Medio Oriente senza pace
Libano | Iran | Iraq
Libano meridionale Naqura settembre 2006 “Lupen da Bravo Mike, touch down” ordina via radio il sottotenente di vascello Alessandro Miglietta sotto il sole cocente del Libano meridionale. Il portellone del mezzo da sbarco si apre rumorosamente e due blindati schizzano a terra con la bandiera dell’Onu sventolante ed il tricolore dipinto sulla corazza. Non è lo sbarco in Normandia, ma per i marines italiani con l’elmetto blu, resterà nei ricordi come il Libano day, la missione iniziata dal mare per provare a garantire la pace nel martoriato paese dei cedri.
Non ci sono i razzi di Hezbollah o i caccia bombardieri israeliani a fermare lo sbarco, ma onde e vento che costringono la nave San Giorgio a spostarsi più a sud, rispetto alla spiaggia di Tiro capoluogo del Libano meridionale. Alle 9 e 30 i primi mezzi da sbarco vengono lanciati verso il porticciolo di Naqura, dove si trova la più importante base dell’Onu ad un passo dal confine israeliano. Oltre un’ora prima i fanti di marina del Reggimento San Marco sono stati trasportati a terra con gli elicotteri a fianco dell’albergo di Tiro occupato dai giornalisti di mezzo mondo, quasi si volesse servire la pappa pronta alle grandi televisioni.
“Pronti a partire” urla un tenente del San Marco che comanda la prima colonna italiana diretta verso l’interno. Lungo la strada costiera che porta a Tiro i nostri marines hanno il primo impatto con la realtà del Libano meridionale. Il fante del mare che spunta dalla botola di uno dei cingolati osserva i resti di una pompa di benzina polverizzata dagli F16 israeliani. Lungo il tragitto i santini dei “martiri” di Hezbollah, morti nelle tante battaglie contro gli israeliani, sono appesi ai pali della luce. Ogni tanto la colonna passa sotto qualche striscione giallo che attacca l’America e inneggia alla vittoria di Allah, ma i caschi blu italiani vengono salutati festosamente dalla popolazione e ricambiano con piacere.
Venticinque anni fa, assieme ad Almerigo Grilz, percorrevamo le stesse strade durante la nostra prima avventura-reportage sognando di diventare giornalisti di guerra. La storia si ripete e nell’estate del 1982 gli israeliani avevano invaso il Libano sconvolto dalla guerra civile per cacciare i miliziani palestinesi, che li punzecchiavano di continuo con i razzi katyuscha.
Da Israele, lungo Tiro, Sidone ed infine Beirut avevamo seguito le tracce dei carri armati ed il furore delle battaglie, per poi passare rocambolescamente nella zona della capitale dove i palestinesi erano sotto assedio (nella foto).
Fra i ruderi di Beirut era nato il motto di Almerigo, che ci ha portato a viaggiare in mezzo mondo e a diventare giornalisti di guerra: “Why not?”, perché no?
Fausto Biloslavo
[continua]
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