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Commento
30 dicembre 2024 - Prima - Iran - Il Giornale |
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Ha seguito tutte le regole, inutili le discussioni |
Una decina d’anni fa Cecilia Sala ha sbagliato sui marò detenuti in India, anche se ognuno è libero di esprimere le sue opinioni, giuste o meno che siano. Adesso siamo noi cui le prime vittime sono le donne. Ricordo altresì che dal settembre del 2022, in seguito all’uccisione di una ragazza curda colpevole di non indossare correttamente il velo, il medesimo Paese è stato attraversato da una rivolta sociale che l’autorità ha represso mediante violenze di ogni tipo, bagni di sangue, arresti, bastonate mortali, stupri, una macelleria di migliaia di esseri umani, tra cui numerosi minori. Possiamo forse credere o ipotizzare che Sala non fosse a conoscenza della situazione locale? Alle condizioni interne si aggiunga la scenario globale, che attualmente vede uno scontro acceso tra Occidente e autarchie islamiche. Insomma, non mi pare un bel momento per compiere un pellegrinaggio a Teheran. Quindi Sala ci è andata a suo rischio e pericolo, da sola, non si capisce bene perché. Insomma, era stata inviata da un giornale? Da una tv? Era supportata? Pare che non fosse la prima volta che la giornalista visitava questo Paese, che la affascinava particolarmente. E pare che ella esaltasse la cultura barbara di questi popoli, di cui ora sta scoprendo la scarsa civiltà, purtroppo sulla sua stessa pelle. Di fatto, infatti, ancora non conosciamo i motivi dell’arresto e stiamo facendo solamente supposizioni. Eppure il buonsenso e la legge impongono che, al momento dell’arresto, tali motivi vengano comunicati e resi ufficiali. Ma nel primitivo Iran, evidentemente, non si usa farlo. Sembra che ci sia dietro una questione diplomatica, una specie di ritorsione, determinata dall’arresto in Italia, ossia all’aeroporto di Malpensa, qualche giorno prima del fermo di Cecilia, di un cittadino iraniano, ricercato dagli Stati Uniti. A prescindere dalle motivazioni, il trattenimento appare ingiusto, anche per le modalità. Eppure non posso fare a meno di chiedermi per quale ragione ci ostiniamo a viaggiare verso tali mete, verso Paesi fermi alla preistoria, dove il diritto non esiste, dove ogni libertà viene calpestata, dove non vige alcuna garanzia giuridica, dove l’unica legge ammessa è contenuta nel Corano. Ho letto, sì, che qualcuno sostiene che il governo avrebbe dovuto avvertire Sala. Come? Perché? La Farnesina già mette in guardia gli italiani dal recarsi in Iran, tanto più in questo periodo. Cos’altro dovrebbe fare l’esecutivo? È il cittadino a doversi tutelare, avendo a disposizione ogni informazione possibile. E si presume che una giornalista sia informata, che legga i giornali, che conosca la situazione, che sia consapevole dei pericoli, che non si avventuri in Iran come se stesse andando a fare una scampagnata alle porte di Milano. Non si può dare sempre la colpa al governo e soltanto perché è di centrodestra. L’ideologia mettiamola da parte. Cecilia Sala è nei guai per causa sua, ossia a causa della sua condotta superficiale, della sua avventatezza, della sottovalutazione, da parte sua, dei rischi, della sua inesperienza, poiché, e questa storia lo mostra con evidenza, non basta viaggiare spesso o essere già stati in certi luoghi per prendere la patente di esperti. Evidentemente serve qualcosa in più, che Sala non possiede. I giornalisti non si avventurano. Le loro trasferte sono pianificate, strutturate, studiate. Salveremo la pelle di Sala, la riporteremo a casa, faremo di tutto per la nostra concittadina. La rivogliamo qui. Di sicuro non l’abbandoneremo in Iran. Ma a quei colleghi che già la esaltano, facendone una specie di idolo, faccio presente che non siamo al cospetto di un genio. dalla prima pagina (...) obbligati a non sbagliare in una vicenda così delicata. Le polemiche strumentali o ideologiche non servono a nulla, anzi possono risultare dannose. Quello che conta, ora, sono idee chiare senza tanti fronzoli: Cecilia è una giornalista italiana, «ostaggio» degli iraniani, che va riportata a casa, punto e basta. Lo stesso marò Salvatore Latorre, che non ha dimenticato i post poco simpatici della giornalista, ribadisce che bisogna fare di tutto per la sua liberazione, incitandola a resistere con un «tieni botta, Cecilia». Non ha alcuna importanza se Sala è di sinistra o di destra, se vota per un partito o un altro. So di cosa parlo: nel 1987, quando sono stato catturato durante un reportage con i mujaheddin che combattevano l’Armata rossa, l’Unità titolò «Neofascista arrestato in Afghanistan» perché avevo militato dieci anni prima nel Fronte della gioventù. L’importante è che Cecilia fosse in Iran per realizzare un reportage come giornalista con un regolare visto, che gli iraniani potevano revocare rispedendola in Italia se i suoi podcast li avessero particolarmente stizziti. Purtroppo si tratta di una vicenda ben più complessa e pericolosa, una «rappresaglia» per l’arresto a Malpensa di un iraniano che gli americani accusano di aiutare i Pasdaran nel dribblare le sanzioni. Non si può nemmeno dire che la giornalista italiana sia una sprovveduta o una kamikaze dell’informazione, un’improvvisatrice che non si rende conto dei rischi. Anzi, nonostante l’irruenza della giovane età, risulta che sia sempre stata molto attenta. A Kabul, dove l’ho conosciuta, durante la Caporetto afghana, non si è buttata in mezzo alla protesta delle donne disperse a fucilate dai talebani rischiando di finire male. Sul ponte di Irpin non si è tuffata verso i carri russi che avanzavano su Kiev, riuscendo comunque a fare, in relativa sicurezza, un buon lavoro. Nel regno degli ayatollah forse avrebbe potuto mandare in onda i podcast una volta tornata a casa, ma le autorità erano informate su incontri, interviste e non avevano battuto ciglio. L’hanno fermata, non a caso, solo tre giorni dopo l’arresto dell’iraniano in Italia, quando stava per rientrare in patria. E se l’Iran è un Paese pericoloso, non solo per i giornalisti, rappresenta un motivo in più per cercare di raccontare cosa succede. Ben più gravi delle polemiche sono invece i deliri pro Pal, che hanno già condannato Cecilia come «agente sionista» perché scrive sul Foglio e ha realizzato reportage in Israele come tutti i giornalisti che raccontano le guerre. Chi scrive queste cose finisce per fare il gioco dei carcerieri, che puntano spesso ad ottenere «confessioni» farlocche, estorte con pressioni fisiche o psicologiche utili a giustificare la detenzione sine die. Lo stop alle polemiche dannose o ai deliri e il plauso alla ferma linea bipartisan può solo aiutare a sbrogliare la matassa. Non solo bisogna abbassare i toni, ma pure i riflettori, aiutando chi lavora in maniera necessariamente discreta per risolvere il caso. Per dibattiti e polemiche ci sarà sempre tempo, quando Cecilia tornerà a casa. |
[continua] |
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26 giugno 2009 | SkyTG24 | reportage
Il G8 a Trieste e la crisi iraniana
Cosa succederà in Iran? Gli oppositori verranno messi a tacere dalla repressione, ma la crisi lascerà il segno.
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