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15 maggio 2017 - Attualità - Italia - Il Giornale
L’esercito dei servizi sociali ci costerebbe 4,5 miliardi
R itorno alla leva obbligatoria? Il sasso nello stagno lo lancia il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, anche se poi precisa che si riferisce a «un progetto degli alpini per coinvolgere i giovani nel servizio civile universale». Chi ha portato le stellette per una vita è diviso fra ristabilire la leva con 2 o 3 brigate di coscritti e chi fa notare che non ci sono i soldi neppure per l\'esercito di professione. Per non parlare delle proposte di legge che giacciono in Parlamento, che propongono un servizio civile obbligatorio per tutti i giovani dai 18 ai 28 anni, che costerebbe 4,5 miliardi di euro.
«Sono per un ritorno alla leva obbligatoria. - spiega Marco Bertolini, generale dei paracadutisti in servizio fino all\'anno scorso -. Ovviamente non stiamo parlando di un esercito di 300mila coscritti come un tempo, ma di 2-3 brigate, in tutto 10-15 mila giovani, che si possono sistemare nelle caserme rimaste». Secondo l\'alto ufficiale di lunga esperienza un ritorno alla naja avrebbe un\'importanza di carattere sociale: «Farebbe capire ai giovani che devono qualcosa allo Stato, che non esistono solo diritti, ma anche doveri». Non mancano le motivazioni strettamente militari. «Il valore aggiunto dell\'esercito è la capacità di mettere in campo tanti uomini - spiega Bertolini -. Un reggimento è in grado di bloccare un quartiere di Roma, in caso di grave attentato. La polizia non ha questa capacità». In pratica ci sarebbe bisogno di «una difesa militare territoriale» composta da personale di leva per alleviare le unità professionali impiegate soprattutto nelle operazioni all\'estero da alcuni compiti interni. «Professionisti in grado di far intervenire l\'appoggio aereo in Afghanistan devono fare i piantoni di Strade sicure, un\'operazione che potrebbe coinvolgere la leva», osserva Bertolini. «Per non parlare del fatto che non abbiamo più riserve - aggiunge -. Un altro motivo per rimettere in piedi 2-3 brigate di coscritti».
Il dibattito sul ritorno alla leva si sta aprendo a livello europeo. La Svezia vuole censire tutti i giovani arruolabili dal 2019. La Lituania ha sospeso la leva per poi reintrodurla nel 2015 temendo, a torto o a ragione, l\'orso russo. Durante la campagna elettorale francese si è parlato di formazione militare obbligatoria di 6 mesi contro la minaccia del terrorismo.
Vincenzo Camporini, ex capo di Stato maggiore della Difesa, è convinto che «l\'esercito professionale sia l\'unica soluzione possibile. Tornare alla leva sarebbe uno spreco di quattrini inaccettabile di questi tempi». L\'ex generale degli alpini, Carlo Cabigiosu, però, ammette che «un esercito piccolo come il nostro dovrebbe avere alle spalle una riserva come in Svizzera e Inghilterra».
Il ministro Pinotti si riferiva soprattutto ad un progetto di servizio obbligatorio civile dell\'Associazione nazionale alpini. In realtà le penne nere ipotizzano un periodo di richiamo per tutti i giovani, da 6 a 12 mesi, al termine del ciclo scolastico, da inquadrare in unità di tipo militare con marce, autodifesa, vita in comunità, disciplina, rispetto delle regole e dei superiori. Il programma di naja «civile» punta sull\'educazione fisica, morale, la sicurezza con la possibilità di trovare sbocchi lavorativi nella Protezione civile, i Vigili del fuoco e nel Corpo forestale oppure la ferma come volontario nelle forze armate.
Una proposta di legge della Lega prevede per i giovani dai 18 ai 28 anni, 12 mesi di servizio civile con impiego nelle emergenze, tutela del patrimonio ambientale e artistico, operazioni di protezione civile, servizi sociali. Il costo previsto con una diaria non indifferente di 700 euro al mese è di 4,5 miliardi l\'anno, che dovrebbero arrivare soprattutto dai fondi europei e dal taglio di costi della politica.
Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi Difesa, è scettico: «Attenzione al puro servizio civile. Potenzialmente si rischia di creare una manodopera giovanile a basso costo, che magari viene mobilitata per accogliere gli immigrati illegali nei centri di accoglienza aiutando Ong, cooperative ed enti cattolici».
[continua]

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10 giugno 2008 | Emittente privata TCA | reportage
Gli occhi della guerra.... a Bolzano /2
Negli anni 80 lo portava in giro per Milano sulla sua 500, scrive Panorama. Adesso, da ministro della Difesa, Ignazio La Russa ha voluto visitare a Bolzano la mostra fotografica Gli occhi della guerra, dedicata alla sua memoria. Almerigo Grilz, triestino, ex dirigente missino, fu il primo giornalista italiano ucciso dopo la Seconda guerra mondiale, mentre filmava uno scontro fra ribelli e governativi in Mozambico nell’87. La mostra, organizzata dal 4° Reggimento alpini paracadutisti, espone anche i reportage di altri due giornalisti triestini: Gian Micalessin e Fausto Biloslavo.

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30 aprile 2020 | Tg5 | reportage
L'anticamera dell'inferno
Fausto Biloslavo TRIESTE - “Per noi in prima linea c’è il timore che il ritorno alla vita normale auspicata da tutti possa portare a un aumento di contagi e dei ricoveri di persone in condizioni critiche” ammette Gianfranco, veterano degli infermieri bardato come un marziano per proteggersi dal virus. Dopo anni in pronto soccorso e terapia intensiva lavorava come ricercatore universitario, ma si è offerto volontario per combattere la pandemia. Lunedì si riapre, ma non dimentichiamo che registriamo ancora oltre 250 morti al giorno e quasi duemila nuovi positivi. I guariti aumentano e il contagio diminuisce, però 17.569 pazienti erano ricoverati con sintomi fino al primo maggio e 1578 in rianimazione. Per entrare nel reparto di pneumologia semi intensiva respiratoria dell’ospedale di Cattinara a Trieste bisogna seguire una minuziosa procedura di vestizione. Mascherina di massima protezione, tuta bianca, copri scarpe, doppi guanti e visiera per evitare il contagio. Andrea Valenti, responsabile infermieristico, è la guida nel reparto dove si continua a combattere, giorno e notte, per strappare i contagiati alla morte. Un grande open space con i pazienti più gravi collegati a scafandri o maschere che li aiutano a respirare e un nugolo di tute bianche che si spostano da un letto all’altro per monitorare o somministrare le terapie e dare conforto. Un contagiato con i capelli grigi tagliati a spazzola sembra quasi addormentato sotto il casco da marziano che pompa ossigeno. Davanti alla finestra sigillata un altro paziente che non riesce a parlare gesticola per indicare agli infermieri dove sente una fitta di dolore. Un signore cosciente, ma sfinito, con i tubi dell’ossigeno nel naso è collegato, come gli altri, a un monitor che segnala di continuo i parametri vitali. “Mi ha colpito un paziente che descriveva la sensazione terribile, più brutta del dolore, di non riuscire a respirare. Diceva che “è come se mi venisse incontro la morte”” racconta Marco Confalonieri direttore della struttura complessa di pneumologia e terapia intensiva respiratoria al dodicesimo piano della torre medica di Cattinara. La ventilazione non invasiva lascia cosciente il paziente che a Confalonieri ha raccontato come “bisogna diventare amico con la macchina, mettersi d’accordo con il ventilatore per uscire dal tunnel” e tornare alla vita. Una “resuscitata” è Vasilica, 67 anni, operatrice di origine romena di una casa di risposo di Trieste dove ha contratto il virus. “Ho passato un inferno collegata a questi tubi, sotto il casco, ma la voglia di vivere e di rivedere i miei nipoti, compreso l’ultimo che sta per nascere, ti fa sopportare tutto” spiega la donna occhialuta con una coperta sulle spalle, mascherina e tubo per l’ossigeno. La sopravvissuta ancora ansima quando parla del personale: “Sono angeli. Senza questi infermieri, medici, operatori sanitari sarei morta. Lottano ogni momento al nostro fianco”. Il rumore di fondo del reparto è il ronzio continuo delle macchine per l’ossigeno. L’ambiente è a pressione negativa per aspirare il virus e diminuire il pericolo, ma la ventilazione ai pazienti aumenta la dispersione di particelle infette. In 6 fra infermieri ed un medico sono stati contagiati. “Mi ha colpito la telefonata di Alessandra che piangendo ripeteva “non è colpa mia, non è colpa mia” - racconta Confalonieri con il volto coperto da occhialoni e maschera di protezione - Non aveva nessuna colpa, neppure sapeva come si è contagiata, ma si struggeva per dover lasciare soli i colleghi a fronteggiare il virus”. Nicol Vusio, operatrice sanitaria triestina di 29 anni, ha spiegato a suo figlio che “la mamma è in “guerra” per combattere un nemico invisibile e bisogna vincere”. Da dietro la visiera ammette: “Me l’aspettavo fin dalla prime notizie dalla Cina. Secondo me avremmo dovuto reagire molto prima”. Nicol racconta come bagna le labbra dei pazienti “che con gli occhi ti ringraziano”. I contagiati più gravi non riescono a parlare, ma gli operatori trovano il modo di comunicare. “Uno sguardo, la rotazione del capo, il movimento di una mano ti fa capire se il paziente vuole essere sollevato oppure girato su un fianco o se respira male” spiega Gianfranco, infermiere da 30 anni. Il direttore sottolinea che “il covid “cuoce” tutti gli organi, non solo il polmone e li fa collassare”, ma il reparto applica un protocollo basato sul cortisone che ha salvato una novantina di contagiati. Annamaria è una delle sopravvissute, ancora debole. Finalmente mangia da sola un piattino di pasta in bianco e con un mezzo sorriso annuncia la vittoria: “Il 7 maggio compio 79 anni”.

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24 novembre 2015 | Rai 1 Storie vere | reportage
Terrorismo in Europa
Dopo gli attacchi di Parigi cosa dobbiamo fare per estirpare la minaccia in Siria, Iraq e a casa nostra

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20 giugno 2017 | WDR | intervento
Italia
Più cittadini italiani con lo ius soli
Estendere la cittadinanza italiana ai bambini figli di stranieri? È la proposta di legge in discussione in Senato in questi giorni. Abbiamo sentito favorevoli e contrari.

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