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Articolo
10 aprile 2017 - Prima - Italia - Il Giornale
I soldati dell’Est e il codice d’onore “Morire piuttosto che arrendersi”
di Fausto Biloslavo
I l tenente dei corpi speciali che si è fatto bombardare piuttosto che venir catturato dai tagliagole delle bandiere nere. L\\\'ex Spetnatz pronto a sfidare i temibili ceceni per proteggere chi vi scrive come guardia del corpo. Il massacrante addestramento delle forze operative di Mosca e i volontari russi nell\\\'ex Jugoslavia votati alla morte. Igor Vaclavic, il sanguinario bandito noto come il «russo», ma che forse viene dall\\\'ex Jugoslavia dove potrebbe essersi fatto le ossa nel carnaio dei Balcani, ha sicuramente un addestramento militare di prim\\\'ordine. Non a caso gli danno la caccia i carabinieri paracadutisti del reggimento Tuscania, che hanno operato nelle missioni più dure dall\\\'Iraq all\\\'Afghanistan, e i Gis, i corpi speciali dell\\\'Arma.
Le unità d\\\'élite russe sono leggendarie per il loro addestramento oltre l\\\'umana sopportazione. E per le azioni sul campo. Il 17 marzo dello scorso anno il tenente Alexander Alexandrovich Prokhorenko si è infiltrato dietro le linee dello Stato islamico in Siria. La sua missione era indirizzare i bombardamenti sulle unità dell\\\'Isis vicino a Palmira. I tagliagole jihadisti lo hanno individuato e circondato. I messaggi radio con il suo comandante sono stati resi pubblici su ordine del Cremlino: «Sono circondato. Non voglio che mi prendano per usarmi e farsi beffe di me e dell\\\'uniforme che indosso. Bombardate. Voglio morire con dignità e portare via con me tutti questi bastardi. Questa è la fine comandante. Si occupi dei miei familiari e vendicatemi». Un caccia ha eseguito l\\\'ultimo ordine del tenente dichiarato eroe della Russia da Vladimir Putin.
Igor il «russo» è solo un criminale, ma si muove come Rambo mettendo in scacco le forze dell\\\'ordine. Anni fa lo avevano già preso con bandana, arco e frecce, che si nascondeva nei boschi. In Inghushezia, al confine con la Cecenia quando era in mano ai ribelli islamici, una squadra di ex Spetsnaz diventati guardie del corpo di un\\\'agenzia privata era stata inviata dall\\\'ambasciata italiana per proteggere chi vi scrive. Il mio compito era liberare un fotografo di Panorama sequestrato dai ceceni. Uno degli ex Spetsnaz, grande come un armadio, si avvicinò dicendo: «Gli ordini sono di scortarla, se necessario anche all\\\'inferno». Se le cose fossero andate storte sarebbe stato inutile morire in due. Così ho proseguito da solo e riportato a casa il fotografo. Un aneddoto che spiega come per certi militari dell\\\'Est Europa la vita, anche se non ha prezzo, si può sacrificare per fare il proprio dovere.
Igor il «russo», 41 anni, nato a Taskent, capitale dell\\\'Uzebikistan sembra che abbia fatto il militare in fanteria. La sua terra d\\\'origine è una delle ex repubbliche sovietiche dell\\\'Asia centrale da dove arrivano gli ultimi terroristi di San Pietroburgo e Stoccolma. Anche in certi reparti operativi di fanteria dell\\\'armata russa l\\\'addestramento è durissimo. Marce della morte nella neve, simulazione con violenze di ogni genere per farti sopportare un interrogatorio se catturato, pugni nello stomaco e prove di forza di ogni genere. Secondo alcune fonti il super latitante più che «russo» avrebbe combattuto nell\\\'ex Jugoslavia, dove sopravviveva solo chi era addestrato a uccidere. All\\\'assedio di Dubrovnik (Ragusa) difesa con le unghie e con i denti dai croati sulla costa dalmata c\\\'erano anche i «lupi», ex militari dell\\\'Armata rossa, che avevano deciso di continuare a imbracciare il fucile dopo il crollo dell\\\'Urss. In gran parte si erano arruolati nelle neonate milizie cosacche. Secondo la leggenda piuttosto che arrendersi gli antichi cavalieri degli Zar preferiscono morire.
Vaclavic potrebbe seguire lo stesso copione. Una tradizione dei corpi d\\\'elite di Mosca. Durante l\\\'invasione sovietica dell\\\'Afghanistan negli anni ottanta i mujaheddin catturarono un Rambo dell\\\'Armata rossa, che si era paracadutato dietro le linee. Prima avevano cercato di convincerlo con le buone di convertirsi all\\\'Islam. Poi cominciarono con le cattive seppellendolo a poco a poco nella terra, in verticale, dai piedi alla testa. «Alla fine ci bastava che rinnegasse i suoi capi e il comunismo - raccontava il capo dei mujaheddin che l\\\'aveva catturato - È morto sepolto vivo».
[continua]

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10 giugno 2008 | TG3 regionale | reportage
Gli occhi della guerra.... a Bolzano /1
Il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, non dimentica i vecchi amici scomparsi. Il 10 giugno ha visitato a Bolzano la mostra fotografica “Gli occhi della guerra” dedicata ad Almerigo Grilz. La mostra è stata organizzata dal 4° Reggimento alpini paracadutisti. Gli ho illustrato le immagini forti raccolte in 25 anni di reportage assieme ad Almerigo e Gian Micalessin. La Russa ha ricordato quando "sono andato a prendere Fausto e Almerigo al ritorno da uno dei primi reportage con la mia vecchia 500 in stazione a Milano. Poco dopo li hanno ricoverati tutti e due per qualche malattia". Era il 1983, il primo reportage in Afghanistan e avevamo beccato l'epatite mangiando la misera sbobba dei mujaheddin, che combattevano contro le truppe sovietiche.

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12 maggio 2020 | Tg5 | reportage
L'infermiera sopravvissuta al virus
L’infermiera ha contratto il virus da un paziente anziano nell’ospedale Maggiore di Trieste A casa non riusciva più a respirare ed è stata trasportata d’urgenza in ospedale Il figlio, soldato della Nato, era rimasto bloccato sul fronte baltico dall’emergenza virus con l’appartamento pieno di medicine l’incubo del contagio non l’abbandonerà mai Due mesi dopo il contagio Svetlana è negativa al virus ma ancora debole e chiusa in casa

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14 maggio 2020 | Tg5 | reportage
Trieste, Lampedusa del Nord Est
Fausto Biloslavo TRIESTE - Il gruppetto è seduto sul bordo della strada asfaltata. Tutti maschi dai vent’anni in su, laceri, sporchi e inzuppati di pioggia sembrano sfiniti, ma chiedono subito “dov’è Trieste?”. Un chilometro più indietro passa il confine con la Slovenia. I migranti illegali sono appena arrivati, dopo giorni di marcia lungo la rotta balcanica. Non sembra il Carso triestino, ma la Bosnia nord occidentale da dove partono per arrivare a piedi in Italia. Scarpe di ginnastica, tute e qualche piumino non hanno neanche uno zainetto. Il più giovane è il capetto della decina di afghani, che abbiamo intercettato prima della polizia. Uno indossa una divisa mimetica probabilmente bosniaca, un altro ha un barbone e sguardo da talebano e la principale preoccupazione è “di non venire deportati” ovvero rimandati indietro. Non sanno che la Slovenia, causa virus, ha sospeso i respingimenti dall’Italia. Di nuovo in marcia i migranti tirano un sospiro di sollievo quando vedono un cartello stradale che indica Trieste. Il capetto alza la mano in segno di vittoria urlando da dove viene: “Afghanistan, Baghlan”, una provincia a nord di Kabul. Il 12 maggio sono arrivati in 160 in poche ore, in gran parte afghani e pachistani, il picco giornaliero dall’inizio dell’anno. La riapertura della rotta balcanica sul fronte del Nord Est è iniziata a fine aprile, in vista della fase 2 dell’emergenza virus. A Trieste sono stati rintracciati una media di 40 migranti al giorno. In Bosnia sarebbero in 7500 pronti a partire verso l’Italia. Il gruppetto di afghani viene preso in carico dai militari del reggimento Piemonte Cavalleria schierato sul confine con un centinaio di uomini per l’emergenza virus. Più avanti sullo stradone di ingresso in città, da dove si vede il capoluogo giuliano, la polizia sta intercettando altri migranti. Le volanti con il lampeggiante acceso “scortano” la colonna che si sta ingrossando con decine di giovani stanchi e affamati. Grazie ad un altoparlante viene spiegato in inglese di stare calmi e dirigersi verso il punto di raccolta sul ciglio della strada in attesa degli autobus per portarli via. Gli agenti con le mascherine controllano per prima cosa con i termometri a distanza la temperatura dei clandestini. Poi li perquisiscono uno ad uno e alla fine distribuiscono le mascherine ai migranti. Alla fine li fanno salire sugli autobus dell’azienda comunale dei trasporti cercando di non riempirli troppo per evitare focolai di contagio. “No virus, no virus” sostiene Rahibullah Sadiqi alzando i pollici verso l’alto in segno di vittoria. L’afghano è partito un anno fa dal suo paese e ha camminato per “dodici giorni dalla Bosnia, attraverso la Croazia e la Slovenia fino all’Italia”. Seduto per terra si è levato le scarpe e mostra i piedi doloranti. “I croati mi hanno rimandato indietro nove volte, ma adesso non c’era polizia e siamo passati tutti” spiega sorridendo dopo aver concluso “il gioco”, come i clandestini chiamano l’ultimo tratto della rotta balcanica. “Abbiamo registrato un crollo degli arrivi in marzo e per gran parte di aprile. Poi un’impennata alla fine dello scorso mese fino a metà maggio. L’impressione è che per i paesi della rotta balcanica nello stesso periodo sia avvenuta la fine del lockdown migratorio. In pratica hanno aperto i rubinetti per scaricare il peso dei flussi sull’Italia e sul Friuli-Venezia Giulia in particolare creando una situazione ingestibile anche dal punto di vista sanitario. E’ inaccettabile” spiega l'assessore regionale alla Sicurezza Pierpaolo Roberti, che punta il dito contro la Slovenia. Lorenzo Tamaro, responsabile provinciale del Sindacato autonomo di polizia, denuncia “la carenza d’organico davanti all’emergenza dell’arrivo in massa di immigrati clandestini. Rinnoviamo l’appello per l’invio di uomini in rinforzo alla Polizia di frontiera”. In aprile circa il 30% dei migranti che stazionavano in Serbia è entrato in Bosnia grazie alla crisi pandemica, che ha distolto uomini ed energie dal controllo dei confini. Nella Bosnia occidentale non ci sono più i campi di raccolta, ma i migranti bivaccano nei boschi e passano più facilmente in Croazia dove la polizia ha dovuto gestire l’emergenza virus e pure un terremoto. Sul Carso anche l’esercito impegnato nell’operazione Strade sicure fa il possibile per tamponare l’arrivo dei migranti intercettai pure con i droni. A Fernetti sul valico con la Slovenia hanno montato un grosso tendone mimetico dove vengono portati i nuovi arrivati per i controlli sanitari. Il personale del 118 entra con le protezioni anti virus proprio per controllare che nessuno mostri i sintomi, come febbre e tosse, di un possibile contagio. Il Sap è preoccupato per l’emergenza sanitaria: “Non abbiamo strutture idonee ad accogliere un numero così elevato di persone. Servono più ambienti per poter isolare “casi sospetti” e non mettere a rischio contagio gli operatori di Polizia. Non siamo nemmeno adeguatamente muniti di mezzi per il trasporto dei migranti con le separazioni previste dall’emergenza virus”. Gli agenti impegnati sul terreno non sono autorizzati a parlare, ma a denti stretti ammettono: “Se va avanti così, in vista della bella stagione, la rotta balcanica rischia di esplodere. Saremo travolti dai migranti”. E Trieste potrebbe trasformarsi nella Lampedusa del Nord Est.

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20 giugno 2017 | WDR | intervento
Italia
Più cittadini italiani con lo ius soli
Estendere la cittadinanza italiana ai bambini figli di stranieri? È la proposta di legge in discussione in Senato in questi giorni. Abbiamo sentito favorevoli e contrari.

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