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25 ottobre 2024 - Interni - Italia - Il Giornale
Minacce di morte alla toga pro migranti che accusò la polizia
Inaccettabili minacce di morte a Silvia Albano (nella foto), giudice del Tribunale di Roma, finita nell’occhio del ciclone per aver fatto rientrare in Italia i migranti tradotti in Albania. Albano, presidente di Magistratura democratica, si è sempre esposta pubblicamente, in maniera anche ideologica, preannunciando le sue ordinanze, ma questo non giustifica in alcun modo le minacce. Magistratura Democratica rivela che Albano «ha presentato un’articolata denuncia alla Procura della Repubblica di Roma». In un comunicato si sottolinea: «La campagna di discredito che è stata scatenata contro i magistrati romani, e in particolare contro Silvia Albano (nella foto), ha contribuito a costruire un clima di contrapposizione, di odio, trasceso infine in gravi minacce alla sua incolumità e alla sua vita».
Quando per un madornale errore di Albano la polizia di frontiera di Trieste è finita nel mirino, accusata falsamente di gravi maltrattamenti da un pachistano, nessuno ha alzato un dito in difesa delle forze dell’ordine. Come per l’Albania anche in questo caso, che riguarda la rotta balcanica, la giudice ha anticipato le sue mosse mesi prima ad un convegno sponsorizzato oltre che da Cgil, Cisl e Uil, da Md e Asgi, associazione finanziata da Soros di docenti, legali ed esperti, che fa di tutto per aprire le porte all’immigrazione.
Gianfranco Schiavone, che accoglie a Trieste i migranti della rotta balcanica, interviene il 14 ottobre 2021 a nome dell’Asgi annunciando «casi documentatissimi di tortura» e chiedendosi se «prima o dopo ci sarà un giudice a Berlino». Albano prende la parola sulla stessa linea immigrazionista e guarda caso, il 18 gennaio 2022, si trasforma nel «giudice a Berlino» accogliendo in pieno il caso di Mahmood Zeeshan presentato al tribunale di Roma dai legali dell’Asgi, che denuncia gravi maltrattamenti da parte della polizia di frontiera del capoluogo giuliano. «L’ordinanza fu una sorta di shock. Essere accusati di avere maltrattato in modo così cruento un migrante pachistano è stato molto triste per noi che siamo abituati ad accogliere le persone, non a bastonarle» racconta un protagonista di allora.
Immediata la gogna mediatica e politica. «Nessuno ci difendeva dalle accuse di polizia stile Pinochet. Albano aveva avallato una serie di fandonie raccontate dal pachistano come le manganellate e la riammissioni in furgoni con finestrini oscurati, che non abbiamo mai avuto in dotazione» racconta Lorenzo Tamaro, segretario provinciale a Trieste del sindacato autonomo di polizia. Il vero obiettivo del caso, montato ad arte, è bloccare il rinvio in Slovenia dei migranti intercettati al capolinea italiano della rotta balcanica. Albano non solo dà ragione al pachistano, ma si spinge più in là bollando come «illegittime» le «riammissioni informali» in Slovenia. Il timido ministro dell’Interno, Luciano Lamorgese, le stava già congelando su pressioni dell’estrema sinistra.
«L’ordinanza di Albano ha di fatto bloccato, praticamente per sempre - dichiara Tamaro - le riammissioni in Slovenia, che funzionavano come deterrente».
Storia simile all’Albania aggravata dal fatto che qualche mese dopo il Viminale vince il ricorso con una sentenza clamorosa: il pachistano si è inventato tutto, anzi non ha mai messo piede in Italia. I nuovi giudici non si pronunciano sulle riammissioni, come è giusto, ma al danno si aggiunge la beffa. Il migrante bugiardo era già arrivato in Italia con visto della nostra ambasciata a Sarajevo e volo pagato grazie all’ordinanza Albano. Asgi conferma: «il sig. M.Z.», che ha accusato di infondata brutalità la polizia di Trieste, «ha potuto, comunque, esercitare il suo diritto a chiedere asilo in Italia».
[continua]

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07 aprile 2020 | Tg5 | reportage
Parla il sopravvissuto al virus
Fausto Biloslavo TRIESTE - Il sopravvissuto sta sbucciando un’arancia seduto sul letto di ospedale, come se non fosse rispuntato da poco dall’anticamera dell’inferno. Maglietta grigia, speranza dipinta negli occhi, Giovanni Ziliani è stato dimesso mercoledì, per tornare a casa. Quarantadue anni, atleta e istruttore di arti marziali ai bambini, il 10 marzo ha iniziato a stare male nella sua città, Cremona. Cinque giorni dopo è finito in terapia intensiva. Dalla Lombardia l’hanno trasferito a Trieste, dove un tubo in gola gli pompava aria nei polmoni devastati dall’infezione. Dopo 17 giorni di calvario è tornato a vivere, non più contagioso. Cosa ricorda di questa discesa all’inferno? “Non volevo dormire perchè avevo paura di smettere di respirare. Ricordo il tubo in gola, come dovevo convivere con il dolore, gli sforzi di vomito ogni volta che cercavo di deglutire. E gli occhi arrossati che bruciavano. Quando mi sono svegliato, ancora intubato, ero spaventato, disorientato. La sensazione è di impotenza sul proprio corpo. Ti rendi conto che dipendi da fili, tubi, macchine. E che la cosa più naturale del mondo, respirare, non lo è più”. Dove ha trovato la forza? “Mi sono aggrappato alla famiglia, ai valori veri. Al ricordo di mia moglie, in cinta da otto mesi e di nostra figlia di 7 anni. Ti aggrappi a quello che conta nella vita. E poi c’erano gli angeli in tuta bianca che mi hanno fatto rinascere”. Gli operatori sanitari dell’ospedale? “Sì, medici ed infermieri che ti aiutano e confortano in ogni modo. Volevo comunicare, ma non ci riuscivo perchè avevo un tubo in gola. Hanno provato a farmi scrivere, ma ero talmente debole che non ero in grado. Allora mi hanno portato un foglio plastificato con l’alfabeto e digitavo le lettere per comporre le parole”. Il momento che non dimenticherà mai? “Quando mi hanno estubato. E’ stata una festa. E quando ero in grado di parlare la prima cosa che hanno fatto è una chiamata in viva voce con mia moglie. Dopo tanti giorni fra la vita e la morte è stato un momento bellissimo”. Come ha recuperato le forze? “Sono stato svezzato come si fa con i vitellini. Dopo tanto tempo con il sondino per l’alimentazione mi hanno somministrato in bocca del tè caldo con una piccola siringa. Non ero solo un paziente che dovevano curare. Mi sono sentito accudito”. Come è stato infettato? “Abbiamo preso il virus da papà, che purtroppo non ce l’ha fatta. Mio fratello è intubato a Varese non ancora fuori pericolo”. E la sua famiglia? “Moglie e figlia di 7 anni per fortuna sono negative. La mia signora è in attesa di Gabriele che nascerà fra un mese. Ed io sono rinato a Trieste”. Ha pensato di non farcela? “Ero stanco di stare male con la febbre sempre a 39,6. Speravo di addormentarmi in terapia intensiva e di risvegliarmi guarito. Non è andata proprio in questo modo, ma è finita così: una vittoria per tutti”.

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26 agosto 2023 | Tgcom24 | reportage
Emergenza migranti
Idee chiare sulla crisi dagli sbarchi alla rotta balcanica.

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11 novembre 2008 | Centenario della Federazione della stampa | reportage
A Trieste una targa per Almerigo Grilz
e tutti i caduti sul fronte dell'informazione

Ci sono voluti 21 anni, epiche battaglie a colpi di articoli, proteste, un libro fotografico ed una mostra, ma alla fine anche la "casta" dei giornalisti triestini ricorda Almerigo Grilz. L'11 novembre, nella sala del Consiglio comunale del capoluogo giuliano, ha preso la parola il presidente dell'Ordine dei giornalisti del Friuli-Venezia Giulia, Pietro Villotta. Con un appassionato discorso ha spiegato la scelta di affiggere all'ingresso del palazzo della stampa a Trieste una grande targa in cristallo con i nomi di tutti i giornalisti italiani caduti in guerra, per mano della mafia o del terrorismo dal 1945 a oggi. In rigoroso ordine alfabetico c'era anche quello di Almerigo Grilz, che per anni è stato volutamente dimenticato dai giornalisti triestini, che ricordavano solo i colleghi del capoluogo giuliano uccisi a Mostar e a Mogadiscio. La targa è stata scoperta in occasione della celebrazione del centenario della Federazione nazionale della stampa italiana. Il sindacato unico ha aderito all'iniziativa senza dimostrare grande entusiasmo e non menzionando mai, negli interventi ufficiali, il nome di Grilz, ma va bene lo stesso. Vale la pena dire: "Meglio tardi che mai". E da adesso speriamo veramente di aver voltato pagina sul "buco nero" che ha avvolto per anni Almerigo Grilz, l'inviato ignoto.

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radio

20 giugno 2017 | WDR | intervento
Italia
Più cittadini italiani con lo ius soli
Estendere la cittadinanza italiana ai bambini figli di stranieri? È la proposta di legge in discussione in Senato in questi giorni. Abbiamo sentito favorevoli e contrari.

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06 settembre 2018 | Radio immaginaria | intervento
Italia
Teen Parade
Gli adolescenti mi intervistano sulla passione per i reportage di guerra

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15 marzo 2018 | Radio Radicale | intervento
Italia
Missioni militari e interesse nazionale
https://www.radioradicale.it/scheda/535875/missioni-militari-e-interesse-nazionale Convegno "Missioni militari e interesse nazionale", registrato a Roma giovedì 15 marzo 2018 alle 09:23. L'evento è stato organizzato da Center for Near Abroad Strategic Studies. Sono intervenuti: Paolo Quercia (Direttore del CeNASS, Center for Near Abroad Strategic Studies), Massimo Artini (vicepresidente della Commissione Difesa della Camera dei deputati, Misto - Alternativa Libera (gruppo parlamentare Camera)), Fausto Biloslavo (giornalista, inviato di guerra), Francesco Semprini (corrispondente de "La Stampa" da New York), Arije Antinori (dottore di Ricerca in Criminologia ed alla Sicurezza alla Sapienza Università di Roma), Leonardo di marco (generale di Corpo d'Armata dell'Esercito), Fabrizio Cicchitto (presidente della Commissione Affari esteri della Camera, Area Popolare-NCD-Centristi per l'Europa). Tra gli argomenti discussi: Difesa, Esercito, Esteri, Forze Armate, Governo, Guerra, Informazione, Italia, Ministeri, Peace Keeping, Sicurezza. La registrazione video di questo convegno ha una durata di 2 ore e 46 minuti. Questo contenuto è disponibile anche nella sola versione audio

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03 gennaio 2011 | Radio Capodistria - Storie di bipedi | intervento
Italia
Gli occhi della guerra
Le orbite rossastre di un bambino soldato, lo sguardo terrorizzato di un prigioniero che attende il plotone di esecuzione, l’ultimo rigagnolo di vita nelle pupille di un ferito sono gli occhi della guerra incrociati in tanti reportage di prima linea. Dopo l’esposizione in una dozzina di città la mostra fotografica “Gli occhi della guerra” è stata inaugurata a Trieste. Una collezione di immagini forti scattate in 25 anni di reportage da Fausto Biloslavo, Gian Micalessin e Almerigo Grilz, ucciso il 19 maggio 1987 in Mozambico, mentre filmava uno scontro a fuoco. La mostra, che rimarrà aperta al pubblico fino al 20 gennaio, è organizzata dall’associazione Hobbit e finanziata dalla regione Friuli-Venezia Giulia. L’esposizione è dedicata a Grilz e a tutti i giornalisti caduti in prima linea. Il prossimo marzo verrà ospitata a Bruxelles presso il parlamento europeo.Della storia dell'Albatross press agency,della mostra e del libro fotografico Gli occhi della guerra ne parlo a Radio Capodistria con Andro Merkù.

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03 giugno 2019 | Radio Scarp | intervento
Italia
Professione Reporter di Guerra


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