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Reportage
18 novembre 2023 - Il Fatto - Cisgiordania - Il Giornale |
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Nell inferno di Jenin Polveriera Cisgiordania tra armi, raid e martiri |
• «Martiri, martiri, questa è la via. Voi siete caduti, ma noi continueremo la lotta», urla la folla avanzando fra le strade strette e devastate dai bulldozer israeliani del campo di Jenin. La piccola Gaza della Cisgiordania sta esplodendo con raid dei militari e scontri quasi quotidiani. I tre corpi devastati dall’ultima battaglia notturna sono stati ricomposti e avvolti nelle bandiere dei gruppi armati. Due nere della Jihad islamica e una verde di Hamas. Il volto reso cereo dalla morte e la fronte avvolta dalla bandana con le scritte del Corano devono essere visti da tutti. Al funerale sfilano oltre mille giovani del campo, diventato fatiscente quartiere, che ospita 35mila palestinesi. Una mina innescata dove Hamas e la Jihad islamica sono sempre più forti e pronti a dare battaglia. Al corteo funebre diversi palestinesi imbracciano le armi, soprattutto moderni fucili mitragliatori Ar-15 americani. E pochi nascondono il volto con il mefisto. In mezzo allo scandire degli slogan sparano raffiche per aria. «Takbeer» è l’invocazione lanciata per invitare la gente a gridare «Allah o akbar», Dio è grande. Per la folla, che si ingrossa, i palestinesi uccisi armi in pugno sono «martiri», «shaeed» destinati al Paradiso. Le forze armate israeliane, che vengono a dargli la caccia, li considerano terroristi. Di notte penetrano in città lunghe colonne di mezzi militari carichi di soldati. Davanti c’è un bulldozer che demolisce i monumenti dedicati ai «martiri» palestinesi della guerra santa. Hamas e la Jihad islamica, ma anche altre fazioni, danno del filo da torcere piazzando trappole esplosive e lanciando razzi anticarro Rpg. Nella notte fra giovedì e venerdì i soldati hanno circondato l’ospedale Ibn Sina intimando con gli altoparlanti di sgomberare l’edificio. Il personale sanitario è uscito con le mani in alto. Gli israeliani cercavano qualche sospetto ferito nei giorni precedenti. Ben presto taccano. Io ho solo pietre da tirare ai sodati», urla un’anziana con un velo bianco che le copre la testa e lascia libero solo il volto. L’impressione è che il campo di Jenin, roccaforte di Hamas, sia non solo una polveriera, ma un arsenale con armi nascoste dappertutto. Sopra le nostre teste vola con l’inconfondibile ronzio rumoroso un drone israeliano. Le strade del campo sono mezze distrutte dai bulldozer militari e non mancano cavalli di frisia per fermare i blindati. Dall’attacco stragista di Hamas del 7 ottobre sono morti in Cisgiordania 204 palestinesi. L’intelligence teme che la Cisgiordania possa esplodere aprendo un secondo fronte interno dopo Gaza. Nel camposanto islamico un giovane barbuto piange e si spalma sul volto la mano intrisa di sangue di uno dei caduti. Poche ore prima una madre dilaniata dal dolore era accovacciata sulla tomba del figlio Omar Abu Akel, 22 anni, morto in battaglia il 9 novembre. Nella foto la faccia da sbarbatello stona con l’uniforme da miliziano armato fino ai denti. «Era ricercato da due anni - racconta Feida - Avevo cercato di convincerlo a vivere, ma voleva solo combattere e immolarsi per la Palestina. Mi ripeteva sempre: terra libera o morte». |
[continua] |
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