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Articolo
25 ottobre 2023 - Esteri - Medio Oriente - Panorama |
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Al comando, ma lontano da Gaza |
Il 7 ottobre, davanti ad un grande televisore al plasma, i leader politici di Hamas, nell’esilio dorato di Doha, osservano compiaciuti le drammatiche immagini dell’attacco del terrore in Israele. “Guarda un nuovo fuoristrada, una jeep israeliana (appena sequestrata dal commando di Hamas nda). Dobbiamo prostrarci in segno di gratitudine per questa vittoria” annuncia Ismail Haniyeh, leader di lungo corso di Hamas, oggi alla guida dell’ufficio politico. Un folto gruppo di barbuti in giacche scure, rigorosamente senza cravatta, gioisce per le scene del sanguinoso attacco. Tutti annuiscono inginocchiandosi verso la Mecca per la preghiera di ringraziamento. Saleh al Arouri è il numero due dell’ufficio politico e leader di Hamas in Cisgiordania, Khaled Mashal, l’ex portavoce che istiga i venerdì di rabbia e rivolta, Khalil al Haya, il responsabile delle relazioni con il mondo arabo e islamico. Haniyeh guida la preghiera: “Allah, ti prego, concedi il tuo sostegno e la tua gloria al nostro popolo e alla nostra nazione. Dio è grande! Sia lodato Allah”. La cupola di Hamas vive di fatto in esilio e nel lusso da anni a differenza del loro popolo sotto le bombe e “prigioniero” a Gaza. Doha, capitale del Qatar, Beirut in Libano e la turca Istanbul sono i rifugi sicuri dove i vertici dell’estremismo palestinese portano avanti la causa non disdegnando gli affari e la bella vita. Famosa la frase elettorale di Haniyeh che si era impegnato a vivere per sempre di “zeit wa zaatar”, olio d’oliva ed erbe essiccate. Dal 2019 è in esilio a Doha ricevuto con il tappeto rosso dai dignitari del Qatar. Un video lo mostra impegnato in una partita di calcio fra amici e una serie di fotografie lo immortala a bordo di un jet executive che farebbe invidia a Elon Musk. Il suo ex portavoce, Mashal, si è fatto beccare in una palestra e mentre gioca a ping pong. Un altro pezzo grosso di Hamas, Taher a-Nunu, preferiva i selfie dall’ultimo piano di un lussuoso hotel a cinque stelle di Doha. Hamas ha un vero e proprio ufficio di rappresentanza nella capitale del Qatar, nonostante sia un’organizzazione terroristica per gli Stati Uniti e l’Unione europea. Nella sala riunioni spicca sullo sfondo una grande foto di Gerusalemme, che Hamas vuole “liberare” dagli ebrei, dove risalta la cupola dorata della moschea di Al Aqsa. Il 14 ottobre Haniyeh ha accolto a braccia aperte a Doha il ministro degli Esteri iraniano Hossein Amirabdollahian ribadendo “la cooperazione nella lotta contro Israele”. E sempre dalla capitale del Qatar, con un fotomontaggio di Gerusalemme alle spalle, Mashal ha lanciato l’appello alla rivolta nel mondo arabo per i bombardamenti a Gaza. Prima dell’11 settembre israeliano, quando la tregua con Hamas sembrava reggere, i funerali a Gaza riguardavano spesso i giovani che cercando di raggiungere clandestinamente l’Europa annegano nella traversata in mare. In gennaio Um Mohammed, la madre di Khaled Shurrab, disperso per sempre fra le onde dell’Egeo, è esplosa nei confronti dei vertici di Hamas: “Vivono nel lusso mentre i nostri figli mangiano terra, migrano e muoiono all’estero”. Un ex consigliere di Haniyeh, Ahmed Yousef, pure lui al sicuro a Istanbul ha ammesso che “ci siamo presentati come un movimento popolare, non di élite. Questo avrebbe dovuto obbligarci ad affrontare meglio i bisogni e i problemi delle persone”. Il Qatar, che finanzia Hamas con una media di 30 milioni di dollari al mese, e ha ospitato la prima ambasciata ufficiosa dei talebani quando non avevano ancora riconquistato il potere, gioca una partita ambigua su più tavoli. Il ricco paese del Golfo ospita una delle più importanti presenze militari americane nella base aerea di Al Udeid utilizzata per la guerra al terrore dal 2001. Ted Cruz, senatore del Texas, è andato giù duro: “Il Qatar ospita assassini di massa che hanno appena orchestrato un attacco terroristico che ha ucciso almeno due dozzine di americani ed è stato il più grande massacro di ebrei in un giorno dall’Olocausto”. Beirut è un’altra capitale del confortevole auto esilio di Hamas. Dal 2018, Saleh al Arouri, il numero due dell’ufficio politico, si è piazzato nella capitale libanese, come Khalil al Haya, che controlla le relazioni con il mondo islamico e Zaher Jabarin responsabile per i prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane. Spesso fanno spola con Doha. Del “politburo” di Hamas in Libano fa parte anche Osama Hamdan, con tanto di ufficio ad Haret Hreik, la roccaforte di Hezbollah nella periferia sud di Beirut. In un’intervista a Repubblica ha ribadito che lo Stato di Israele “non è accettabile, va smantellato”. Hamas ha messo in piedi in Libano “un comando congiunto delle operazioni” con il partito armato Hezbollah, fedele a Teheran e l’appoggio di consiglieri dei Pasdaran, il corpo di élite iraniano. I primi ad attaccare Hamas per la bella vita all’estero sono stati gli egiziani. Sui canali tv filo governativi sono passate le immagini dei pezzi grossi del gruppo palestinese in Qatar con l’ironico memo che “la guerra santa è a Gaza” e non negli hotel a cinque stelle. La Turchia è un altro “rifugio” per i vertici di Hamas grazie a una politica di visti molto aperta nei confronti dei Vip palestinesi. Istanbul è la città preferita anche per lucrosi affari. “Diversi rampolli dei leader di Hamas gestiscono attività immobiliari pr conto dei loro genitori” conferma un imprenditore palestinese. Maaz Haniyeh, figlio del leader, avrebbe ottenuto quest’anno un passaporto turco e fa spola con Istanbul dove farebbe una vita esagerata con donne e alcol secondo il sito saudita Elaph aperto in Gran Bretagna. Maaz è conosciuto a Gaza, come Abu Al Aqarat, il “padre del settore immobiliare” per la proprietà di appartamenti e palazzi anche nella Striscia ad altissima densità abitativa. Il presidente turco, Recep Tayyip Erdo?an, quando si riavvicina a Israele raffredda i rapporti con Hamas, ma è sempre rimasto al centro delle manovre con le fazioni palestinesi. Il 26 luglio ha organizzato ad Ankara un incontro fra l’anziano Abu Mazen, presidente del’Autorità nazionale palestinese, insediata in Cisgiordania e Haniyeh. “I palestinesi comuni vedono che Hamas è passato da un’umile leadership, che lottava tra la gente, a vivere in posti confortevoli dove sembrano lontani dalla causa - osserva Azmi Keshawi, analista di Gaza dell’International Crisis Group - Sicuramente la gente ne parla con rabbia”. Fausto Biloslavo |
[continua] |
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12 marzo 2003 | Radio 24 Nove in punto | intervento |
Medio Oriente
Embedded per l'invasione dell'Iraq/1
Avrei dovuto andare embedded con i reparti corazzati americani che si preparavano ad attaccare l'Iraq, ma poi non c'era posto. Allora ho raccontato lo stesso l'invasione seguendo le truppe alleate autonomamente, a mio rischio e pericolo. Con una jeep noleggiata in Kuwait ho percorso nel deserto iracheno 4325 chilometri di guerra, durante il mese di battaglia dell'invasione
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19 maggio 2012 | Radio Uno | intervento |
Medio Oriente
Le primavere arabe diventate autunno
Al festival "è storia" di Gorizia le "notti bianche" di Radio Uno sulle primavere arabe che sono già diventate autunno.
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27 maggio 2006 | Radio 24 | intervento |
Medio Oriente
Iraq, il sequestro di Enzo Baldoni
Venerdì 20 agosto 2004. Il giornalista Enzo Baldoni, è scomparso in Iraq, insieme al suo autista, accompagnatore ed interprete Garib. Baldoni collabora con il settimanale Diario diretto da Enrico Deaglio. 26 agosto, intorno alle 23. L'emittente Al Jazeera annuncia la morte di Enzo Baldoni. Il suo corpo non è mai stato ritrovato.
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12 marzo 2003 | Radio 24 Nove in punto | intervento |
Medio Oriente
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Avrei dovuto andare embedded con i reparti corazzati americani che si preparavano ad attaccare l'Iraq, ma poi non c'era posto. Allora ho raccontato lo stesso l'invasione seguendo le truppe alleate autonomamente, a mio rischio e pericolo. Con una jeep noleggiata in Kuwait ho percorso nel deserto iracheno 4325 chilometri di guerra, durante il mese di battaglia dell'invasione
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