La guerra alle porte di casa
Romania | Croazia | Bosnia | Kosovo
Balcani e dintorni 1989-2002 Quando inizia Almerigo Grilz se n’è andato da due anni. Ricordo una sera a Milano i resoconti smozzicati da Timisoara. È Natale del 1989. La notte della vigilia sono alla sbarra del confine rumeno. Quando si alza precipito nel nuovo caos balcanico. Timisoara non è neanche vera rivoluzione. Scaramucce, cadaveri e tanto teatro per un cambio di regime mascherato. Neppure la Slovenia è vera guerra. Ma è vicina. Assurdamente vicina per chi la cercava ai quattro angoli del mondo.
In quel giugno del 1991 le raffiche di kalashnikov echeggiano su Trieste. Sopra la città dove Almerigo, Fausto ed io siamo nati e cresciuti. Si spara e si muore sul confine dove per noi finiva il mondo. Era ancora così quando Almerigo se ne andò. Poi tutto cambia. In fretta. Lubiana alza la bandiera, la Croazia va in fiamme. Rimbalzo da Milano a Trieste, pranzo dai miei, prendo una macchina a noleggio e in due ore sono nella Pannonia in guerra. A Osjek i katyusha serbi sventrano il mio albergo. Sulla strada per Vukovar altri missili e i finestrini in frantumi. È un conflitto diverso da quella delle pietraie afghane o della giungla cambogiana. Qui corri in macchina e di colpo sei tra i proiettili. Bomba dopo bomba nel 92 arrivano la Bosnia, Mostar, Sarajevo, gli slalom con la morte su sniper alley, il viale dei cecchini. Nessuna auto torna intatta. A te ci pensano giubbotto antiproiettile ed elmetto. Questa guerra non permette errori. Ricordo Ivo Standeker, giornalista sloveno del settimanale Mladina. È il 15 giugno 1992. Sarajevo è assediata, lui è dentro. “Ti aspetto - mi dice al telefono porta delle candele” . Tre giorni e sono lì. Lui è già morto, dilaniato dal cannone di un tank. Recupero la sua amica Jana Schneider in un ospedale serbo. Ha le gambe devastate dalle schegge. La riporto a Sarajevo. Il corpo di Ivo se lo tengono i serbi. Alla luce delle sue candele racconto le mie notti sotto le bombe. Vivo sul filo. Esco la mattina, mi chiedo se arriverò a sera. Un colpo di cecchino tra le gambe, una sventagliata di schegge di mortaio nell’auto, un proiettile oltre il tettuccio tra la testa mia e del collega Carlo Imbimbo. La cameraman dell’Abc perde un occhio e mezza faccia. È lo sterminio dei giornalisti. A Mostar nel 1994 una granata fa a pezzi i triestini Dario D'Angelo, Marco Luchetta, Alessandro Ota. Continua così fino agli orrori di Srebrenica. Riprende con il Kosovo nel 1999 e la Macedonia nel 2002.
E ho già perso il conto di amici e colleghi rimasti indietro.
gian micalessin
[continua]
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