercito, Esteri, Forze Armate, Governo, Guerra, Informazione, Italia, Ministeri, Peace Keeping, Sicurezza. La registrazione video di questo convegno ha una durata di 2 ore e 46 minuti. Questo contenuto è disponibile anche nella sola versione audio
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06 settembre 2018 | Radio immaginaria | intervento |
Italia
Teen Parade
Gli adolescenti mi intervistano sulla passione per i reportage di guerra
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24 maggio 2010 | Radio Padania Libera | intervento |
Italia
Proselitismo islamico dietro le sbarre
“Penso che sia giusto se alcuni musulmani combattono la guerra santa contro gli americani in paesi che non sono la loro terra”. Dopo un lungo girarci attorno Kamel Adid sorprende un po’ tutti, quando sputa il rospo. La domanda riguardava i mujaheddin, i musulmani pronti a morire per Allah, contro l’invasore infedele. Tre soldati della guerra santa, arrivati un paio di mesi fa da Guantanamo, sono rinchiusi poco più in là, nel reparto di massima sicurezza del carcere di Opera, alle porte di Milano.
Adid è un giovane marocchino di 31 anni con barbetta islamica d’ordinanza e tunica color noce. Nel carcere modello di Opera fa l’imam dei 44 musulmani detenuti, che frequentano una grande sala adibita a moschea. Un predicatore fai da te, che di solito parla un linguaggio moderato e ti guarda con occhioni apparentemente timidi.
Deve scontare ancora due mesi di pena per un reato legato alla droga e da pochi giorni è stato trasferito in un altro istituto. “Quelli che si fanno saltare in aria subiscono il lavaggio del cervello – si affretta a spiegare l’autonominato imam – Noi abbiamo riscoperto la fede in carcere. Pregare ci da conforto, ci aiuta ad avere speranza”.
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03 giugno 2019 | Radio Scarp | intervento |
Italia
Professione Reporter di Guerra
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25 maggio 2010 | Spazio Radio - Radio 1 | intervento |
Italia
L'Islam nelle carceri italiane
In Italia su oltre 23mila detenuti stranieri, 9840 risultano musulmani, secondo i dati ufficiali. Almeno seimila, però, non si sono dichiarati. Il rapporto di 364 pagine, “La radicalizzazione jihadista nelle istituzioni penitenziarie europee”, realizzato dall’esperto di Islam nella carceri, Sergio Bianchi, ne indica 13mila.
In Italia ci sono circa 80 islamici dietro le sbarre per reati connessi al terrorismo. Dal 2009 li hanno concentrati in quattro istituti di pena: ad Asti, Macomer, Benevento e Rossano. Nel carcere di Opera, invece, sono arrivati Adel Ben Mabrouk, Nasri Riadh e Moez Abdel Qader Fezzani, ex prigionieri di Guantanamo. Chi li controlla ogni giorno racconta che parlano in italiano. La guerra santa in Afghanistan l’hanno abbracciata dopo aver vissuto come extracomunicatori nel nostro paese. Non si possono incontrare fra loro e vivono in celle singole. Pregano regolarmente con molta devozione e hanno mantenuto i barboni islamici.
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