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Articolo
08 gennaio 2025 - Il fatto - Italia - Il Giornale |
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Quelle regole non scritte per il nuovo capo del Dis |
«Ci stiamo lavorando» è l’assicurazione sul-la scelta del nuovo direttore del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (Dis), dopo le «rumorose» dimissioni di Elisabetta Belloni. La nomina spetta al presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che potrebbe averla già in testa alla conferenza stampa del nuovo anno, domani alle 11, quando arriverà il fuoco di fila delle domande sul caso Belloni. Formalmente ha tempo fino al 15 gennaio, ma la nomina del successore non passa per il Consiglio dei ministri convocato giovedì pomeriggio. La procedura è diversa e un po’ farraginosa. Meloni deve convocare il CisR, Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica, che è composto da mezzo governo. Oltre ai ministri dell’Interno, Difesa, Esteri ci sono quelli della Giustizia, Economia, Trasporti, Ambiente e Made in Italy. Il segretario del Comitato è lo stesso direttore del Dis. Fino a ieri pomeriggio il CisR non era stato ancora convocato a palazzo Chigi. Poi, secondo una regola non scritta, ci vuole un passaggio informale con il Quirinale e uno ufficiale con il presidente del Copasir, l’ex ministro della Difesa del Pd, Lorenzo Guerini. Il caso Belloni ha lasciato degli strascichi: il vicepremier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani, chiamato in causa per dissapori con Belloni è amareggiato. Fonti del Giornale fanno sapere che l’ex premier, Mario Draghi, non ha caldeggiato alcuna nomina europea per il direttore dimissionario del Dis. La rosa dei nomi per il successore, che coordina i servizi di intelligence, si allarga, ma in realtà i veri papabili sono pochi. Difficile, non essendo mai capitato prima, che si vada ad intaccare scelte recenti negli apparati di sicurezza, come Bruno Valensise, direttore dell’Aisi, nominato meno di un anno fa. Dalla sua, però, ha una lunga esperienza al Dis, anche come vice. Ancora più improbabile una chiamata del generale Francesco Paolo Figliuolo, che non ha esperienza di intelligence, nominato vice del servizio estero da dicembre. Si è parlato anche del generale Giovanni Caravelli, alla guida dell’Aise da quattro anni, ma con le guerre in corso, il caso Sala e il buon lavoro che ha fatto sarebbe rischioso spostarlo dai dossier caldi. Bruciato in partenza il nome di Lamberto Giannini, prefetto di Roma, ritenuto troppo vicino a Gabrielli-Gualtieri, timido sulle zone rosse del Viminale. Una soluzione «interna» sarebbe nominare alla direzione del Dis il vice di Belloni, Giuseppe Del Deo, considerato vicino a FdI, ma forse caduto un po’ in disgrazia. L’altra vice, il prefetto Alessandra Guidi è stata ereditata dal precedente governo e andrà in pensione quest’anno. Un’altra soluzione sarebbe spostare al Dis il capo della polizia, Vittorio Pisani, che è stato nominato un anno e mezzo fa. Però nei gangli dell’intelligence, tenendo conto che pure Valensise è un ex poliziotto e Caravelli viene dall’esercito, la prassi prevede l’equilibrio fra le costole della sicurezza dello Stato. I carabinieri, che hanno quasi sempre guidato uno dei due servizi, sono rappresentati, a livello di vertice, solo da Carlo De Donno, vicedirettore dell’Aisi, prorogato a novembre. Per questo motivo fra i papabili al Dis è saltato fuori il nome del vice dell’Arma, generale Mario Cinque, rimasto con un pugno di mosche in mano dopo la nomina a comandante generale, caldeggiata dal ministro Guido Crosetto, di Salvatore Luongo. Cinque era la carta di Mantovano, sottosegretario a Palazzo Chigi con delega ai servizi, ma dall’intelligence si fa notare che la Guardia di Finanza non ha nessuno ai vertici, dopo essere stata alla guida del Dis dal 2018 al 2021 con il generale Gennaro Vecchione, prima di Belloni. Il papabile delle Fiamme gialle sarebbe l’attuale comandante, il generale di corpo d’armata Andrea De Gennaro, voluto nella nomina del maggio 2023 da Mantovano e da Giorgia Meloni. |
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18 ottobre 2010 | La vita in diretta - Raiuno | reportage
L'Islam nelle carceri
Sono circa 10mila i detenuti musulmani nelle carceri italiane. Soprattutto marocchini, tunisini algerini, ma non manca qualche afghano o iracheno. Nella stragrande maggioranza delinquenti comuni che si aggrappano alla fede per sopravvivere dietro le sbarre.
Ma il pericolo del radicalismo islamico è sempre in agguato.
Circa 80 detenuti musulmani con reati di terrorismo sono stati concentrati in quattro carceri: Macomer, Asti, Benevento e Rossano.
Queste immagini esclusive mostrano la preghiera verso la Mecca nella sezione di Alta sicurezza 2 del carcere sardo di Macomer. Dove sono isolati personaggi come il convertito francese Raphael Gendron arrestato a Bari nel 2008 e Adel Ben Mabrouk uno dei tre tunisini catturati in Afghanistan, internati a Guantanamo e mandati in Italia dalla Casa Bianca.
“Ci insultano per provocare lo scontro dandoci dei fascisti, razzisti, servi degli americani. Una volta hanno esultato urlando Allah o Akbar, quando dei soldati italiani sono morti in un attentato in Afghanistan” denunciano gli agenti della polizia penitenziaria.
Nel carcere penale di Padova sono un centinaio i detenuti comuni musulmani che seguono le regole islamiche guidati dall’Imam fai da te Enhaji Abderrahman
Fra i detenuti comuni non mancano storie drammatiche di guerra come quella di un giovane iracheno raccontata dall’educatrice del carcere Cinzia Sattin, che ha l’incubo di saltare in aria come la sua famiglia a causa di un attacco suicida.
L’amministrazione penitenziaria mette a disposizione degli spazi per la preghiera e fornisce il vitto halal, secondo le regole musulmane.
La fede nell’Islam serve a sopportare la detenzione. Molti condannano il terrorismo, ma c’è anche dell’altro....
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14 marzo 2015 | Tgr Friuli-Venezia Giulia | reportage
Buongiorno regione
THE WAR AS I SAW IT - L'evento organizzato dal Club Atlantico giovanile del Friuli-Venezia Giulia e da Sconfinare si svolgerà nell’arco dell’intera giornata del 10 marzo 2015 e si articolerà in due fasi distinte: MATTINA (3 ore circa) ore 9.30 Conferenza sul tema del giornalismo di guerra Il panel affronterà il tema del giornalismo di guerra, raccontato e analizzato da chi l’ha vissuto in prima persona. Per questo motivo sono stati invitati come relatori professionisti del settore con ampia esperienza in conflitti e situazioni di crisi, come Gianandrea Gaiani (Direttore responsabile di Analisi Difesa, collaboratore di diverse testate nazionali), Fausto Biloslavo (inviato per Il Giornale in numerosi conflitti, in particolare in Medio Oriente), Elisabetta Burba (firma di Panorama), Gabriella Simoni (inviata Mediaset in numerosi teatri di conflitto, specialmente in Medio Oriente), Giampaolo Cadalanu (giornalista affermato, si occupa di politica estera per La Repubblica). Le relazioni saranno moderate dal professor Georg Meyr, coordinatore del corso di laurea in Scienze Internazionali e Diplomatiche dell’Università di Trieste. POMERIGGIO (3 ore circa) ore 14.30 Due workshop sul tema del giornalismo di guerra: 1. “Il reporter sul campo vs l’analista da casa: strumenti utili e accorgimenti pratici” - G. Gaiani, G. Cadalanu, E. Burba, F. Biloslavo 2. “Il freelance, l'inviato e l'addetto stampa in aree di crisi: tre figure a confronto” G. Simoni, G. Cuscunà, cap. B. Liotti
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16 febbraio 2007 | Otto e Mezzo | reportage
Foibe, conflitto sulla storia
Foibe, conflitto sulla storia
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24 maggio 2010 | Radio Padania Libera | intervento |
Italia
Proselitismo islamico dietro le sbarre
“Penso che sia giusto se alcuni musulmani combattono la guerra santa contro gli americani in paesi che non sono la loro terra”. Dopo un lungo girarci attorno Kamel Adid sorprende un po’ tutti, quando sputa il rospo. La domanda riguardava i mujaheddin, i musulmani pronti a morire per Allah, contro l’invasore infedele. Tre soldati della guerra santa, arrivati un paio di mesi fa da Guantanamo, sono rinchiusi poco più in là, nel reparto di massima sicurezza del carcere di Opera, alle porte di Milano.
Adid è un giovane marocchino di 31 anni con barbetta islamica d’ordinanza e tunica color noce. Nel carcere modello di Opera fa l’imam dei 44 musulmani detenuti, che frequentano una grande sala adibita a moschea. Un predicatore fai da te, che di solito parla un linguaggio moderato e ti guarda con occhioni apparentemente timidi.
Deve scontare ancora due mesi di pena per un reato legato alla droga e da pochi giorni è stato trasferito in un altro istituto. “Quelli che si fanno saltare in aria subiscono il lavaggio del cervello – si affretta a spiegare l’autonominato imam – Noi abbiamo riscoperto la fede in carcere. Pregare ci da conforto, ci aiuta ad avere speranza”.
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03 giugno 2019 | Radio Scarp | intervento |
Italia
Professione Reporter di Guerra
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27 gennaio 2020 | Radio 1 Italia sotto inchiesta | intervento |
Italia
Esercito e siti ebraici
Fausto Biloslavo
I nostri soldati rispettano la giornata della Memoria dell’Olocausto non solo il 27 gennaio, ma tutto l’anno. L’esercito, con l’operazione Strade sicure, schiera 24 ore al giorno ben 700 uomini in difesa di 58 siti ebraici sul territorio nazionale. Tutti obiettivi sensibili per possibile attentati oppure oltraggi anti semiti.
“Per ora non è mai accaduto nulla anche grazie alla presenza dei militari, che serve da deterrenza e non solo. Il senso di sicurezza ha evitato episodi di odio e minacce ripetute come in Francia, che rischiano di provocare un esodo della comunità ebraica” spiega una fonte militare de il Giornale.
I soldati, che si sono fatti le ossa all’estero, sorvegliano, quasi sempre con presidi fissi, 32 sinagoghe o tempi ebraici, 9 scuole, 4 musei e altri 13 siti distribuiti in tutta Italia, ma soprattutto al nord e al centro. La città con il più alto numero di obiettivi sensibili, il 41%, è Milano. Non a caso il comandante del raggruppamento di Strade sicure, come in altre città, è ufficialmente invitato alle celebrazioni del 27 gennaio, giorno della Memoria.
Lo scorso anno, in occasione dell’anniversario della nascita dello Stato di Israele, il rappresentante della comunità ebraica di Livorno, Vittorio Mosseri, ha consegnato una targa al comandante dei paracadustisti. “Alla brigata Folgore con stima e gratitudine per il servizio di sicurezza prestato nell’ambito dell’operazione Strade sicure contribuendo con attenzione e professionalità al sereno svolgimento delle attività della nostro comunità” il testo inciso sulla targa.
In questi tempi di spauracchi anti semiti l’esercito difende i siti ebraici in Italia con un numero di uomini praticamente equivalente a quello dispiegato in Afghanistan nel fortino di Herat. Grazie ad un’esperienza acquisita all’estero nella protezione delle minoranze religiose, come l’antico monastero serbo ortodosso di Decani in Kosovo.
“In ogni città dove è presente la comunità ebraica esiste un responsabile della sicurezza, un professionista che collabora con le forze dell’ordine ed i militari per coordinare al meglio la vigilanza” spiega la fonte del Giornale. Una specie di “assessore” alla sicurezza, che organizza anche il sistema di sorveglianza elettronica con telecamere e sistemi anti intrusione di avanguardia su ogni sito. Non solo: se in zona appare un simbolo o una scritta anti semita, soprattuto in arabo, viene subito segnalata, fotografata, analizzata e tradotta. “I livelli di allerta talvolta si innalzano in base alla situazione internazionale” osserva la fonte militare. L’ultimo allarme ha riguardato i venti di guerra fra Iran e Stati Uniti in seguito all’eliminazione del generale Qassem Soleimani.
Roma è la seconda città per siti ebraici presidiati dai militari compresi asili, scuole e oratori. Le sinagoghe sono sorvegliate pure a Napoli, Verona, Trieste e quando necessario vengono disposte le barriere di cemento per evitare attacchi con mezzi minati o utilizzati come arieti. A Venezia i soldati garantiscono la sicurezza dello storico ghetto. A Livorno e in altre città sono controllati anche i cimiteri ebraici. Una residenza per anziani legata alla comunità è pure nella lista dei siti protetti a Milano. Ed i militari di Strade sicure nel capoluogo lombardo non perdono d’occhio il memoriale della Shoah, lo sterminio degli ebrei voluto da Hitler.
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25 maggio 2010 | Spazio Radio - Radio 1 | intervento |
Italia
L'Islam nelle carceri italiane
In Italia su oltre 23mila detenuti stranieri, 9840 risultano musulmani, secondo i dati ufficiali. Almeno seimila, però, non si sono dichiarati. Il rapporto di 364 pagine, “La radicalizzazione jihadista nelle istituzioni penitenziarie europee”, realizzato dall’esperto di Islam nella carceri, Sergio Bianchi, ne indica 13mila.
In Italia ci sono circa 80 islamici dietro le sbarre per reati connessi al terrorismo. Dal 2009 li hanno concentrati in quattro istituti di pena: ad Asti, Macomer, Benevento e Rossano. Nel carcere di Opera, invece, sono arrivati Adel Ben Mabrouk, Nasri Riadh e Moez Abdel Qader Fezzani, ex prigionieri di Guantanamo. Chi li controlla ogni giorno racconta che parlano in italiano. La guerra santa in Afghanistan l’hanno abbracciata dopo aver vissuto come extracomunicatori nel nostro paese. Non si possono incontrare fra loro e vivono in celle singole. Pregano regolarmente con molta devozione e hanno mantenuto i barboni islamici.
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15 marzo 2018 | Radio Radicale | intervento |
Italia
Missioni militari e interesse nazionale
https://www.radioradicale.it/scheda/535875/missioni-militari-e-interesse-nazionale
Convegno "Missioni militari e interesse nazionale", registrato a Roma giovedì 15 marzo 2018 alle 09:23. L'evento è stato organizzato da Center for Near Abroad Strategic Studies. Sono intervenuti: Paolo Quercia (Direttore del CeNASS, Center for Near Abroad Strategic Studies), Massimo Artini (vicepresidente della Commissione Difesa della Camera dei deputati, Misto - Alternativa Libera (gruppo parlamentare Camera)), Fausto Biloslavo (giornalista, inviato di guerra), Francesco Semprini (corrispondente de "La Stampa" da New York), Arije Antinori (dottore di Ricerca in Criminologia ed alla Sicurezza alla Sapienza Università di Roma), Leonardo di marco (generale di Corpo d'Armata dell'Esercito), Fabrizio Cicchitto (presidente della Commissione Affari esteri della Camera, Area Popolare-NCD-Centristi per l'Europa). Tra gli argomenti discussi: Difesa, Esercito, Esteri, Forze Armate, Governo, Guerra, Informazione, Italia, Ministeri, Peace Keeping, Sicurezza. La registrazione video di questo convegno ha una durata di 2 ore e 46 minuti. Questo contenuto è disponibile anche nella sola versione audio
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