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04 dicembre 2023 - Esteri - Serbia - Il Giornale
Fra tensioni etniche e l’influenza russa Roma resta un’alleata storica di Belgrado
L’ingresso di Belgrado nell’Unione europea, anche se fra i serbi non va più tanto di moda. La scalata dell’Italia come primo partner commerciale grazie alla produzione della Panda elettrica nella storica fabbrica di Kragujevac. E pure una rinnovata collaborazione nel campo della Difesa.
L’Italia è l’alleata di ferro della Serbia nell’Unione europea, scelta di campo suggellata dalla visita a Belgrado della premier Giorgia Meloni. E per noi la Serbia è strategica per la stabilità dei Balcani occidentali, soprattutto in Kosovo, percorso da tensioni a intermittenza, e in Bosnia, dove covano sotto le ceneri le spinte separatiste. Oltre che baluardo nel contrasto all’immigrazione illegale lungo la rotta balcanica.
Nonostante l’appoggio italiano all’offensiva aerea contro la Serbia di Milosevic nel 1999 siamo stati l’unico Paese della Nato a tenere aperta l’ambasciata sotto le bombe. E oggi Belgrado apprezza il ruolo dell’Italia nella missione di stabilizzazione in Kosovo. I nostri militari proteggono i monasteri ortodossi come Decani, culla della storia e religione serbe. Anche durante la spaventosa guerra etnica, che ha dissolto la Jugoslavia, i serbi ripetevano ai giornalisti che l’Italia ha salvato il loro esercito rincorso dagli austro-ungarici durante la prima guerra mondiale, evacuandolo attraverso l’Adriatico.
Meloni a Belgrado ha ribadito che la Serbia «può contare sul sostegno e sull’impegno dell’Italia a partire dal prossimo Consiglio europeo per velocizzare l’accesso graduale al mercato unico». L’Italia è l’alfiere dell’ingresso di Belgrado nella Ue. Non solo: «Il contrasto all’immigrazione irregolare per quello che riguarda la rotta balcanica è un obiettivo che Roma e Belgrado condividono» ha ribadito il presidente del Consiglio italiano.
Il versante economico è un tassello fondamentale dell’asse Roma-Belgrado. L’interscambio bilaterale con l’Italia nel 2022 ha raggiunto la cifra record di quasi 4,6 miliardi di euro (+10,5% rispetto all’anno precedente). Il nostro paese è il terzo partner commerciale della Serbia dietro a Cina, Germania e Federazione Russa.
In Serbia operano 1.200 aziende italiane. I settori trainanti sono quello energetico con Fintel Energjia e dell’automotive con Stellantis. Lo storico impianto Fiat di Kragujevac è stato riconvertito alla produzione della Panda elettrica che inizierà il prossimo anno. Oltre agli investimenti in agricoltura con Ferrero, nel tessile del Gruppo Benetton, Calzedonia, Pompea e Golden Lady è forte la presenza di Intesa Sanpaolo, prima banca in Serbia, e nel campo assicurativo delle Generali, seconda compagnia in Serbia.
In marzo abbiamo rafforzato il partenariato bilaterale per le nuove tecnologie, l’intelligenza artificiale e l’agri-tech. Dopo dieci anni è stato rinnovato «l’accordo tecnico» di cooperazione nella Difesa firmato dal generale Luciano Portolano e dal viceministro serbo Nenad Miloradavic, che va dall’aerosopazio, agli armamenti fino ai corpi speciali.
La Serbia è un tradizionale avamposto russo nei Balcani, che non bisogna abbandonare fra le braccia di Mosca o dei cinesi. Proprio questo legame storico potrebbe tornare utile all’Italia, in tempi di stallo del conflitto in Ucraina e affaticamento dell’Occidente. Il presidente serbo Aleksandar Vucic può intervenire sul Cremlino per auspicare una via d’uscita.
[continua]

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13 ottobre 2010 | Porta a porta | reportage
Le tigri serbe non fanno prigionieri
“Kosovo je Srbija” (il Kosovo è serbo) gridano gli hooligan di Belgrado durante le partite di calcio. Per loro la ferita della provincia albanese indipendente rimarrà sempre aperta. Giovani, spesso minorenni, studenti o disoccupati, passano facilmente dalle curve degli stadi alle manifestazioni di piazza. Ed il tifo si trasforma in cieca violenza. Sfasciano i Mac Donald, simbolo americano e se la prendono con il governo di Belgrado che vuole entrare in Europa. Nel 2008, dopo la dichiarazione di indipendenza del Kosovo, attaccano l’ambasciata Usa a Belgrado. Dal balcone al primo piano fanno sventolare la bandiera nera con il teschio e le tibie incrociate. Un simbolo che si rifà ai cetnici, i partigiani anti nazisti e anticomunisti, durante la seconda guerra mondiale. Lo stesso simbolo sulla maglietta indossata dal capo degli ultrà serbi calati a Genova. I più famosi sono i Delje, i “coraggiosi” della Stella Rossa di Belgrado, assieme ai Grobari, i “becchini” del Partizan. Acerrimi rivali negli stadi, durante le manifestazioni di piazza si alleano per sfasciare tutto. La Stella rossa è il club calcistico con il più alto numero di dirigenti collusi con la mafia balcanica. La leggenda nera degli ultrà serbi è Zeliko Raznatovic. Il famigerato Arkan, l’immortale, ucciso nel 2000 a Belgrado a raffiche di mitra. Durante la guerra etnica che distrugge la Jugoslavia arruola i tifosi più violenti. Le Tigri, che non fanno prigionieri, come spiega lo stesso Arkan: “Li ammazziamo subito, con un colpo di pistola alla testa,”. Dopo la sua morte la tifoseria continua a venir pilotata. I manager di alcune squadre sono vicini agli oppositori ultranazionalisti di Tomislav Nikolic. Il successore di Vojislav Seselj, dietro le sbarre a L’Aja, con l’accusa di crimini di guerra. Fra gli ultrà non mancano gli estremisti di destra del gruppo Onore, che difende i criminali di guerra serbi, come l’ultimo super latitante, Ratko Mladic. Gli stessi che domenica scorsa si scatenano a Belgrado contro il Gay pride. Non è un caso che gli ultrà attaccano a colpi di slogan soprattutto il presidente serbo Boris Tadic. Europeista convinto, ha voltato pagina con le tragedie della pulizia etnica ed è grande amico del nostro paese. Dallo scorso anno Italia e Serbia sono alleati strategici nei Balcani e Roma spinge per l’ingresso di Belgrado nell’Unione europea. I nostalgici del passato fomentano i giovani tifosi per impedirlo.

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