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Reportage
22 ottobre 2023 - Interni - Italia - Il Giornale |
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“Non siamo terroristi, niente telecamere” Sul Carso tra i migranti della rotta balcanica |
Trieste «Non siamo terroristi, niente telecamere» protesta una migrante illegale arrivata in Italia, sul Carso triestino, dalla rotta balcanica. Poliziotti e militari l’hanno appena rintracciata, assieme alla famiglia, marito e bambini. E li stanno caricando su un furgone delle forze dell’ordine con la signora che si nasconde il volto con le mani. Se non ha nulla da nascondere non si capisce quale sia il problema. Forse hanno promesso ai passeur, che li hanno aiutati a pagamento ad arrivare dalla Slovenia, di non dire nulla per fare arrivare gli altri. Cinque minuti dopo siamo noi giornalisti a trovare due migranti del gruppo, giovani e inzuppati dalla pioggia, a poca distanza. «Siamo turisti» provano a dire all’inizio. Poi ammettono di essere «arrivati dalla Turchia» e diventano aggressivi quando si rendono conto che li stiamo riprendendo con il telefonino. Dall’inizio dell’anno sono stati rintracciati al capolinea della rotta balcanica, fra Trieste e Gorizia, 16mila migranti. «Arrivano ogni giorno a piedi o con i passeur» spiega un agente di polizia in prima linea. Pierpaolo Roberti, assessore del Friuli- Venezia Giulia per immigrazione e sicurezza, sottolinea che «gli ultimi dati parlavano di 35mila rintracci di clandestini in Slovenia. Però ne hanno accolti solo mille. Vuol dire che gran parte degli altri 34mila hanno proseguito verso il nostro confine». Da ieri alle 14 il governo italiano ha sospeso il trattato di Schengen ripristinando i controlli alla frontiera con la Slovenia. Ben 22 valichi principali su 232 chilometri da Trieste a Tarvisio passando per Gorizia. Il timore che ha fatto scattare il giro di vite, come in altri paesi europei, è la possibile infiltrazione, lungo la rotta balcanica, di terroristi legati alla nuova guerra in Medio Oriente. Il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ha lanciato l’allarme su «persone da paesi come la Bosnia fucina di ambienti e gruppi della radicalizzazione islamica. Gli alert e le preoccupazioni indicano che è il tratto più vulnerabile». Il Viminale ha inviato 270 uomini di rinforzo. «Ben vengano più agenti e mezzi, che bisognerebbe mantenere sempre per un controllo migliore delle vie di accesso dei migranti - dichiara Lorenzo Tamaro del sindacato di polizia Sap - Purtroppo però non possiamo riammettere in Slovenia gli illegali, come prima. Abbiamo le mani legate». Il Carso è un colabrodo di sentieri battuti dai migranti. Nella boscaglia è facile trovare vestiti, scarpe, zaini, sacchi a pelo utilizzati per «il gioco», come chiamano il tragitto a piedi dalla Bosnia via Croazia. Si cambiano con indumenti nuovi e puliti per poi presentarsi in Questura a Trieste chiedendo l’asilo oppure proseguire in treno verso Milano. Tutto organizzato via telefonino con tanto di biglietti ferroviari inviati on line dai trafficanti. «Abbiamo intercettato un terrorista bosniaco dell’Isis, che stava tornando a Sarajevo percorrendo la rotta balcanica al contrario, dopo aver combattuto in Medio Oriente», racconta Giuseppe Colasanto, ex dirigente della polizia di frontiera del capoluogo giuliano. «Trieste è la porta d’Oriente- aggiunge il veterano - dove passa di tutto e arriva di tutto. Una rotta utilizzata non solo dai migranti, ma pure da chi ruota attorno all’ambiente terroristico». I «passaggi» più famosi sono quelli di alcuni dei terroristi del Bataclan, ma lo scorso anno abbiamo intercettato almeno due terroristi e adesso aumenta il rischio. Dietro un cespuglio, lungo un altro punto di passaggio del Carso triestino, sono abbandonati dei vestiti «freschi». Ad un passo dalla strada asfaltata e dalla fermata dell’autobus che hanno preso per arrivare a Trieste. Anche l’attività dei passeur è in aumento come dimostra il «cimitero» dei mezzi sequestrati dalla polizia carichi di migranti. Macchine di grossa cilindrata e furgoni con targhe straniere della Romania, Ucraina e paesi dell’ex Jugoslavia. Nell’ultimo anno sono stati arrestati un’ottantina di passeur. Una decina di giorni fa la polizia ha scoperto 28 persone, comprese donne e bambini, chiusi come sardine in un furgone. E lunedì scorso è scattato un inseguimento da film di un passeur romeno. «Neanche quando gli ho puntato la pistola si è fermato - racconta uno degli agenti - Usava il furgone carico di migranti come ariete per buttare fuori strada le nostre auto di pattuglia. Ne ha sfasciate diverse». Il paradosso è che i migranti illegali arrivano tranquillamente in treno da Lubiana. Sei, tutti pachistani, sono sparpagliati nei vagoni alla fermata di Villa Opicina. «Oramai ci siano abituati ammette il capotreno- Qualche centinaia di metri più avanti trovate i documenti che buttano via prima di arrivare a Trieste». Nella stazione del capoluogo giuliano vengono fermati dalla polizia ferroviaria, ma oramai sono arrivati e come tutti gli altri pronunciano le paroline magiche in inglese: «Chiediamo asilo». E dobbiamo tenerceli senza poter fare nulla. |
[continua] |
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30 aprile 2020 | Tg5 | reportage
L'anticamera dell'inferno
Fausto Biloslavo
TRIESTE - “Per noi in prima linea c’è il timore che il ritorno alla vita normale auspicata da tutti possa portare a un aumento di contagi e dei ricoveri di persone in condizioni critiche” ammette Gianfranco, veterano degli infermieri bardato come un marziano per proteggersi dal virus. Dopo anni in pronto soccorso e terapia intensiva lavorava come ricercatore universitario, ma si è offerto volontario per combattere la pandemia. Lunedì si riapre, ma non dimentichiamo che registriamo ancora oltre 250 morti al giorno e quasi duemila nuovi positivi. I guariti aumentano e il contagio diminuisce, però 17.569 pazienti erano ricoverati con sintomi fino al primo maggio e 1578 in rianimazione. Per entrare nel reparto di pneumologia semi intensiva respiratoria dell’ospedale di Cattinara a Trieste bisogna seguire una minuziosa procedura di vestizione. Mascherina di massima protezione, tuta bianca, copri scarpe, doppi guanti e visiera per evitare il contagio. Andrea Valenti, responsabile infermieristico, è la guida nel reparto dove si continua a combattere, giorno e notte, per strappare i contagiati alla morte. Un grande open space con i pazienti più gravi collegati a scafandri o maschere che li aiutano a respirare e un nugolo di tute bianche che si spostano da un letto all’altro per monitorare o somministrare le terapie e dare conforto. Un contagiato con i capelli grigi tagliati a spazzola sembra quasi addormentato sotto il casco da marziano che pompa ossigeno. Davanti alla finestra sigillata un altro paziente che non riesce a parlare gesticola per indicare agli infermieri dove sente una fitta di dolore. Un signore cosciente, ma sfinito, con i tubi dell’ossigeno nel naso è collegato, come gli altri, a un monitor che segnala di continuo i parametri vitali. “Mi ha colpito un paziente che descriveva la sensazione terribile, più brutta del dolore, di non riuscire a respirare. Diceva che “è come se mi venisse incontro la morte”” racconta Marco Confalonieri direttore della struttura complessa di pneumologia e terapia intensiva respiratoria al dodicesimo piano della torre medica di Cattinara. La ventilazione non invasiva lascia cosciente il paziente che a Confalonieri ha raccontato come “bisogna diventare amico con la macchina, mettersi d’accordo con il ventilatore per uscire dal tunnel” e tornare alla vita.
Una “resuscitata” è Vasilica, 67 anni, operatrice di origine romena di una casa di risposo di Trieste dove ha contratto il virus. “Ho passato un inferno collegata a questi tubi, sotto il casco, ma la voglia di vivere e di rivedere i miei nipoti, compreso l’ultimo che sta per nascere, ti fa sopportare tutto” spiega la donna occhialuta con una coperta sulle spalle, mascherina e tubo per l’ossigeno. La sopravvissuta ancora ansima quando parla del personale: “Sono angeli. Senza questi infermieri, medici, operatori sanitari sarei morta. Lottano ogni momento al nostro fianco”.
Il rumore di fondo del reparto è il ronzio continuo delle macchine per l’ossigeno. L’ambiente è a pressione negativa per aspirare il virus e diminuire il pericolo, ma la ventilazione ai pazienti aumenta la dispersione di particelle infette. In 6 fra infermieri ed un medico sono stati contagiati. “Mi ha colpito la telefonata di Alessandra che piangendo ripeteva “non è colpa mia, non è colpa mia” - racconta Confalonieri con il volto coperto da occhialoni e maschera di protezione - Non aveva nessuna colpa, neppure sapeva come si è contagiata, ma si struggeva per dover lasciare soli i colleghi a fronteggiare il virus”.
Nicol Vusio, operatrice sanitaria triestina di 29 anni, ha spiegato a suo figlio che “la mamma è in “guerra” per combattere un nemico invisibile e bisogna vincere”. Da dietro la visiera ammette: “Me l’aspettavo fin dalla prime notizie dalla Cina. Secondo me avremmo dovuto reagire molto prima”. Nicol racconta come bagna le labbra dei pazienti “che con gli occhi ti ringraziano”. I contagiati più gravi non riescono a parlare, ma gli operatori trovano il modo di comunicare. “Uno sguardo, la rotazione del capo, il movimento di una mano ti fa capire se il paziente vuole essere sollevato oppure girato su un fianco o se respira male” spiega Gianfranco, infermiere da 30 anni.
Il direttore sottolinea che “il covid “cuoce” tutti gli organi, non solo il polmone e li fa collassare”, ma il reparto applica un protocollo basato sul cortisone che ha salvato una novantina di contagiati. Annamaria è una delle sopravvissute, ancora debole. Finalmente mangia da sola un piattino di pasta in bianco e con un mezzo sorriso annuncia la vittoria: “Il 7 maggio compio 79 anni”.
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04 luglio 2012 | Telefriuli | reportage
Conosciamoci
Giornalismo di guerra e altro.
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26 settembre 2012 | Uno Mattina | reportage
I lati oscuri (e assurdi) delle adozioni
Con mia moglie, prima di affrontare l’odissea dell’adozione, ci chiedevamo come mai gran parte delle coppie che sentono questa spinta d’amore andavano a cercare bambini all’estero e non in Italia. Dopo quattro anni di esperienza sulla nostra pelle siamo arrivati ad una prima, parziale e triste risposta. La burocratica e farraginosa gestione delle adozioni nazionali, grazie a leggi e cavilli da azzeccagarbugli, non aiutano le coppie che vogliono accogliere un bimbo abbandonato in casa propria, ma le ostacolano.
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03 giugno 2019 | Radio Scarp | intervento |
Italia
Professione Reporter di Guerra
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15 marzo 2018 | Radio Radicale | intervento |
Italia
Missioni militari e interesse nazionale
https://www.radioradicale.it/scheda/535875/missioni-militari-e-interesse-nazionale
Convegno "Missioni militari e interesse nazionale", registrato a Roma giovedì 15 marzo 2018 alle 09:23. L'evento è stato organizzato da Center for Near Abroad Strategic Studies. Sono intervenuti: Paolo Quercia (Direttore del CeNASS, Center for Near Abroad Strategic Studies), Massimo Artini (vicepresidente della Commissione Difesa della Camera dei deputati, Misto - Alternativa Libera (gruppo parlamentare Camera)), Fausto Biloslavo (giornalista, inviato di guerra), Francesco Semprini (corrispondente de "La Stampa" da New York), Arije Antinori (dottore di Ricerca in Criminologia ed alla Sicurezza alla Sapienza Università di Roma), Leonardo di marco (generale di Corpo d'Armata dell'Esercito), Fabrizio Cicchitto (presidente della Commissione Affari esteri della Camera, Area Popolare-NCD-Centristi per l'Europa). Tra gli argomenti discussi: Difesa, Esercito, Esteri, Forze Armate, Governo, Guerra, Informazione, Italia, Ministeri, Peace Keeping, Sicurezza. La registrazione video di questo convegno ha una durata di 2 ore e 46 minuti. Questo contenuto è disponibile anche nella sola versione audio
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20 giugno 2017 | WDR | intervento |
Italia
Più cittadini italiani con lo ius soli
Estendere la cittadinanza italiana ai bambini figli di stranieri? È la proposta di legge in discussione in Senato in questi giorni. Abbiamo sentito favorevoli e contrari.
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25 maggio 2010 | Spazio Radio - Radio 1 | intervento |
Italia
L'Islam nelle carceri italiane
In Italia su oltre 23mila detenuti stranieri, 9840 risultano musulmani, secondo i dati ufficiali. Almeno seimila, però, non si sono dichiarati. Il rapporto di 364 pagine, “La radicalizzazione jihadista nelle istituzioni penitenziarie europee”, realizzato dall’esperto di Islam nella carceri, Sergio Bianchi, ne indica 13mila.
In Italia ci sono circa 80 islamici dietro le sbarre per reati connessi al terrorismo. Dal 2009 li hanno concentrati in quattro istituti di pena: ad Asti, Macomer, Benevento e Rossano. Nel carcere di Opera, invece, sono arrivati Adel Ben Mabrouk, Nasri Riadh e Moez Abdel Qader Fezzani, ex prigionieri di Guantanamo. Chi li controlla ogni giorno racconta che parlano in italiano. La guerra santa in Afghanistan l’hanno abbracciata dopo aver vissuto come extracomunicatori nel nostro paese. Non si possono incontrare fra loro e vivono in celle singole. Pregano regolarmente con molta devozione e hanno mantenuto i barboni islamici.
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03 gennaio 2011 | Radio Capodistria - Storie di bipedi | intervento |
Italia
Gli occhi della guerra
Le orbite rossastre di un bambino soldato, lo sguardo terrorizzato di un prigioniero che attende il plotone di esecuzione, l’ultimo rigagnolo di vita nelle pupille di un ferito sono gli occhi della guerra incrociati in tanti reportage di prima linea.
Dopo l’esposizione in una dozzina di città la mostra fotografica “Gli occhi della guerra” è stata inaugurata a Trieste. Una collezione di immagini forti scattate in 25 anni di reportage da Fausto Biloslavo, Gian Micalessin e Almerigo Grilz, ucciso il 19 maggio 1987 in Mozambico, mentre filmava uno scontro a fuoco. La mostra, che rimarrà aperta al pubblico fino al 20 gennaio, è organizzata dall’associazione Hobbit e finanziata dalla regione Friuli-Venezia Giulia. L’esposizione è dedicata a Grilz e a tutti i giornalisti caduti in prima linea. Il prossimo marzo verrà ospitata a Bruxelles presso il parlamento europeo.Della storia dell'Albatross press agency,della mostra e del libro fotografico Gli occhi della guerra ne parlo a Radio Capodistria con Andro Merkù.
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