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Esclusivo
04 maggio 2017 - Esteri - Libia - Panorama
Migranti, ora c’è una Ong sott’inchiesta

C’è un’inchiesta penale a tutti gli effetti: un’organizzazione non governativa è ufficialmente indagata dalla Procura di Trapani per il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. L’inchiesta è partita qualche mese fa in seguito a una denuncia su una operazione in mare della nave di questa Ong che avrebbe agito senza rispettare le regole di ingaggio. L’imbarcazione di salvataggio sarebbe entrata in azione senza aver ricevuto un Sos e neppure una richiesta di intervento da parte delle autorità italiane, nello specifico il Comando della Guardia costiera a Roma. In buona sostanza, si sarebbe mossa come per andare a un appuntamento e, dopo aver fatto salire a bordo i migranti non avrebbe rispettato le regole internazionali che prevedono l’approdo nel porto più vicino e più sicuro, ma avrebbe puntato dritto verso le coste siciliane. L’indagine viene condotta nel riserbo più assoluto dagli uomini della Polizia di Stato che, d’intesa con il procuratore aggiunto di Trapani Ambrogio Cartosio, hanno fatto il possibile e l’impossibile perché nulla trapelasse sull’attività investigativa. Gli inquirenti avrebbero accertato un primo fondamentale punto con dignità probatoria da far valere in un eventuale dibattimento: il contatto tra soggetti situati sulla terraferma in Libia ed esponenti della stessa ong sulla nave. Da una parte le domande se far partire i natanti, dall’altra le risposte positive: «Mandateli, noi siamo qui». 

Da quel momento in avanti, tutte le conversazioni degli esponenti e operatori di questa Ong vengono intercettate, come sono tracciati tutti i movimenti dell’imbarcazione in mare. E da questa attività di indagine sarebbero emersi ulteriori elementi di rilievo, a cominciare dal transponder che si spegne e produce il risultato che la posizione della nave non venga individuata al momento dell’«appuntamento» in mare aperto. 

L’inchiesta penale sui salvataggi fuorilegge nel Mar Mediterraneo dunque esiste, anche se a Trapani e non a Catania. Ma guarda caso fa leva proprio su quegli elementi investigativi di cui parla da settimane il procuratore capo di Catania Carmelo Zuccaro, da quando è stato convocato davanti al Comitato Schengen guidato dall’onorevole Laura Ravetto (Fi). Nessuna inchiesta generalizzata sull’operato di tutte le ong, nessuna indagine conoscitiva, ma un vero fascicolo di reato, con tanto di delega di indagine alla polizia giudiziaria che non si muove sulla base di intercettazioni effettuate da non meglio definite entità investigative straniere, e non ha mai ricevuto alcun fumoso dossier da parte dei servizi segreti italiani. Dossier di cui ha parlato il leader della Lega Nord Matteo Salvini, ma che in ambienti investigativi non risulta che esista. 

Nella baraonda che si è scatenata in seguito alle esternazioni di Zuccaro, con polemiche quotidiane e indiscrezioni spesso non supportate da fatti, quelli maggiormente danneggiati sono stati proprio i magistrati di Trapani, ai quali il clima da caccia alle streghe non ha giovato, e che alla fine hanno fatto trapelare tutto il loro malcontento attraverso il quotidiano la Repubblica: «Stiamo lavorando da molti mesi in silenzio assoluto, ben prima che il rapporto di Frontex accendesse il dibattito. E adesso questi riflettori 

accesi rischiano seriamente di compromettere un lavoro serio e importante su fatti concreti». 

L’inchiesta penale è arrivata fin qui, ovvero avrebbe accertato contatti fra trafficanti di uomini e soltanto una delle Ong che sarebbe venuta meno ai propri compiti umanitari. Rimane da dimostrare, ed è quello che si cerca di fare a Trapani, ciò che ha denunciato il procuratore di Catania Carmelo Zuccaro in televisione, ovvero che «alcune Ong possano essere finanziate direttamente dai trafficanti» e che tra le loro finalità possa esserci anche quella di «destabilizzare il sistema economico dell’Italia». 

Certo i costi sono talmente elevati da destare sospetti: da mille a 14 mila euro al giorno passato in mare. Più di 4 milioni di spese dichiarate da una sola Ong lo scorso anno per recuperare i migranti partiti dalla Libia e farli sbarcare in Italia. La flottiglia di 13 navi delle Organizzazioni non governative, che interviene in oltre il 50 per cento dei soccorsi ai barconi nel Mediterraneo, dispone di budget elevati. Oltre 20 milioni in totale nel 2016, una media di 5 mila euro al giorno per singola nave. 

Da dove arrivano tutti questi soldi? Le associazioni umanitarie giurano che il grosso è rappresentato da donazioni private. Ed è proprio questo l’aspetto sul quale fa perno Zuccaro quando parla di finanziamenti dei criminali alle Ong. Perché è risaputo che i boss del traffico di esseri umani sono specialisti nei micropagamenti, quindi gli inquirenti non escludono sovvenzioni anche a loro insaputa. Perché una cosa è certa, per i trafficanti si tratta di un business in crescita: dall’inizio del 2017 fino a fine aprile hanno trasportato in Italia 36.882 persone, il 36,31 per cento in più rispetto al 2016. 

Poi ci sono i grossi finanziamenti, anche questi tutti da chiarire. Il 3 aprile la Moas (Migrant offshore aid station), una delle Ong più discusse, con sede a Malta, ha annunciato sul suo sito l’utilizzo «per la prima volta di un aereo di pattugliamento» alla ricerca dei barconi. Una spesa ingente che sarebbe finanziata dalla One foundation, un’organizzazione no profit irlandese voluta da Declan Ryan, il figlio del fondatore della compagnia aerea low cost Ryanair. Peccato che dal 2013-2014 la fondazione irlandese avrebbe praticamente chiuso i battenti dopo l’esaurimento dei fondi. 

Moas già utilizzava due droni, che a bilancio sono costati un milione e 200 mila euro l’anno. Una fonte di Panorama in prima linea con la Marina militare fino allo scorso anno fa notare che «il costo è gonfiato, basta paragonarlo alle spese dei nostri mezzi». In effetti, nello specifico i costi dichiarati dalla Ong con sede a La Valletta per recuperare 33.455 migranti in mare sono stati 3 milioni 694 mila euro in 12 mesi. Cifre che hanno attirato l’attenzione della Commissione difesa del Senato, e del suo presidente Nicola Latorre, che ha confermato le indagini in corso: «Ci stiamo concentrando sui finanziamenti alle Ong. Tre di queste, di origine tedesca, non hanno accettato il nostro invito ed è un motivo di preoccupazione. Le altre insistono sulla liberalità che ispira i loro finanziatori, così noi insistiamo nel chiedere chi siano questi finanziatori». 

La tedesca Jugend Rettet, creata da volontari, schiera la nave Iuventa battente, bandiera olandese, che spende 40 mila euro al mese. La ong Life boat non è chiaro quanto costi, mentre Sea eye, nave privata dell’imprenditore tedesco Michale Buschheuer, dichiara di spendere «solo» mille euro al giorno. Quest’anno, però, avrebbe bisogno di mezzo milione di euro. La parte del leone la fa Sos Méditerranée, fondata del capitano dalla marina mercantile tedesca Klaus Foegel. In collaborazione con Medici senza frontiere (Msf) spende 11 mila euro al giorno. Nel 2016 ha dichiarato costi per 4 milioni di euro. Msf ha raccolto lo scorso anno 38 milioni di euro, ai quali vanno aggiunti oltre 9,7 dalle donazioni in dichiarazioni dei redditi, e 3,3 da agenzie e fondazioni. Fra queste c’è pure la Open society foundation, di George Soros, il filantropo attivista che ha provocato guai geopolitici in mezza Europa. Msf ha destinato un milione e mezzo di euro alla «ricerca e soccorso» nel Mediterraneo. I singoli donatori sono addirittura 319.496. Ovvio che sia impossibile controllarli uno per uno. 

Save the children, con Vos Hestia spende 14 mila euro al giorno per nave, equipaggio e personale specializzato. Moas e l’olandese Boat Refugee hanno tre navi che raccolgono migranti nel Mediterraneo battenti bandiere ombra del Belize, Isole Marshall e Panama. La spagnola Proactive open arms utilizza l’ex yacht Astral dell’imprenditore italiano Livio Lo Monaco. I volontari spagnoli sono stati interrogati dalla polizia come persone informate dei fatti sui discussi salvataggi dei barconi carichi di migranti spediti verso le navi delle Ong. Il 12 aprile, Oscar Camps, direttore di Proactive open arms ha rivelato alla Commissione difesa del Senato, che fra i donatori spiccano squadre di calcio come il Manchester City e l’attore Richard Gere assieme «ad altri importanti personaggi» non meglio specificati. In questo settore, la trasparenza è un optional.

di Carmelo Abbate e Fausto Biloslavo


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20 marzo 2011 | TGCOM | reportage
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12 settembre 2016 | Terra! | reportage
Nella cattiva Sirte
La feroce battaglia per liberare Sirte va avanti da 4 mesi. L’ex roccaforte dello Stato islamico in Libia, città natale del colonnello Gheddafi, è completamente distrutta dai combattimenti Dal corridoio umanitario con le bandiere bianche aperto per evacuare le famiglie dei seguaci del Califfo non è passato nessuno I combattenti di Misurata che stanno conquistando Sirte ci scortano verso il mare per farci vedere le minacce all’Italia All’interno troviamo giubbotti abbandonati dei miliziani dello stato islamico e anche indicazioni della presenza di combattenti stranieri come questa ricevuta del ministero degli Esteri sudanese, una moneta di 100 dinari tunisini dei volontari jihadisti giunti a Sirte ed istruzioni sulle granate da mortaio in inglese e francese Sulle pareti sono rimaste le scritte che inneggiano al Califfato I segni della battaglia sono ovunque Sirte era un trampolino di lancio verso l’Italia, come si legge in questo cartello “Combattiamo in Libia, ma il nostro sguardo è su Roma” Queste immagini scenografiche delle bandiere nere in Libia sono state trovate a Sirte durante i combattimenti Uno dei video contiene minacce contro l’Italia e l’Europa di un terrorista ragazzino, Omar al Maghrebi, il marocchino Nel video compare un veterano della guerra santa che addestra le reclute Il giovane jihadista minaccia gli “infedeli” promettendo che “verremo da voi per farvi saltare in aria. I vostri corpi esploderanno in mille pezzi”. La propaganda del Califfo mostra anche una lezione di pronto soccorso per i volontari del terrore africani Omar il marocchino invita i “fratelli ad indossare le cinture esplosive per Allah e attaccare aeroporti e confini”. E sostiene: “Siamo giunti in Libia, terra del Califfato e siamo pronti a morire” Durante l’avanzata a Sirte, le truppe governative avrebbero scoperto informazioni inquietanti per il nostro paese Susyan Abdulla, ufficiale dei “Martiri di Sirte” parla di una lista di jihadisti tunisini dello Stato islamico In sette sarebbero andati verso l’Italia spacciandosi per migranti Nei comandi di Sirte appena abbandonati dalle bandiere nere scopriamo nuove scritte, come questa: “Lo Stato islamico è qui e si espanderà. Con l’aiuto di Allah, nonostante gli infedeli, conquisteremo Roma” Nelle ultime settimane si è combattuto casa per casa per liberare i quartieri ancora in mano a qualche centinaio di jihadisti I morti fra le forze libiche sono quasi 500 ed oltre 2500 i feriti. I combattenti vanno in prima linea con gli orsacchiotti porta fortuna dei figli e nelle pause della battaglia mangiano maccheroni L’arma più efficace dei miliziani dello Stato islamico sono gli attacchi suicidi La densa colonna di fumo nero è il benvenuto nell’ex roccaforte del Califfo Nonostante l’assedio due attentatori suicidi sono riusciti a farsi esplodere in mezzo alle truppe libiche provocando 13 morti e 59 feriti Questo combattente indica che le autobombe erano due e ci fa vedere il sangue sul selciato I seguaci del Califfo non si arrendono e sono decisi a vendere cara la pelle E al fronte è ancora peggio: l’auto bomba è stata fermata a soli venti metri dalla nostra postazione come si vede in queste immagini Sirte è ridotta ad un cumulo di macerie fumanti e disabitate Ad ogni avanzata si scoprono le nefandezze dello Stato islamico come le segrete sotterranee I prigionieri dormivano su dei pagliericci vivendo in condizioni penose. I combattenti anti bandiere nere che ci scortano fanno notare i disegni e le frasi dei detenuti sulle pareti delle celle e hanno una piccola finestra per l’aria a livello del terreno “Sono un cittadino libico - scriveva uno di prigionieri - sono musulmano e non so perché mi hanno arrestato” Attraversiamo i quartieri di Sirte con i cartelli delle bandiere nere ancora intatti e dalla terra di nessuno un cecchino ci spara due volte: il primo colpo ed il secondo Il giorno dopo siamo stati colpiti Nel quartiere 1 i miliziani del Califfo erano ancora annidati in queste case Si passa attraverso le brecce aperte nei muri per non venir colpiti Nelle abitazioni devastate sono stati abbandonati i cadaveri dei seguaci dello Stato islamico Questo è il deposito di viveri delle bandiere nere con pasta italiana, ceci britannici, conserve di pomodoro tunisine e acqua minerale francese Un combattente ci mostra sul telefonino la città dall’alto e le zone residenziali ancora da liberare L’ultima spallata per conquistare Sirte è furiosa Le forze libiche sono una variegata armata Brancalone Carri armati e blindati avanzano e la fanteria dietro. Per spostarsi da un palazzo all’altro anche i giornalisti si arrampicano assieme ai combattenti. Gli aspri scontri durano intere giornate Ad ogni esplosione i libici esultano gridando “Allah è grande” Ma i kamikaze contrattaccano, come si è visto nel bagliore alle spalle dei combattenti. I resti e gli schizzi di sangue del terrorista suicida sono arrivati sopra le nostre teste Un proiettile jihadista colpisce inutilmente il carro I feriti più lievi vengono curati in prima linea, ma questo combattente sta morendo dissanguato L’obiettivo è liberare del tutto Sirte per la festa islamica del sacrificio del 12 settembre. Sarebbe la prima capitale del Califfo a cadere.

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radio

26 aprile 2011 | Radio 101 | intervento
Libia
Con Luxuria bomba e non bomba
Il governo italiano, dopo una telefonata fra il presidente americano Barack Obama ed il premier Silvio Berlusconi, annuncia che cominciamo a colpire nuovi obiettivi di Gheddafi. I giornali titolano: "Bombardiamo la Libia". E prima cosa facevamo? Scherzavamo con 160 missioni aeree dal 17 marzo?

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29 aprile 2011 | Spazio Radio | intervento
Libia
Piegare Gheddafi e preparare l'intervento terrestre
Gli americani spingono con insistenza per un maggiore coinvolgimento dell’Italia nel conflitto in Libia, non solo per passare il cerino politico agli europei. L’obiettivo finale è piegare il colonnello Gheddafi e far sbarcare una forza di interposizione in Libia, con ampia partecipazione italiana. Un modello stile ex Yugoslavia, dove il contingente occidentale è arrivato dopo l’offensiva aerea.

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12 maggio 2011 | Nuova spazio radio | intervento
Libia
Che fine ha fatto Gheddafi?
Il colonnello Gheddafi è morto, ferito oppure in perfetta forma, nonostante le bombe, e salterà fuori con la sua ennesima e prolissa apparizione televisiva? Il dubbio è d’obbligo, dopo i pesanti bombardamenti di Tripoli. Ieri è ricomparaso brevemente in un video girato durante un incontro, all'insaputa dei giornalisti, nell'hotel di Tripoli che ospita la stampa internazionale.

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18 marzo 2011 | Radio Capodistria | intervento
Libia
IL vaso di pandora
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08 marzo 2011 | Panorama | intervento
Libia
Diario dalla Libia
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