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03 giugno 2020 - Esteri - Italia - Panorama
Libia il bottino da spartire
Fausto Biloslavo
Aerei russi, altolà americano, militari turchi sempre più coinvolti, mercenari da tutte le latitudini e Italia fuori gioco. Non solo: sulla Libia travolta dal conflitto aleggia lo spettro della spartizione. L’uomo non più così forte della grande regione orientale della Cirenaica, Khalifa Haftar, rischia di venire cacciato dalla Tripolitania, a ovest, davanti all’avanzata del governo di Fayez el Serraj grazie al pesante appoggio militare del “sultano” Erdogan.
Il generale, che sta perdendo la battaglia per la conquista della capitale iniziata nell’aprile 2019, ha dichiarato la “guerra santa” annunciando che “gli interessi turchi sono obiettivi legittimi e non ci sarà alcuna pietà”. In soccorso ad Haftar è arrivata il 19 maggio nella base libica di al Jufra, una squadriglia di caccia bombardieri russi, sei Mig 29 e due Sukhoi 24, che sarebbero decollati da Astrakhan nel Caucaso settentrionale. Poi hanno fatto scalo in Iran diretti alla base di Hmeimim in Siria, dove sono stati ridipinti per evitare di identificarne l’origine. Un’altra pista è che siano stati venduti dalla Bielorussa agli Emirati arabi, gli alleati più irriducibili di Haftar. In entrambi i casi Mosca avrebbe dato il via libera all’operazione e ai comandi ci sarebbero ex piloti del blocco russo. I libici non hanno personale per aerei del genere.
“E’ una mossa di deterrenza: se Haftar viene espulso dalla Tripolitania nessuno deve sognarsi di superare la linea rossa marciando sulla Cirenaica” spiega una fonte diplomatica di Panorama a Tripoli. Il governo Serraj è ringalluzzito dalle vittorie. Nella capitale il portavoce del ministero degli Esteri, Mohamed Qablawi, ha ribadito l’intenzione di \"estendere il controllo della sicurezza su tutto il territorio libico compresa la Cirenaica”.
Il generale Stephen Townsend, che guida il comando americano Africom, è più netto sullo zampino di Mosca in difesa di Haftar: “La Russia sta chiaramente cercando di ribaltare la situazione a suo favore in Libia come abbiamo già visto in Siria”. In realtà il Cremlino se da una parte mostra i muscoli, dall’altra continua a trattare con i turchi per spartirsi l’influenza in Libia con telefonate fra i presidenti Vladimir Putin e Recep Tayyip Erdogan oltre ai loro ministri degli Esteri. “Uno scenario di spartizione fra Tripolitania e Cirenaica è possibile, ma complicato dalla divisione delle risorse energetiche - fa notare Paolo Quercia, fondatore del centro studi CeNASS - La Casa Bianca, però, potrebbe lasciare carta bianca all’alleato turco, che sogna la Grandeur ottomana nel Mediterraneo, a parte che mantenga le distanze dalla Russia”.
A Mosca e i suoi alleati arabi come l’Egitto interessa il controllo della Cirenaica forziere petrolifero del paese. Il Cremlino vorrebbe un porto sul “mare nostrum” come Bengasi, dopo quello di Tartus in Siria. In questi scenari “l’Italia è rimasta la margine e appare fuori gioco” sottolinea Quercia. Per chi lavora come nostra “antenna” sul campo la rabbia è forte: “Abbiamo ceduto la Libia ai turchi senza battere ciglio. Il virus è stato un problema, ma pure una scusa per non occuparsi della crisi. Per l’Italia è un danno enorme”. Da Roma una fonte militare rincara la dose: “Il governo vuole ritirarsi dalla Libia? Che lo dica chiaramente e prenda una decisione chiara. Altrimenti il contingente italiano è a rischio”. La nave della Marina militare in appoggio della Guardia costiera a Tripoli ha dovuto per due volte negli ultimi mesi salpare verso il largo perchè erano esplosi proiettili di artiglieria di Haftar a soli 250 metri. A Misurata i 300 militari che presidiano l’ospedale da campo all’aeroporto vedono arrivare i rifornimenti bellici turchi e i voli che portano i “volontari” siriani reclutati e armati dal Mit, il servizio segreto di Ankara, per combattere in Libia. A seconda delle fonti si va da 3000 a 5000 uomini, ma anche i russi hanno cominciato a fare lo stesso inviando al fianco di Haftar i siriani filo Assad. “Quelli dei turchi a Misurata passano sotto il naso degli italiani - conferma una fonte di Panorama a Tripoli - E quando il generale sarà respinto in Cirenaica cosa faranno? I libici non li vogliono se non come carne da cannone. Piuttosto che tornare a casa gran parte andrà in Italia sui barconi”. E fra le reclute siriane dei turchi non mancano pericolosi jihadisti come Mohamed al-Ruwaidani catturato il 24 maggio dagli uomini di Haftar, che lo hanno immortalato in un video.
In prima linea l’autoproclamato Esercito nazionale libico del generale sta subendo una serie di rovesci iniziati con l’offensiva governativa di Pasqua, che ha ripreso il controllo di tutta la costa da Tripoli al confine con la Tunisia. I droni Bayraktar Tb2, prodotti dal genero di Erdogan e pilotati a distanza dai consiglieri militari turchi hanno aperto la strada alle truppe. I caccia ed i droni cinesi degli Emirati arabi, che appoggiano Haftar sono stati abbattuti o tenuti alla larga dalla flotta di Ankara davanti alla Tripolitania. Il 18 maggio è caduta la strategica base aera di al Watiya, puntello dell’assedio di Tripoli. La guerra elettronica e i bombardamenti turchi hanno reso inoffensivi i Pantsir S-1, sistemi di difesa aerea russi arrivati dagli Emirati. Uno dei semoventi catturato intatto è stato fatto sfilare come un trofeo nella strade di Tripoli.
Adesso toccherà a Tarhuna, l’ultima roccaforte di Haftar controllata dai fratelli al Khani a sud di Tripoli, che il governo vuole far crollare dall’interno con accordi sotto banco. Per questo motivo i mercenari russi e di altre ex repubbliche sovietiche del gruppo Wagner, circa 1400 uomini, si stanno riposizionando a sud di Bani Walid, un ex caposaldo di Gheddafi. Il generale Haftar potrebbe tentare un ultimo colpo di coda con un attacco verso Misurata, dove si trova il grosso del contingente italiano, ma i turchi farebbero intervenire i loro caccia bombardieri F-16.
Le vittorie governative hanno riportato sulla costa della Tripolitania “liberata” a Sabrata e Zhawia, hub di partenza dei migranti, i vecchi boss del traffico di esseri umani come El Gospi e Ahmed al-Dabbashi detto \'Ammu\' (lo zio). Non è un caso che solo in maggio oltre 1000 migranti abbiano cercato di raggiungere l’Italia e 400 siano stati riportati indietro dalla Guardia costiera libica secondo l’Organizzazione mondiale per le migrazioni. Se non partono dalla Tripolitania i libici li muovono a piedi in Tunisia per farli imbarcare grazie ad accordi con i trafficanti locali.
E Malta, quando arrivano i barconi, li dirotta verso l’Italia. La piccola isola europea, istigata dai turchi, sta mettendo i bastoni fra le ruote alla già poco utile missione Irini bloccando la nomina del comandante in mare, che dovrebbe essere un greco. Ufficialmente i maltesi vogliono più aiuti per fronteggiare gli sbarchi dei migranti. L’operazione aeronavale Ue deve garantire l’embargo delle armi sotto il comando dell’ammiraglio italiano, Fabio Agostini dal quartier generale a Roma. A fine maggio poteva contare su una sola nave francese e due aeroplani ad elica. A breve dovrebbero arrivare a dare il cambio un’unità italiana e una greca. Per Fathi Bashaga, il ministro dell’interno del governo di Tripoli è “una missione illegale” perchè favorisce Haftar che riceve armi via terra dal confinante Egitto e con gli aerei da trasporto. Una fonte qualificata delle operazioni Ue rivela che Erdogan “sta tenendo sotto schiaffo l’Europa su entrambi i fronti dei migranti. Via terra lungo la rotta balcanica e sul mare con la presenza in Libia. Sono i turchi ad aprire i rubinetti degli arrivi”.
[continua]

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31 ottobre 2021 | Quarta repubblica | reportage
No vax scontri al porto
I primi lacrimogeni rimbalzano sull'asfalto e arditi No Pass cercano di ributtarli verso il cordone dei carabinieri che sta avanzando per sgomberare il varco numero 4 del porto di Trieste. I manifestanti urlano di tutto «merde, vergogna» cercando pietre e bottiglie da lanciare contro le forze dell'ordine. Un attivista ingaggia lo scontro impossibile e viene travolto dalle manganellate. Una volta crollato a terra lo trascinano via oltre il loro cordone. Scene da battaglia urbana, il capoluogo giuliano non le vedeva da decenni. Portuali e No Pass presidiavano da venerdì l'ingresso più importante dello scalo per protestare contro l'introduzione obbligatoria del lasciapassare verde. In realtà i portuali, dopo varie spaccature, sono solo una trentina. Gli altri, che arriveranno fino a 1.500, sono antagonisti e anarchici, che vogliono la linea dura, molta gente venuta da fuori, più estremisti di destra. Alle 9 arrivano in massa le forze dell'ordine con camion-idranti e schiere di agenti in tenuta antisommossa. Una colonna blu che arriva da dentro il porto fino alla sbarra dell'ingresso. «Lo scalo è porto franco. Non potevano farlo. È una violazione del trattato pace (dello scorso secolo, nda)» tuona Stefano Puzzer detto Ciccio, il capopopolo dei portuali. Armati di pettorina gialla sono loro che si schierano in prima linea seduti a terra davanti ai cordoni di polizia. La resistenza è passiva e gli agenti usano gli idranti per cercare di far sloggiare la fila di portuali. Uno di loro viene preso in pieno da un getto d'acqua e cade a terra battendo la testa. Gli altri lo portano via a braccia. Un gruppo probabilmente buddista prega per evitare lo sgombero. Una signora si avvicina a mani giunte ai poliziotti implorando di retrocedere, ma altri sono più aggressivi e partono valanghe di insulti. Gli agenti avanzano al passo, metro dopo metro. I portuali fanno da cuscinetto per tentare di evitare incidenti più gravi convincendo la massa dei No Pass, che nulla hanno a che fare con lo scalo giuliano, di indietreggiare con calma. Una donna alza le mani cercando di fermare i poliziotti, altri fanno muro e la tensione sale alimentata dal getto degli idranti. «Guardateci siamo fascisti?» urla un militante ai poliziotti. Il nocciolo duro dell'estrema sinistra seguito da gran parte della piazza non vuole andarsene dal porto. Quando la trattativa con il capo della Digos fallisce la situazione degenera in scontro aperto. Diego, un cuoco No Pass, denuncia: «Hanno preso un mio amico, Vittorio, per i capelli, assestandogli una manganellata in faccia». Le forze dell'ordine sgomberano il valico, ma sul grande viale a ridosso scoppia la guerriglia. «Era gente pacifica che non ha alzato un dito - sbotta Puzzer - È un attacco squadrista». I più giovani sono scatenati e spostano i cassonetti dell'immondizia per bloccare la strada scatenando altre cariche degli agenti. Donne per nulla intimorite urlano «vergognatevi» ai carabinieri, che rimangono impassibili. In rete cominciano a venire pubblicati post terribili rivolti agli agenti: «Avete i giorni contati. Se sai dove vivono questi poliziotti vai a ucciderli».Non a caso interviene anche il presidente Sergio Mattarella: «Sorprende e addolora che proprio adesso, in cui vediamo una ripresa incoraggiante esplodano fenomeni di aggressiva contestazione». Uno dei portuali ammette: "Avevamo detto ai No Pass di indietreggiare quando le forze dell'ordine avanzavano ma non ci hanno ascoltati. Così la manifestazione pacifica è stata rovinata». Puzzer raduna le «truppe» e i rinforzi, 3mila persone, in piazza Unità d'Italia. E prende le distanze dagli oltranzisti: «Ci sono gruppi che non c'entrano con noi al porto che si stanno scontrando con le forze dell'ordine». Non è finita, oltre 100 irriducibili si scatenano nel quartiere di San Vito. E riescono a bloccare decine di camion diretti allo scalo con cassonetti dati alle fiamme in mezzo alla strada. Molti sono vestiti di nero con il volto coperto simili ai black bloc. La battaglia sul fronte del porto continua fino a sera.

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24 novembre 2015 | Rai 1 Storie vere | reportage
Terrorismo in Europa
Dopo gli attacchi di Parigi cosa dobbiamo fare per estirpare la minaccia in Siria, Iraq e a casa nostra

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05 febbraio 2015 | Porta a Porta | reportage
IN RICORDO DELLE FOIBE E L'ESODO LA PUNTATA DI PORTA A PORTA


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27 gennaio 2020 | Radio 1 Italia sotto inchiesta | intervento
Italia
Esercito e siti ebraici
Fausto Biloslavo I nostri soldati rispettano la giornata della Memoria dell’Olocausto non solo il 27 gennaio, ma tutto l’anno. L’esercito, con l’operazione Strade sicure, schiera 24 ore al giorno ben 700 uomini in difesa di 58 siti ebraici sul territorio nazionale. Tutti obiettivi sensibili per possibile attentati oppure oltraggi anti semiti. “Per ora non è mai accaduto nulla anche grazie alla presenza dei militari, che serve da deterrenza e non solo. Il senso di sicurezza ha evitato episodi di odio e minacce ripetute come in Francia, che rischiano di provocare un esodo della comunità ebraica” spiega una fonte militare de il Giornale. I soldati, che si sono fatti le ossa all’estero, sorvegliano, quasi sempre con presidi fissi, 32 sinagoghe o tempi ebraici, 9 scuole, 4 musei e altri 13 siti distribuiti in tutta Italia, ma soprattutto al nord e al centro. La città con il più alto numero di obiettivi sensibili, il 41%, è Milano. Non a caso il comandante del raggruppamento di Strade sicure, come in altre città, è ufficialmente invitato alle celebrazioni del 27 gennaio, giorno della Memoria. Lo scorso anno, in occasione dell’anniversario della nascita dello Stato di Israele, il rappresentante della comunità ebraica di Livorno, Vittorio Mosseri, ha consegnato una targa al comandante dei paracadustisti. “Alla brigata Folgore con stima e gratitudine per il servizio di sicurezza prestato nell’ambito dell’operazione Strade sicure contribuendo con attenzione e professionalità al sereno svolgimento delle attività della nostro comunità” il testo inciso sulla targa. In questi tempi di spauracchi anti semiti l’esercito difende i siti ebraici in Italia con un numero di uomini praticamente equivalente a quello dispiegato in Afghanistan nel fortino di Herat. Grazie ad un’esperienza acquisita all’estero nella protezione delle minoranze religiose, come l’antico monastero serbo ortodosso di Decani in Kosovo. “In ogni città dove è presente la comunità ebraica esiste un responsabile della sicurezza, un professionista che collabora con le forze dell’ordine ed i militari per coordinare al meglio la vigilanza” spiega la fonte del Giornale. Una specie di “assessore” alla sicurezza, che organizza anche il sistema di sorveglianza elettronica con telecamere e sistemi anti intrusione di avanguardia su ogni sito. Non solo: se in zona appare un simbolo o una scritta anti semita, soprattuto in arabo, viene subito segnalata, fotografata, analizzata e tradotta. “I livelli di allerta talvolta si innalzano in base alla situazione internazionale” osserva la fonte militare. L’ultimo allarme ha riguardato i venti di guerra fra Iran e Stati Uniti in seguito all’eliminazione del generale Qassem Soleimani. Roma è la seconda città per siti ebraici presidiati dai militari compresi asili, scuole e oratori. Le sinagoghe sono sorvegliate pure a Napoli, Verona, Trieste e quando necessario vengono disposte le barriere di cemento per evitare attacchi con mezzi minati o utilizzati come arieti. A Venezia i soldati garantiscono la sicurezza dello storico ghetto. A Livorno e in altre città sono controllati anche i cimiteri ebraici. Una residenza per anziani legata alla comunità è pure nella lista dei siti protetti a Milano. Ed i militari di Strade sicure nel capoluogo lombardo non perdono d’occhio il memoriale della Shoah, lo sterminio degli ebrei voluto da Hitler.

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