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Articolo
25 marzo 2020 - Interni - Italia - Panorama |
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| Il Garante dei detenuti che garantisce per tutti ma non per gli agenti |
L’ultima trovata di Mauro Palma in tempi di emergenza coronavirus è sui clandestini da espellere nei Centri di permanenza temporanea. Il “Garante nazionale dei diritti dei detenuti e delle persone private dalla libertà personale”, ipotizza che i migranti irregolari sarebbero soggetti ad un “illecito trattenimento” e andrebbero lasciati andare non si sa bene dove. E perché? La tesi di Palma messa nero su bianco in una comunicazione al ministero dell’Interno è disarmante: “A seguito dell’emergenza Covid-19 (…) diversi paesi hanno disposto il blocco dei voli da e per l’Italia, interrompendo quindi anche quelli di rimpatrio forzato”. Per questo motivo il garante ha chiesto al Viminale di valutare \\\"la necessità di una cessazione anticipata del trattenimento di coloro che, essendo in una situazione di impossibile effettivo rimpatrio, vedono configurarsi la propria posizione come “illecito trattenimento””. Da quando è scoppiata l’epidemia il garante più “pazzo” del mondo è intervenuto sulla quarantena degli italiani rimpatriati dalla Cina accennando alla tortura, in seguito alla rivolta nelle carceri a favore dei detenuti, sui clandestini che non possiamo espellere e addirittura sulle case di riposo preoccupato dell’isolamento, necessario, per gli anziani. “Un conto è fare il garante dei detenuti e un conto è considerare l’amministrazione carceraria dello stato un nemico da abbattere. Per non parlare delle incursioni in altri ambiti. Palma è molto ideologizzato e purtroppo, oltre ad essere prevenuto, ha un potere di influenza enorme” spiega a Panorama un funzionario in prima linea sul fronte delle carceri, che ha avuto a che fare con il personaggio. Baffo e capelli brizzolati, classe 1948, Palma è un matematico in origine sempre vicino alla sinistra non proprio moderata. Negli anni settanta scriveva su Ombre rosse, rivista contigua al movimento studentesco pesanti analisi sulla lotta di classe nelle università. Da sempre sodale del quotidiano il Manifesto seguì il processo 7 aprile ad Autonomia operaia e Toni Negri per il mensile Pace e guerra diretto da Luciana Castellina e Stefano Rodotà. Autore di saggi di diritto sulla privazione della libertà personale è stato insignito di lauree honoris causa in Giurisprudenza a Buenos Aires e dall’università Roma tre. Nel 1985 ha fondato la rivista Antigone, che diventerà un’associazione di punta nella difesa a spada tratta dei diritti dei detenuti. Nel 2009 si è candidato, senza successo, alle elezioni europee come indipendente di Sel, Sinistra ecologia libertà. Il conduttore radiofonico Giuseppe Cruciani cita Palma nel suo libro “Gli amici del terrorista” Cesare Battisti perché parlava di “maggiore benevolenza” per “il delitto politicamente motivato” fin dai tempi dei greci. Quando Battisti è stato finalmente estradato in Italia dal Brasile, dopo una lunga latitanza, Palma ha stigmatizzato il video dell’attuale ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, che assieme all’allora responsabile del Viminale, Matteo Salvini sono stati accusati di avere “spettacolarizzato” l’evento. Nel 2016 Palma viene nominato dal presidente della Repubblicaa, Sergio Mattarella, garante nazionale per i detenuti. I suoi uffici sono messi a disposizione a Roma proprio dal ministero della Giustizia. Fin dall’inizio dell’epidemia, quando il contagio non era ancora esploso in Italia, Palma è intervenuto nell’emergenza nella maniera più assurda. Il 3 febbraio ha inviato una lettera al responsabile della Protezione civile Angelo Borrelli allarmato dai “diritti” degli italiani evacuati dalla Cina dall’Aeronautica militare e in quarantena nella cittadella militare della Cecchignola a Roma. Pur spiegando che sicuramente sarà tutto a posto è riuscito a citare il “protocollo Onu della Convenzione contro la tortura” nella richiesta di dettagliate informazioni sull’isolamento dei connazionali. Palma voleva sapere “la disponibilità di mezzi per comunicare all’esterno (…) la possibilità di colloqui con i propri parenti (…) gli strumenti o attività di intrattenimento quotidiano (giornali, tv)” come se fossero prigionieri. \\\"Nonostante l’emergenza abbiamo dovuto perdere tempo a rispondere indicando i metri quadri delle stanze per la quarantena e altre amenità - spiega una fonte militare - Sembrava che il garante avesse scambiato la Cecchignola per Guantanamo. Cose da non credere”. Palma non si preoccupa solo dei 425 clandestini presenti nei Centri di permanenza per i rimpatri, ma ben prima del virus mandava a controllare le supposte privazioni di libertà dei migranti raccolti al largo della Libia a bordo di nave Diciotti. Senza preoccuparsi dello sconfinamento di competenze censurava il governo per il ritardato attracco a Siracusa di Sea watch, la nave dell’omonima Ong tedesca. L’intervento più stupefacente per l’emergenza virus riguarda le case di riposo. Il decreto del governo dell’8 marzo limita «l\\\'accesso di parenti e visitatori” nel tentativo di fermare il contagio che uccide gli anziani come mosche. Il garante, \\\"pur ritenendo le restrizioni opportune al fine di prevenire la diffusione della pandemia\\\" da coronavirus, manifesta la propria \\\"preoccupazione in merito alle ripercussioni che tali limitazioni possono avere all\\\'interno delle strutture per persone con disabilità e anziane, se non opportunamente monitorate e controllate”. Palma tuttologo sottolinea che la situazione \\\"espone, infatti, a elevato stress sia gli ospiti che gli operatori”. E paventa il peggio, ovvero “un incremento del rischio di comportamenti conflittuali, di maltrattamento o di abuso degli strumenti di contenzione”. Forse l’emergenza al momento è diversa: i 300mila anziani ospiti delle case di riposo in Italia sono a rischio soprattutto nelle zone del contagio. E l’unica possibilità è isolarli garantendo agli operatori le protezioni necessarie per poterli aiutare favorendo meno contatti con l’esterno. Il cavallo di battaglia di Palma sono le carceri e dopo le rivolte spinge al massino per far liberare più detenuti possibili. In 49 istituti di 14 regioni ci sono state proteste, più o meno gravi. Le rivolte sarebbero state scatenate da paure e restrizioni ai colloqui con i familiari legati al contagio. Palma è subito intervenuto a difesa dei detenuti chiedendo per tutti, pure i più pericolosi, “la possibilità di video-telefonate, in quanto sostitutiva di colloqui visivi diretti”. Il garante ha ammesso che i 13 morti delle rivolte “sono riconducibili a ingestione e abusi di farmaci e/o metadone” delle farmacie in carcere depredate dai rivoltosi. In pratica si sono suicidati tramite overdose, ma Palma sta “chiedendo informazioni alle Procure circa l\\\'apertura delle indagini in merito, al fine di proporre la presentazione del Garante nazionale come persona offesa”. Sui 40 agenti penitenziari feriti o intossicati durante le rivolte non ha speso neppure una parola. “Siamo inferociti nei confronti dei garanti, sia nazionale che i rappresentanti regionali. Questo è un paese alla rovescia: noi servitori dello Stato sotto attacco e chi è in carcere per aver compiuto reati viene tutelato in tutto e per tutto” si lamenta con Panorama Donato Capece, segretario del sindacato Sappe degli agenti penitenziari. D’altro canto Palma nel 2012 scriveva sul Manifesto un dettagliato articolo su casi reali, ma che non rappresentano la prassi, titolato senza mezzi termini “L’Italia tortura”. Lo scorso dicembre ha fatto fuoco e fiamme con il ministro della Giustizia Bonafede, per un video di addestramento degli agenti penitenziari troppo combat. Dopo le rivolte sono state distribuite nelle carceri 100mila mascherine. Il 14 marzo a Como, un avviso, su carta intestata del ministero della Giustizia, invitava “tutto il personale” a non gettare le mascherine, solitamente monouso, perché vanno “riutilizzate in quanto l’Amministrazione è sprovvista”. Capece ammette sconsolato: “Le mascherine sono già esaurite ed in molti casi i direttori ordinano di evitare di usarle per non preoccupare i detenuti. Siamo noi che avremmo bisogno di un garante”. Fausto Biloslavo |
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05 aprile 2020 | Tg5 | reportage
Virus, il fronte che resiste in Friuli-Venezia Giulia
Fausto Biloslavo
TRIESTE - “Anche noi abbiamo paura. E’ un momento difficile per tutti, ma dobbiamo fare il nostro dovere con la maggiore dedizione possibile” spiega Demis Pizzolitto, veterano delle ambulanze del 118 nel capoluogo giuliano lanciate nella “guerra” contro il virus maledetto. La battaglia quotidiana inizia con la vestizione: tuta bianca, doppi guanti, visiera e mascherina per difendersi dal contagio. Il veterano è in coppia con Fabio Tripodi, una “recluta” arrivata da poco, ma subito spedita al fronte. Le due tute bianche si lanciano nella mischia armati di barella per i pazienti Covid. “Mi è rimasta impressa una signora anziana, positiva al virus, che abbiamo trasportato di notte - racconta l’infermiere Pizzolitto - In ambulanza mi ha raccontato del marito invalido rimasto a casa. E soffriva all’idea di averlo lasciato solo con la paura che nessuno si sarebbe occupato di lui”.
Bardati come due marziani spariscono nell’ospedale Maggiore di Trieste, dove sono ricoverati un centinaio di positivi, per trasferire un infetto che ha bisogno di maggiori cure. Quando tornano caricano dietro la barella e si chiudono dentro l’ambulanza con il paziente semi incosciente. Si vede solo il volto scavato che spunta dalle lenzuola bianche. Poi via a sirene spiegate verso l’ospedale di Cattinara, dove la terapia intensiva è l’ultima trincea per fermare il virus.
Il Friuli-Venezia Giulia è il fronte del Nord Est che resiste al virus grazie a restrizioni draconiane, anche se negli ultimi giorni la gente comincia ad uscire troppo di casa. Un decimo della popolazione rispetto alla Lombardia ha aiutato a evitare l’inferno di Bergamo e Brescia. Il 4 aprile i contagiati erano 1986, i decessi 145, le guarigioni 220 e 1103 persone si trovano in isolamento a casa. Anche in Friuli-Venezia Giulia, come in gran parte d’Italia, le protezioni individuali per chi combatte il virus non bastano mai. “Siamo messi molto male. Le stiamo centellinando. Più che con le mascherine abbiamo avuto grandi difficoltà con visiere, occhiali e tute” ammette Antonio Poggiana, direttore generale dell’Azienda sanitaria di Trieste e Gorizia. Negli ultimi giorni sono arrivate nuove forniture, ma l’emergenza riguarda anche le residenze per anziani, flagellate dal virus. “Sono “bombe” virali innescate - spiega Alberto Peratoner responsabile del 118 - Muoiono molti più anziani di quelli certificati, anche 4-5 al giorno, ma non vengono fatti i tamponi”.
Nell’ospedale di Cattinara “la terapia intensiva è la prima linea di risposta contro il virus, il nemico invisibile che stiamo combattendo ogni giorno” spiega Umberto Lucangelo, direttore del dipartimento di emergenza. Borse sotto gli occhi vive in ospedale e da separato in casa con la moglie per evitare qualsiasi rischio. Nella trincea sanitaria l’emergenza si tocca con mano. Barbara si prepara con la tuta anti contagio che la copre dalla testa ai piedi. Un’altra infermiera chiude tutti i possibili spiragli delle cerniere con larghe strisce di cerotto, come nei film. Simile ad un “palombaro” le scrivono sulla schiena il nome e l’orario di ingresso con un pennarello nero. Poi Barbara procede in un’anticamera con una porta a vetri. E quando è completamente isolata allarga le braccia e si apre l’ingresso del campo di battaglia. Ventuno pazienti intubati lottano contro la morte grazie agli angeli in tuta bianca che non li mollano un secondo, giorno e notte. L’anziano con la chioma argento sembra solo addormentato se non fosse per l’infinità di cannule infilate nel corpo, sensori e macchinari che pulsano attorno. Una signora è coperta da un telo blu e come tutti i pazienti critici ripresa dalle telecamere a circuito chiuso.
Mara, occhioni neri, visiera e mascherina spunta da dietro la vetrata protettiva con uno sguardo di speranza. All’interfono racconta l’emozione “del primo ragazzo che sono riuscito a svegliare. Quando mi ha visto ha alzato entrambi i pollici in segno di ok”. E se qualcuno non ce la fa Mara spiega “che siamo preparati ad accompagnare le persone verso la morte nella maniera più dignitosa. Io le tengo per mano per non lasciarle sole fino all’ultimo momento”.
Erica Venier, la capo turno, vuole ringraziare “con tutto il cuore” i triestini che ogni giorno fanno arrivare dolci, frutta, generi di conforto ai combattenti della terapia intensiva. Graziano Di Gregorio, infermiere del turno mattutino, è un veterano: “Dopo 22 anni di esperienza non avrei mai pensato di trovarmi in una trincea del genere”. Il fiore all’occhiello della rianimazione di Cattinara è di non aver perso un solo paziente, ma Di Gregorio racconta: “Infermieri di altre terapie intensive hanno dovuto dare l’estrema unzione perchè i pazienti sono soli e non si può fare diversamente”.
L’azienda sanitaria sta acquistando una trentina di tablet per cercare di mantenere un contatto con i familiari e permettere l’estremo saluto. Prima di venire intubati, l’ultima spiaggia, i contagiati che hanno difficoltà a respirare sono aiutati con maschere o caschi in un altro reparto. Il direttore, Marco Confalonieri, racconta: “Mio nonno era un ragazzo del ’99, che ha combattuto sul Piave durante il primo conflitto mondiale. Ho lanciato nella mischia 13 giovani appena assunti. Sono i ragazzi del ’99 di questa guerra”.
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12 maggio 2020 | Tg5 | reportage
L'infermiera sopravvissuta al virus
L’infermiera ha contratto il virus da un paziente anziano nell’ospedale Maggiore di Trieste
A casa non riusciva più a respirare ed è stata trasportata d’urgenza in ospedale
Il figlio, soldato della Nato, era rimasto bloccato sul fronte baltico dall’emergenza virus con l’appartamento pieno di medicine l’incubo del contagio non l’abbandonerà mai
Due mesi dopo il contagio Svetlana è negativa al virus ma ancora debole e chiusa in casa
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29 dicembre 2011 | SkyTG24 | reportage
Almerigo ricordato 25 anni dopo
Con un bel gesto, che sana tante pelose dimenticanze, il presidente del nostro Ordine,Enzo Iacopino, ricorda davanti al premier Mario Monti, Almerigo Grilz primo giornalista italiano caduto su un campo di battaglia dopo la fine della seconda guerra mondiale, il 19 maggio 1987 in Mozambico.
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27 gennaio 2020 | Radio 1 Italia sotto inchiesta | intervento |
Italia
Esercito e siti ebraici
Fausto Biloslavo
I nostri soldati rispettano la giornata della Memoria dell’Olocausto non solo il 27 gennaio, ma tutto l’anno. L’esercito, con l’operazione Strade sicure, schiera 24 ore al giorno ben 700 uomini in difesa di 58 siti ebraici sul territorio nazionale. Tutti obiettivi sensibili per possibile attentati oppure oltraggi anti semiti.
“Per ora non è mai accaduto nulla anche grazie alla presenza dei militari, che serve da deterrenza e non solo. Il senso di sicurezza ha evitato episodi di odio e minacce ripetute come in Francia, che rischiano di provocare un esodo della comunità ebraica” spiega una fonte militare de il Giornale.
I soldati, che si sono fatti le ossa all’estero, sorvegliano, quasi sempre con presidi fissi, 32 sinagoghe o tempi ebraici, 9 scuole, 4 musei e altri 13 siti distribuiti in tutta Italia, ma soprattutto al nord e al centro. La città con il più alto numero di obiettivi sensibili, il 41%, è Milano. Non a caso il comandante del raggruppamento di Strade sicure, come in altre città, è ufficialmente invitato alle celebrazioni del 27 gennaio, giorno della Memoria.
Lo scorso anno, in occasione dell’anniversario della nascita dello Stato di Israele, il rappresentante della comunità ebraica di Livorno, Vittorio Mosseri, ha consegnato una targa al comandante dei paracadustisti. “Alla brigata Folgore con stima e gratitudine per il servizio di sicurezza prestato nell’ambito dell’operazione Strade sicure contribuendo con attenzione e professionalità al sereno svolgimento delle attività della nostro comunità” il testo inciso sulla targa.
In questi tempi di spauracchi anti semiti l’esercito difende i siti ebraici in Italia con un numero di uomini praticamente equivalente a quello dispiegato in Afghanistan nel fortino di Herat. Grazie ad un’esperienza acquisita all’estero nella protezione delle minoranze religiose, come l’antico monastero serbo ortodosso di Decani in Kosovo.
“In ogni città dove è presente la comunità ebraica esiste un responsabile della sicurezza, un professionista che collabora con le forze dell’ordine ed i militari per coordinare al meglio la vigilanza” spiega la fonte del Giornale. Una specie di “assessore” alla sicurezza, che organizza anche il sistema di sorveglianza elettronica con telecamere e sistemi anti intrusione di avanguardia su ogni sito. Non solo: se in zona appare un simbolo o una scritta anti semita, soprattuto in arabo, viene subito segnalata, fotografata, analizzata e tradotta. “I livelli di allerta talvolta si innalzano in base alla situazione internazionale” osserva la fonte militare. L’ultimo allarme ha riguardato i venti di guerra fra Iran e Stati Uniti in seguito all’eliminazione del generale Qassem Soleimani.
Roma è la seconda città per siti ebraici presidiati dai militari compresi asili, scuole e oratori. Le sinagoghe sono sorvegliate pure a Napoli, Verona, Trieste e quando necessario vengono disposte le barriere di cemento per evitare attacchi con mezzi minati o utilizzati come arieti. A Venezia i soldati garantiscono la sicurezza dello storico ghetto. A Livorno e in altre città sono controllati anche i cimiteri ebraici. Una residenza per anziani legata alla comunità è pure nella lista dei siti protetti a Milano. Ed i militari di Strade sicure nel capoluogo lombardo non perdono d’occhio il memoriale della Shoah, lo sterminio degli ebrei voluto da Hitler.
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