image
Articolo
07 dicembre 2017 - Prima - Italia - Il Giornale
Toh, foto filonazista nell’ufficio della Pinotti
Fausto Biloslavo
Il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, si fa ritrarre negli scatti ufficiali quando riceve carabinieri e altri ospiti nel suo ufficio con alle spalle una foto dei nostri soldati a Tobruk, nel 1942, ed un paio di tedeschi. Sull\\\'uniforme di uno degli ufficiali della Wehrmacht si vede l\\\'aquila con la svastica. Una foto storica ed innocua appesa da Ignazio La Russa, ministro della Difesa nel 2008-2011, che nessun successore ha mai tolto. Nello scatto in bianco e nero è ritratto il padre di La Russa, ufficiale dell\\\'esercito, in seguito fatto prigioniero nella battaglia di El Alamein.
Nelle accese polemiche di questi giorni per la bandiera del Kaiser nella caserma di carabinieri di Firenze additata come simbolo neonazista dal ministro Pinotti, la foto storica di Tobruk assume un significato diverso e paradossale. Ieri sono comparsi dei tweet con le immagini che ritraggono il ministro pure con tre carabinieri donne e alle spalle lo scatto di Tobruk, oltre alla bandiera italiana e della Difesa. E giù prese in giro o dure critiche legate al vessillo guglielmino utilizzato dalla teste rasate, che si susseguono da giorni a tal punto che il ministro scrive su Facebook di sentirsi «insultata e minacciata dallo squadrismo da tastiera». In una caserma dei carabinieri l\\\'unica bandiera ammessa dovrebbe essere quella italiana, ma se il ministro pensa che stia avanzando l\\\'orda nera dovrebbe fare maggiore attenzione alle foto nel suo ufficio.
L\\\'immagine dei soldati italiani a Tobruk riguarda uno scambio di prigionieri con gli inglesi travolti nel 1942 dai panzer dell\\\'Afrika korps del generale Erwin Rommel. L\\\'ufficiale rispondeva ad Hitler e al Feldmaresciallo Albert Kesserling condannato a morte alla fine della seconda guerra mondiale, per gli eccidi in Italia, con pena poi commutata.
Alle spalle di un generale italiano con il casco coloniale che guarda una carta ci sono due tedeschi. Uno è un ufficiale e si nota sull\\\'uniforme l\\\'aquila con la svastica della Wehrmacht, l\\\'esercito tedesco. In questo caso non del secondo Reich, come la bandiera imperiale del carabiniere, ma del terzo, quello di Hitler. Anche questa foto storica va abolita? Assolutamente no, ma appare paradossale dopo l\\\'allarme lanciato da Pinotti sul simbolo dell\\\'orda nera annidato nella caserma di Firenze. Secondo questa logica dovremmo cambiare il nome delle caserme intitolate ai caduti della Seconda guerra mondiale ordinata da Mussolini. Al museo navale di La Spezia hanno già eliminato i simboli della X Mas, ma dovrebbero farlo pure con il modellino dell\\\'U-boot tedesco e la statua di Costanzo Ciano, padre di Galeazzo, famoso per la beffa di Buccari contro la Marina austriaca e squadrista della prima ora.
La storia, bella o brutta che sia, non si può cancellare e ancora meno utilizzare, con un occhio alle elezioni, per lanciare il solito allarme sul pericolo nazifascista, che non è annidato nelle caserme delle forze armate o nell\\\'ufficio del ministro della Difesa con una foto di Tobruk 1942.
[continua]

video
04 luglio 2012 | Telefriuli | reportage
Conosciamoci
Giornalismo di guerra e altro.

play
14 marzo 2015 | Tgr Friuli-Venezia Giulia | reportage
Buongiorno regione
THE WAR AS I SAW IT - L'evento organizzato dal Club Atlantico giovanile del Friuli-Venezia Giulia e da Sconfinare si svolgerà nell’arco dell’intera giornata del 10 marzo 2015 e si articolerà in due fasi distinte: MATTINA (3 ore circa) ore 9.30 Conferenza sul tema del giornalismo di guerra Il panel affronterà il tema del giornalismo di guerra, raccontato e analizzato da chi l’ha vissuto in prima persona. Per questo motivo sono stati invitati come relatori professionisti del settore con ampia esperienza in conflitti e situazioni di crisi, come Gianandrea Gaiani (Direttore responsabile di Analisi Difesa, collaboratore di diverse testate nazionali), Fausto Biloslavo (inviato per Il Giornale in numerosi conflitti, in particolare in Medio Oriente), Elisabetta Burba (firma di Panorama), Gabriella Simoni (inviata Mediaset in numerosi teatri di conflitto, specialmente in Medio Oriente), Giampaolo Cadalanu (giornalista affermato, si occupa di politica estera per La Repubblica). Le relazioni saranno moderate dal professor Georg Meyr, coordinatore del corso di laurea in Scienze Internazionali e Diplomatiche dell’Università di Trieste. POMERIGGIO (3 ore circa) ore 14.30 Due workshop sul tema del giornalismo di guerra: 1. “Il reporter sul campo vs l’analista da casa: strumenti utili e accorgimenti pratici” - G. Gaiani, G. Cadalanu, E. Burba, F. Biloslavo 2. “Il freelance, l'inviato e l'addetto stampa in aree di crisi: tre figure a confronto” G. Simoni, G. Cuscunà, cap. B. Liotti

play
14 maggio 2020 | Tg5 | reportage
Trieste, Lampedusa del Nord Est
Fausto Biloslavo TRIESTE - Il gruppetto è seduto sul bordo della strada asfaltata. Tutti maschi dai vent’anni in su, laceri, sporchi e inzuppati di pioggia sembrano sfiniti, ma chiedono subito “dov’è Trieste?”. Un chilometro più indietro passa il confine con la Slovenia. I migranti illegali sono appena arrivati, dopo giorni di marcia lungo la rotta balcanica. Non sembra il Carso triestino, ma la Bosnia nord occidentale da dove partono per arrivare a piedi in Italia. Scarpe di ginnastica, tute e qualche piumino non hanno neanche uno zainetto. Il più giovane è il capetto della decina di afghani, che abbiamo intercettato prima della polizia. Uno indossa una divisa mimetica probabilmente bosniaca, un altro ha un barbone e sguardo da talebano e la principale preoccupazione è “di non venire deportati” ovvero rimandati indietro. Non sanno che la Slovenia, causa virus, ha sospeso i respingimenti dall’Italia. Di nuovo in marcia i migranti tirano un sospiro di sollievo quando vedono un cartello stradale che indica Trieste. Il capetto alza la mano in segno di vittoria urlando da dove viene: “Afghanistan, Baghlan”, una provincia a nord di Kabul. Il 12 maggio sono arrivati in 160 in poche ore, in gran parte afghani e pachistani, il picco giornaliero dall’inizio dell’anno. La riapertura della rotta balcanica sul fronte del Nord Est è iniziata a fine aprile, in vista della fase 2 dell’emergenza virus. A Trieste sono stati rintracciati una media di 40 migranti al giorno. In Bosnia sarebbero in 7500 pronti a partire verso l’Italia. Il gruppetto di afghani viene preso in carico dai militari del reggimento Piemonte Cavalleria schierato sul confine con un centinaio di uomini per l’emergenza virus. Più avanti sullo stradone di ingresso in città, da dove si vede il capoluogo giuliano, la polizia sta intercettando altri migranti. Le volanti con il lampeggiante acceso “scortano” la colonna che si sta ingrossando con decine di giovani stanchi e affamati. Grazie ad un altoparlante viene spiegato in inglese di stare calmi e dirigersi verso il punto di raccolta sul ciglio della strada in attesa degli autobus per portarli via. Gli agenti con le mascherine controllano per prima cosa con i termometri a distanza la temperatura dei clandestini. Poi li perquisiscono uno ad uno e alla fine distribuiscono le mascherine ai migranti. Alla fine li fanno salire sugli autobus dell’azienda comunale dei trasporti cercando di non riempirli troppo per evitare focolai di contagio. “No virus, no virus” sostiene Rahibullah Sadiqi alzando i pollici verso l’alto in segno di vittoria. L’afghano è partito un anno fa dal suo paese e ha camminato per “dodici giorni dalla Bosnia, attraverso la Croazia e la Slovenia fino all’Italia”. Seduto per terra si è levato le scarpe e mostra i piedi doloranti. “I croati mi hanno rimandato indietro nove volte, ma adesso non c’era polizia e siamo passati tutti” spiega sorridendo dopo aver concluso “il gioco”, come i clandestini chiamano l’ultimo tratto della rotta balcanica. “Abbiamo registrato un crollo degli arrivi in marzo e per gran parte di aprile. Poi un’impennata alla fine dello scorso mese fino a metà maggio. L’impressione è che per i paesi della rotta balcanica nello stesso periodo sia avvenuta la fine del lockdown migratorio. In pratica hanno aperto i rubinetti per scaricare il peso dei flussi sull’Italia e sul Friuli-Venezia Giulia in particolare creando una situazione ingestibile anche dal punto di vista sanitario. E’ inaccettabile” spiega l'assessore regionale alla Sicurezza Pierpaolo Roberti, che punta il dito contro la Slovenia. Lorenzo Tamaro, responsabile provinciale del Sindacato autonomo di polizia, denuncia “la carenza d’organico davanti all’emergenza dell’arrivo in massa di immigrati clandestini. Rinnoviamo l’appello per l’invio di uomini in rinforzo alla Polizia di frontiera”. In aprile circa il 30% dei migranti che stazionavano in Serbia è entrato in Bosnia grazie alla crisi pandemica, che ha distolto uomini ed energie dal controllo dei confini. Nella Bosnia occidentale non ci sono più i campi di raccolta, ma i migranti bivaccano nei boschi e passano più facilmente in Croazia dove la polizia ha dovuto gestire l’emergenza virus e pure un terremoto. Sul Carso anche l’esercito impegnato nell’operazione Strade sicure fa il possibile per tamponare l’arrivo dei migranti intercettai pure con i droni. A Fernetti sul valico con la Slovenia hanno montato un grosso tendone mimetico dove vengono portati i nuovi arrivati per i controlli sanitari. Il personale del 118 entra con le protezioni anti virus proprio per controllare che nessuno mostri i sintomi, come febbre e tosse, di un possibile contagio. Il Sap è preoccupato per l’emergenza sanitaria: “Non abbiamo strutture idonee ad accogliere un numero così elevato di persone. Servono più ambienti per poter isolare “casi sospetti” e non mettere a rischio contagio gli operatori di Polizia. Non siamo nemmeno adeguatamente muniti di mezzi per il trasporto dei migranti con le separazioni previste dall’emergenza virus”. Gli agenti impegnati sul terreno non sono autorizzati a parlare, ma a denti stretti ammettono: “Se va avanti così, in vista della bella stagione, la rotta balcanica rischia di esplodere. Saremo travolti dai migranti”. E Trieste potrebbe trasformarsi nella Lampedusa del Nord Est.

play
[altri video]
radio

20 giugno 2017 | WDR | intervento
Italia
Più cittadini italiani con lo ius soli
Estendere la cittadinanza italiana ai bambini figli di stranieri? È la proposta di legge in discussione in Senato in questi giorni. Abbiamo sentito favorevoli e contrari.

play

[altri collegamenti radio]




fotografie







[altre foto]