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27 maggio 2025 - Il fatto - Gaza - Il Giornale
La società di Cia e marines per gli aiuti nella Striscia. Hamas “Non collaborate”
Fausto Biloslavo
“No agli aiuti della Fondazione umanitaria per Gaza - ha intimato Hamas - Chi collabora pagherà”. La Fondazione è il perno del nuovo meccanismo, che ha iniziato ieri la distribuzione di viveri nella Striscia affamata per evitare saccheggi e soprattutto le grinfie di Hamas. Non a caso i radicali islamici condannano il nuovo piano di distribuzione bollandolo come “un’iniziativa pericolosa, finalizzata a servire obiettivi di sicurezza israeliani e a indebolire le organizzazioni internazionali nella Striscia”.
La situazione è drammatica, ma i camion, che entrano con il contagocce, vengono presi d’assalto e parte del carico finisce sul mercato nero a prezzi folli. Oppure vengono sequestrati da Hamas per i suoi combattenti ed in parte rivenduti al resto alla popolazione affamata.
L’obiettivo è aiutare “1 milione di palestinesi nella prima settimana” annuncia la Fondazione umanitaria per Gaza escludendo l’Onu. La Safe reach solution è una compagnia di sicurezza che garantirà la distribuzione con il beneplacito del Cogat, il comando dell’esercito israeliano che decide chi e cosa entra a Gaza. Il gruppo è guidato da Philip F. Reilly, un veterano della Cia, che si è fatto le ossa negli anni ottanta addestrando i Contras in Nicaragua. Dopo l’11 settembre è stato uno dei primi agenti a sbarcare in Afghanistan per far fuori l’emirato talebano diventando capo stazione della Cia nella Kabul liberata.
A fianco dell’Srs è schierata sul campo un’altra società di contractor di Jameson Govoni, che è stato un Berretto verde e ha combattuto in Iraq ed Afghanistan.
I soldi per mandare avanti l’operazione e organizzare la distribuzione sul terreno arrivano dalla Gaza humanitarian foundation, messa in piedi da Jake Wood un ex marine. Wood, però, ha rassegnato le dimissioni da direttore esecutivo, a sorpresa, sostenendo “che non è possibile attuare questo piano nel rigoroso rispetto dei principi umanitari, neutralità, imparzialità e indipendenza”.
Il costo stimato per ogni pasto si aggira attorno a 1,30 dollari, cifra che include anche la sicurezza armata dei convogli. Al momento sarebbe arrivata una donazione di 100 milioni di dollari da un anonimo paese occidentale. Si sospetta che siano gli Stati Uniti.
Le poche foto che circolano dei contractor “umanitari” mostrano gente tosta, in abiti civili, armata fino ai denti.
La distribuzione di massa degli aiuti inizia nel sud della Striscia sotto il controllo dell’esercito israeliano. Gli americani utilizzerebbero i sistemi di riconoscimento facciale, per evitare infiltrazione di Hamas.
Le Nazioni unite e le Ong hanno duramente protestato per la “militarizzazione” degli aiuti, ma non sono mai stati in grado di evitare che Hamas sfrutti l’arrivo dei carichi a proprio favore. Il piano iniziale prevede di fare entrare 60 camion al giorno, ma sono un decimo di quelli autorizzati durante il cessate il fuoco. L’Unicef ha lanciato l’allarme che "si profila una catastrofe imminente, poiché 71.000 bambini e oltre 17.000 madri sono minacciati da malnutrizione acuta".
Un altro problema è che la distribuzione solo a Sud comporta il pericoloso spostamento dei civili palestinesi da zone più lontane, sotto le bombe, se non si arriva ad una tregua. All’inizio entreranno in funzione sei centri di distribuzione e se il sistema funziona verrebbe espanso al centro e al Nord di Gaza. Un solo
hub sarà in grado di sfamare da 5mila a 6mila capi famiglia, che ritirerebbero ogni due settimane un pacco da 20chilogrammi di cibo e articoli per l’igiene. "Sessanta camion al giorno sono solo una tattica di Israele per allentare la pressione internazionale - dichiara una fonte umanitaria a Gaza - non un vero sforzo per affrontare la crisi”.
[continua]