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31 luglio 2019 - Esteri - Mondo - Panorama
Il ritorno del terrore

Il 22 luglio lo Stato islamico rivendica due attacchi senza pietà in uno sperduto angolo del Congo con decine di vittime e innocenti rapiti. In aprile le bandiere nere spuntavano per la prima volta sul territorio congolese lontano migliaia di chilometri dai santuari perduti in Siria e Iraq. Il 19 luglio una nota “urgentissima” dell’antiterrorismo italiano lancia l’allarme su un aspirante kamikaze siriano, che potrebbe farsi saltare in aria a Roma. Già inserito nella lista di sospetti jihadisti si era fatto un selfie in Pariser Platz a Berlino pubblicandolo su Facebook. E intercettato aveva annunciato: “Domani a Roma andrò in paradiso”. Sembra che non sia mai arrivato in Italia, ma sarebbe ancora in giro per l’Europa.

La dimostrazione che la minaccia del terrore di matrice islamica non è scomparsa. Il rapporto “Terrorismo, criminalità e contrabbando. Gli affari dei jihadisti tra Medio Oriente, Africa ed Europa” riaccende i riflettori sulla piovra, che ha subito dure sconfitte in Libia, Siria e Iraq, ma è capace di rigenerare i suoi tentacoli. Un’approfondita ricerca di 480 pagine della Fondazione Icsa, che da dieci anni si occupa in modo innovativo dei temi della sicurezza, della difesa e dell’intelligence, dopo essere stata tenuta a battesimo dal presidente emerito, Francesco Cossiga e dall’ex ministro dell’Interno Marco Minniti. 

Il rapporto esplora in profondità la possibile rinascita del Califfato,  le connessioni con la criminalità organizzata e i ricavi jihadisti dai traffici di esseri umani, droga, armi, sigarette, antichità, ma pure i finanziamenti degli attentati anche con cripto valute. E propone un  rivoluzionario sistema di allerta dell’intelligence economica, attraverso gli indici di Borsa, su possibili attacchi del terrore. 

LA RINASCITA DEL CALIFFATO

La sconfitta territoriale dell’Isis in Siria e Iraq ha ridato nuovo slancio ai “cugini” di Al Qaida passati in secondo piano dopo l’eliminazione di Osama bin Laden e la nascita dello Stato islamico. L’obiettivo della rete fondata dallo sceicco del terrore “è di riacquisire la leadership della jihad globale riconducendola sotto linee guida unitarie, dopo anni di contrapposizione tra al-Qaeda e Isis e il reciproco scambio di accuse di “deviazionismo”” si legge nel primo capitolo del rapporto. In pratica gli eredi di Bin Laden tornerebbero a rappresentare la “mente operativa”, mentre

le cellule dell’Isis sopravvissute alla sconfitta e disperse in mezzo mondo dall’Africa all’Estremo Oriente resterebbero “il braccio armato”. 

Italo Saverio Trento direttore di Icsa e curatore del rapporto spiega  a Panorama, che “l’Isis è al momento in ritirata, ma ha sempre dimostrato grandi capacità di rigenerazione. Pericolosi affiliati dello Stato islamico sono attivi in quattro aree di maggiore preoccupazione: Afghanistan, Sinai, Asia orientale, Sahel e Africa occidentale. Senza dimenticare che il Califfato “virtuale” sul web è ancora in piedi, e continua ad inviare messaggi di odio incitando al combattimento”.

I ricercatori dell’Icsa sono convinti che potrebbe nascere una “nuova alleanza fra le metastasi jihadiste” di Al Qaida e Isis grazie al collante ideologico “che unisce realtà apparentemente diverse. Realtà che, di fatto, costituiscono le due facce di una stessa moneta: la ricostituzione del Califfato”.

PREVEDERE GLI ATTENTATI

A pagina 381 del rapporto un diagramma mostra l’incredibile relazione fra l’indice Vix di volatilità dei mercati, che precede grandi attentati o piani terroristici sventati all’ultimo momento dall’11 settembre, alla strage del Bataclan a Parigi. “Nel solo caso dell’attacco al Parlamento canadese, l’indice è cresciuto di quasi venti punti base nell’ottobre 2014, creando un’anomalia e  anticipando l’evento” terroristico. In pratica sono stati registrati movimenti speculativi, chiamati in gergo “scambi abnormi” che evidenziano una certa correlazione tra indici borsistici e attentati.

Al momento non è ancora pronto un sistema totalmente affidabile di “allarme” basato su speculazioni e movimenti globali del mondo finanziario. Secondo il rapporto, però, l’intelligence economica “ha il compito di mettere a sistema le informazioni provenienti dai mercati per formulare indici predittivi quanto più realistici ed omogenei su scala nazionale e globale nella lotta al terrorismo”.

MAFIA CONNECTION

Antonio Maria Costa, ex direttore esecutivo dell’agenzia dell’Onu che si batte contro il traffico di droga e le mafie, non ha dubbi: “E’ diventato sempre più difficile distinguere chiaramente i gruppi terroristici dalle comuni organizzazioni criminali perchè le loro strategie tendono a sovrapporsi. Se non recidiamo il legame tra crimine, droga e terrorismo, il mondo assisterà alla nascita di un ibrido e cioè di organizzazioni terroristiche della criminalità organizzata”. Uno dei campanelli d’allarme più evidenti è l’incremento annuo della coltivazione di oppio in Afghanistan per l’85% sotto il controllo o influenza dei talebani e la derivante produzione e traffico di eroina. Si calcola che metà delle entrate dei talebani sia costituito dalle “tasse” imposte ai contadini che coltivano l’oppio o dal pizzo sui camion che trasportano il papavero verso le raffinerie dell’eroina. Il 40% della droga proveniente dall’Afghanistan arriva via Iran, Turchia e lungo la rotta balcanica in Europa. L’altra direttrice passa per le ex repubbliche sovietiche dell’Asia centrale e la Russia. Il traffico è garantito da reti criminali ben organizzate.

Se i talebani gestiscono la coltivazione di oppio, Al Qaida nel Maghreb e Boko Haram sono stati coinvolti “nel traffico di cannabis e cocaina e nella protezione dei trafficanti per la droga che arriva in Africa occidentale della Colombia via Venezuela” denuncia il rapporto. 

E le connessioni fra jihadismo e mafie si spingono fino in Italia. “Non esistono cupole di potere unitarie fra jihadisti e mafiosi, ma, nel nostro paese, come altrove, ci sono convergenze tra terrorismo e criminalità organizzata che nascono da contatti individuali, legati a necessità contingenti come il reperimento di armi o documenti” osserva Trento, uno dei curatori del rapporto. Nabil Benamir, arrestato a Genova, e condannato a 5 anni e 6 mesi per terrorismo internazionale, si era rivolto in carcere a un affiliato alla Sacra corona unita per una partita di kalashnikov, detonatori ed esplosivo T4. L’iracheno Aziz Ehsan, in contatto con l’Isis, è stato arrestato a Castelvolturno, in provincia di Caserta con l’accusa di negoziare accordi con la camorra per il traffico di armi e di documenti falsi. 

IL TRAFFICO JIHADISTA DI ESSERI UMANI

Trento lancia l’allarme sulla “mafia nigeriana operante in Italia: i suoi rapporti con soggetti di Boko Haram o legati all’Isis sono documentati”. Il rapporto conferma che “negli ultimi anni le organizzazioni criminali e terroristiche hanno diversificato le loro attività e oltre ai tradizionali traffici illeciti iniziano a utilizzare gli stessi mezzi e le stesse rotte per trafficare in esseri umani”.  Il sistema più semplice è riscuotere il pizzo dai trafficanti garantendo passaggi sicuri. 

Un aspetto poco conosciuto e particolarmente odioso riguarda le donne rapite dai terroristi di Boko Haram in Nigeria. “Alcune sono vendute alle reti nigeriane della prostituzione, molto attive in Europa - rivela il rapporto - Le mafie forniscono loro passaporti e le introducono nei paesi europei. All’arrivo possono essere rivendute alle tenutarie nigeriane (le maman) per 10.000 euro”. La Direzione nazionale antimafia ha ribadito “l’intreccio fra criminalità organizzata di tipo mafioso e terrorismo internazionale” definendolo addirittura \"una totale compenetrazione”.

OPERAZIONE SCORPION

Il 10 aprile dello scorso anno la Guardia di Finanza di Palermo Marsala sgomina un’organizzazione criminale transnazionale dedita al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e al contrabbando di sigarette. Il commercio illegale di tabacchi è uno degli “affari jihadisti” più semplici, che non si fa notare, ma “serve da base economica per la preparazione di attentati come l’attacco a Charlie Hebdo” rivela il rapporto. 

Mokhtar Belmokhtar, veterano algerino dell’Afghanistan ed emiro di punta di Al Qaida nel Maghreb islamico è soprannominato “”Mister Marlboro” per l’enorme flusso di traffici legati al contrabbando di sigarette che ha sviluppato nell’Africa sub-sahariana”.

L’operazione dei finanzieri nelle province di Palermo e Trapani, nome in codice “Scorpion Fish 2”, ha portato all’arresto di 13 tunisini, italiani e marocchini, che in quattro ore di navigazione con barchini veloci pilotati da esperti scafisti portavano in Italia 10-15 migranti clandestini alla volta disposti a pagare fra i 3mila e 5mila euro. A bordo venivano imbarcate anche casse di sigarette di contrabbando per il mercato nero palermitano grazie ad accordi con la criminalità locale. Ogni viaggio fruttava fra i 30mila e 70mila euro. “Nell’ambito del gruppo delinquenziale operavano alcuni soggetti con orientamenti tipici dell’islamismo radicale di natura jihadista - si legge nel rapporto della Fondazione Icsa -  caratterizzati da atteggiamenti ostili alla cultura occidentale, che facevano propaganda attraverso falsi profili su piattaforme “social””. Uno dei membri della rete, intercettato, aveva espresso l’intenzione di recarsi in Francia per “azioni pericolose senza ritorno” ovvero un attentato.

GLI ALTRI AFFARI DEL TERRORE

Nel 2015, all’apice dell’espansione, lo Stato islamico incassava 400 milioni di dollari l’anno dal contrabbando di petrolio. I terroristi non si occupavano della filiera del traffico, ma vendevano ai contrabbandieri ogni barile di petrolio per 25-30 dollari, che poi lo immettevano illegalmente nel mercato via Turchia o Kurdistan iracheno. 

Il rapporto si sofferma anche su un altro introito illecito dell’Isis “il patrimonio culturale trattato alla stregua di una risorsa naturale, una sorta di petrolio di pietra”. Lo Stato islamico aveva creato il “Diwan al-Rikaz”, un ministero per le risorse naturali con un dipartimento “antichità”, che si occupava dei tesori archeologici saccheggiati. 

In Italia sono arrivati nei porti di Gioia Tauro e Salerno beni trafugati soprattutto dalle zone di guerra in Libia attraverso la Turchia. Il saccheggio dei siti archeologici, in alcuni casi considerati patrimonio dell’umanità dall’Unesco, sia in Nord Africa, che Siria e Iraq è servito ad acquistare l’arsenale della galassia jihadista. “La Cina è il maggior produttore delle armi in mano all’Isis (il 41%)” fa notare il rapporto, ma nello Stato islamico sono confluite anche forniture belliche di paesi come “l’Arabia Saudita e gli Stati Uniti” che erano state consegnate all’inizio della guerra civile nel 2011 “a disparate forze dell’opposizione siriana schierate contro il regime

del presidente Bashar al-Assad”.

LA PISTA DEI SOLDI

La ricerca dell’Icsa utilizza l’ “approccio Al Capone”, il metodo in gergo che segue le tracce dei soldi utilizzati dai terroristi. “Gli attentati terroristici sul suolo europeo non sono dispendiosi. Richiedono importi di poche migliaia di euro, che non necessitano di finanziamenti dalla ”casa madre” e possono provenire da prestiti personali e stipendi o dai profitti di attività microcriminali” rivela il direttore della Fondazione. Una quarantina di attacchi jihadisti sono costati una media di 9mila euro. Per l’attentato più complesso di Parigi del 2015 che ha provocato 138 morti sono bastati 30mila euro. Said Kouachi, uno dei due terroristi che assaltarono la redazione di Charlie Hebdo finanziò la strage con un traffico di scarpe da ginnastica Nike contraffatte e sigarette di contrabbando. Due giorni dopo Amedy Coulibaly che sequestrò degli ostaggi a Parigi aveva finanziato l’operazione con un prestito Financo di 15mila euro grazie a false buste paga. Non solo: “I prestiti agli studenti si sono rivelati un modo conveniente per finanziare i viaggi dei foreign fighters in Siria” sottolinea il rapporto. In Inghilterra sono state utilizzate le borse di studio per acquistare biglietti aerei per la Turchia prima tappa verso la guerra santa. 

Per non parlare delle “sponsorizzazioni” personali dei terroristi note come “Tajheez al-Ghazi” (da tajheez, “preparazione”, e al-ghazi, “guerriero”). Ricchi benefattori dei paesi del Golfo o privati cittadini, che non vogliono rischiare la pelle, finanziano il costo del viaggio per il volontario jihadista o l’equipaggiamento individuale. L’Isis ha ricevuto in un’unica tranche “sponsorizzazioni” per 2 milioni di dollari da ricchi sauditi.

I gruppi del terrore organizzano anche raccolte fondi on line e una specie di telethon “come dimostra la campagna per Jabhat al-Nusra (ramo di al Qaida in Siria) intitolata Jahed Bimalak (Fai la jihad con il tuo denaro), che ha raccolto fondi per armamenti via Telegram e Whatsapp”. E non mancano campagne “pubblicitarie” dal sito web Akhbar al-Muslimin specializzato nel pubblicare notizie dell’Isis, che chiedono donazioni per la Jihad in criptovalute.  

Fausto Biloslavo


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