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Articolo
31 luglio 2019 - Il fatto - Italia - Il Giornale
La benda sugli occhi? Indigna solo l’Italia
Fausto Biloslavo
«In Italia si indignano perché hanno bendato un assassino» è il titolo di un fotomontaggio sui social che mette assieme le foto, ben più drammatiche, di arrestati con gli occhi coperti dalle polizie di mezza Europa oltre che dagli israeliani e negli Stati Uniti. Il colpo d\'occhio rende perfettamente l\'idea che bendare un sospetto è una prassi di sicurezza. Anche se duramente censurata dal Consiglio d\'Europa.
L\'aspetto paradossale è che le forze dell\'ordine in Canada, Stati Uniti, Francia e Germania hanno addirittura in dotazione non una semplice benda da moscacieca, ma il «Pol-i-veil». Un vero e proprio cappuccio, che si può comprare in rete e serve a garantire la sicurezza degli agenti oltre ad evitare che un criminale con malattie infettive possa sputare sui poliziotti. Il cappuccio in stile Guantanamo viene usato dalla polizia stradale di Toronto, oltre che dagli agenti di Los Angeles, quando devono arrestare gli ubriachi e figuriamoci degli assassini. Disponibile in bianco e blu oppure arancione o trasparente viene pubblicizzato dalla polizia tedesca. 
La versione blu, che non ti permette di vedere nulla, è stata tranquillamente utilizzata dall\'antiterrorismo francese nel maggio scorso quando hanno scoperto dopo 17 anni di latitanza Josu Ternera, nome di battaglia dell\'ultima capo dell\'Eta basca ancora in circolazione. Nessuno si è scandalizzato per la foto «drammatica» dell\'arrestato con il cappuccio in testa, che veniva portato via dal palazzo di giustizia della città francese di Bonneville. 
Nel 2015 i giornali di mezzo mondo, compresi ovviamente quelli italiani, hanno pubblicato la foto del jihadista Ayoub El-Khazzani, che voleva compiere una strage su un treno ad alta velocità. Per fortuna lo hanno bloccato tre militari americani in vacanza. Il seguace del Califfo è stato arrestato e portato in aula non solo bendato, ma pure scalzo. Non si è registrata l\'indignazione del caso italiano con il giovane americano bendato, che ha partecipato all\'uccisione del carabiniere Mario Cerciello Rega. 
Pure la tranquilla polizia olandese copre gli occhi ai criminali appena catturati. Due anni fa ha fatto scalpore la retata ad Amsterdam contro il cartello Kinahan, un\'organizzazione dedita al traffico di droga con ramificazioni in Olanda, Belgio e Irlanda. Le immagini degli arrestati bendati sono rimbalzate sui media olandesi e irlandesi.
La Spagna è stata censurata dal Consiglio d\'Europa per l\'uso eccessivo di cappucci e bende sugli occhi. Lo scorso ottobre i tedeschi, che dovevano trasferire in Marocco, dopo quindici anni di carcere in Germania, Mounir al-Motassadek in combutta con la cellula dell\'11 settembre, hanno uguagliato Guantanamo. Il prigioniero è stato trasferito e regolarmente fotografato dalla stampa non solo bendato e ammanettato in mezzo a due Rambo, ma pure con delle cuffie sulle orecchie che non gli permettevano neppure di sentire. Quasi nessuno si è scandalizzato. 
Il Comitato per la prevenzione della tortura e dei trattamenti degradanti o inumani del Consiglio d\'Europa censura il metodo, ma ammette che «in certi Paesi ha riscontrato la pratica di bendare le persone durante il fermo di polizia, in particolare durante gli interrogatori».
Gli israeliani bendano praticamente di routine i prigionieri palestinesi e negli Stati Uniti hanno addirittura una «sedia di contenimento» per bloccare un criminale e incappucciarlo. Lo scorso anno uno sceriffo di Denver è stato filmato mentre atterrava un arrestato che era incappucciato e con le mani legate dietro la schiena. La polizia lo ha sospeso per quaranta giorni senza stipendio, ma poi è stato assolto dal tribunale.
La magistratura stabilirà se i carabinieri hanno violato la legge, ma solo in Italia si scatena una levata di scudi paradossale, come se fossimo a Guantanamo, per un presunto killer bendato per cinque minuti.
[continua]

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06 giugno 2017 | Sky TG 24 | reportage
Terrorismo da Bologna a Londra
Fausto Biloslavo "Vado a fare il terrorista” è l’incredibile affermazione di Youssef Zaghba, il terzo killer jihadista del ponte di Londra, quando era stato fermato il 15 marzo dello scorso anno all’aeroporto Marconi di Bologna. Il ragazzo nato nel 1995 a Fez, in Marocco, ma con il passaporto italiano grazie alla madre Khadija (Valeria) Collina, aveva in tasca un biglietto di sola andata per Istanbul e uno zainetto come bagaglio. Il futuro terrorista voleva raggiungere la Siria per arruolarsi nello Stato islamico. Gli agenti di polizia in servizio allo scalo Marconi lo hanno fermato proprio perché destava sospetti. Nonostante sul cellulare avesse materiale islamico di stampo integralista è stato lasciato andare ed il tribunale del riesame gli ha restituito il telefonino ed il computer sequestrato in casa, prima di un esame approfondito dei contenuti. Le autorità inglesi hanno rivelato ieri il nome del terzo uomo sostenendo che non “era di interesse” né da parte di Scotland Yard, né per l’MI5, il servizio segreto interno. Il procuratore di Bologna, Giuseppe Amato, ha dichiarato a Radio 24, che "venne segnalato a Londra come possibile sospetto”. E sarebbero state informate anche le autorità marocchine, ma una fonte del Giornale, che ha accesso alle banche dati rivela “che non era inserito nella lista dei sospetti foreign fighter, unica per tutta Europa”. Non solo: Il Giornale è a conoscenza che Zaghba, ancora minorenne, era stato fermato nel 2013 da solo, a Bologna per un controllo delle forze dell’ordine senza esiti particolari. Il procuratore capo ha confermato che l’italo marocchino "in un anno e mezzo, è venuto 10 giorni in Italia ed è stato sempre seguito dalla Digos di Bologna. Abbiamo fatto tutto quello che si poteva fare, ma non c'erano gli elementi di prova che lui fosse un terrorista. Era un soggetto sospettato per alcune modalità di comportamento". Presentarsi come aspirante terrorista all’imbarco a Bologna per Istanbul non è poco, soprattutto se, come aveva rivelato la madre alla Digos “mi aveva detto che voleva andare a Roma”. Il 15 marzo dello scorso anno il procuratore aggiunto di Bologna, Valter Giovannini, che allora dirigeva il pool anti terrorismo si è occupato del caso disponendo un fermo per identificazione al fine di accertare l’identità del giovane. La Digos ha contattato la madre, che è venuta a prenderlo allo scalo ammettendo: "Non lo riconosco più, mi spaventa. Traffica tutto il giorno davanti al computer per vedere cose strane” ovvero filmati jihadisti. La procura ha ordinato la perquisizione in casa e sequestrato oltre al cellulare, alcune sim ed il pc. La madre si era convertita all’Islam quando ha sposato Mohammed il padre marocchino del terrorista che risiede a Casablanca. Prima del divorzio hanno vissuto a lungo in Marocco. Poi la donna è tornata casa nella frazione di Fagnano di Castello di Serravalle, in provincia di Bologna. Il figlio jihadista aveva trovato lavoro a Londra, ma nella capitale inglese era entrato in contatto con la cellula di radicali islamici, che faceva riferimento all’imam, oggi in carcere, Anjem Choudary. Il timore è che il giovane italo-marocchino possa essere stato convinto a partire per la Siria da Sajeel Shahid, luogotenente di Choudary, nella lista nera dell’ Fbi e sospettato di aver addestrato in Pakistan i terroristi dell’attacco alla metro di Londra del 2005. "Prima di conoscere quelle persone non si era mai comportato in maniera così strana” aveva detto la madre alla Digos. Il paradosso è che nessuna legge permetteva di trattenere a Bologna il sospetto foreign fighter ed il tribunale del riesame ha accolto l’istanza del suo avvocato di restituirgli il materiale elettronico sequestrato. “Nove su dieci, in questi casi, la richiesta non viene respinte” spiega una fonte del Giornale, che conosce bene la vicenda. Non esiste copia del materiale trovato, che secondo alcune fonti erano veri e propri proclami delle bandiere nere. E non è stato possibile fare un esame più approfondito per individuare i contatti del giovane. Il risultato è che l’italo-marocchino ha potuto partecipare alla mattanza del ponte di Londra. Parenti e vicini cadono dalle nuvole. La zia acquisita della madre, Franca Lambertini, non ha dubbi: “Era un bravo ragazzo, l'ultima volta che l'ho visto mi ha detto “ciao zia”. Non avrei mai pensato a una cosa del genere".

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12 maggio 2020 | Tg5 | reportage
L'infermiera sopravvissuta al virus
L’infermiera ha contratto il virus da un paziente anziano nell’ospedale Maggiore di Trieste A casa non riusciva più a respirare ed è stata trasportata d’urgenza in ospedale Il figlio, soldato della Nato, era rimasto bloccato sul fronte baltico dall’emergenza virus con l’appartamento pieno di medicine l’incubo del contagio non l’abbandonerà mai Due mesi dopo il contagio Svetlana è negativa al virus ma ancora debole e chiusa in casa

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05 febbraio 2015 | Porta a Porta | reportage
IN RICORDO DELLE FOIBE E L'ESODO LA PUNTATA DI PORTA A PORTA


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03 giugno 2019 | Radio Scarp | intervento
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