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Commento
07 giugno 2021 - Prima - Italia - Il Giornale |
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| Vogliono farci cantare “Bella ciao” per legge |
Il migliore è Marco Rizzo, l\\\'ultimo «panda» comunista, che sbugiarda il Pd per la proposta di legge di rendere istituzionale Bella ciao il 25 aprile. «Classico antifascismo prêt-à-porter - affonda il segretario del Partito comunista -. Non è un caso che proposte simili vengano alla luce sempre appena prima di un periodo elettorale. Adesso ci sono (...) (...) le elezioni amministrative». E rincara la dose, ricordando che all\\\'ultimo ricorso alle urne Pd e sinistra gridavano al «lupo» Salvini e al rischio onda nera, ma «adesso governano con la Lega». Una nutrita pattuglia di deputati del Partito democratico assieme a qualche stampella di Italia viva, dei 5 Stelle e di Liberi e uguali hanno depositato alla Camera la proposta di legge che prevede «il riconoscimento da parte della Repubblica della canzone Bella ciao quale espressione popolare dei valori fondanti della propria nascita e del proprio sviluppo». E impone che «sia eseguita, dopo l\\\'inno nazionale, in occasione delle cerimonie ufficiali per i festeggiamenti del 25 aprile, anniversario della Liberazione dal nazifascismo». Bella ciao, spesso e volentieri anche prima o al posto dell\\\'Inno di Mameli, risuona già in occasione del 25 aprile senza aver bisogno di suggelli istituzionali. Le orecchiabili strofe sono diventate un\\\'evidente «bandiera» contro chiunque non sia allineato e coperto a sinistra. Bella ciao è stata cantata dalle Sardine di ogni tempo contro gli «uomini neri» che avanzano, da Silvio Berlusconi a Matteo Salvini, passando per Giorgia Meloni. E pure dalla piazza Lgbt contro chi crede nella famiglia tradizionale e la solita destra mangia diritti, chiodo fisso del mondo arcobaleno. Basterebbe questo per capire quanto sia assurdo voler rendere istituzionale e fondante per la Repubblica, al pari dell\\\'inno nazionale, una canzone così divisiva, utilizzata come stendardo politico. Per di più è tragicomico il fatto che i partigiani, quelli veri fra i monti, non conoscevano nemmeno una parola di Bella ciao. Giorgio Bocca aveva giustamente dichiarato: «Nei venti mesi della guerra partigiana non ho mai sentito cantare Bella ciao, è stata un\\\'invenzione del Festival di Spoleto» ben dopo la guerra. Non solo: la prima volta che Bella ciao diventa famosa in mezzo mondo è nel 1947, al festival della Gioventù democratica a Praga, dove i sovietici cominciano a mettere in piedi la cortina di ferro. Laura Boldrini, ex presidente della Camera, difende Bella ciao come «canto della Resistenza ed essendo stata questa un moto di popolo è giusto che diventi un inno istituzionale». A Trieste e Gorizia il 25 aprile e la canzone ricordano, a molti, non proprio la liberazione, ma l\\\'occupazione delle truppe di Tito e la deportazione degli italiani fatti sparire per sempre nelle foibe. Lo scorso anno ci avevano provato Piero Fassino e altri del Pd ad imporre Bella ciao nelle scuole. Peccato che i nostri studenti neppure conoscono le parole di Fratelli d\\\'Italia, nonostante la norma che prevede l\\\'insegnamento delle strofe di Mameli. E poi l\\\'idea peggiore per una canzone simbolo «di libertà e resistenza» come Bella ciao è proprio imporla per sigillo istituzionale. Per questo ha avuto un grande successo, più che il 25 aprile, quando la cantavano i protagonisti mascherati della fortunata serie tv, La casa di carta. Fausto Biloslavo |
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12 maggio 2020 | Tg5 | reportage
L'infermiera sopravvissuta al virus
L’infermiera ha contratto il virus da un paziente anziano nell’ospedale Maggiore di Trieste
A casa non riusciva più a respirare ed è stata trasportata d’urgenza in ospedale
Il figlio, soldato della Nato, era rimasto bloccato sul fronte baltico dall’emergenza virus con l’appartamento pieno di medicine l’incubo del contagio non l’abbandonerà mai
Due mesi dopo il contagio Svetlana è negativa al virus ma ancora debole e chiusa in casa
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21 settembre 2012 | La Vita in Diretta | reportage
Islam in Italia e non solo. Preconcetti, paure e pericoli
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16 febbraio 2007 | Otto e Mezzo | reportage
Foibe, conflitto sulla storia
Foibe, conflitto sulla storia
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24 maggio 2010 | Radio Padania Libera | intervento |
Italia
Proselitismo islamico dietro le sbarre
“Penso che sia giusto se alcuni musulmani combattono la guerra santa contro gli americani in paesi che non sono la loro terra”. Dopo un lungo girarci attorno Kamel Adid sorprende un po’ tutti, quando sputa il rospo. La domanda riguardava i mujaheddin, i musulmani pronti a morire per Allah, contro l’invasore infedele. Tre soldati della guerra santa, arrivati un paio di mesi fa da Guantanamo, sono rinchiusi poco più in là, nel reparto di massima sicurezza del carcere di Opera, alle porte di Milano.
Adid è un giovane marocchino di 31 anni con barbetta islamica d’ordinanza e tunica color noce. Nel carcere modello di Opera fa l’imam dei 44 musulmani detenuti, che frequentano una grande sala adibita a moschea. Un predicatore fai da te, che di solito parla un linguaggio moderato e ti guarda con occhioni apparentemente timidi.
Deve scontare ancora due mesi di pena per un reato legato alla droga e da pochi giorni è stato trasferito in un altro istituto. “Quelli che si fanno saltare in aria subiscono il lavaggio del cervello – si affretta a spiegare l’autonominato imam – Noi abbiamo riscoperto la fede in carcere. Pregare ci da conforto, ci aiuta ad avere speranza”.
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25 maggio 2010 | Spazio Radio - Radio 1 | intervento |
Italia
L'Islam nelle carceri italiane
In Italia su oltre 23mila detenuti stranieri, 9840 risultano musulmani, secondo i dati ufficiali. Almeno seimila, però, non si sono dichiarati. Il rapporto di 364 pagine, “La radicalizzazione jihadista nelle istituzioni penitenziarie europee”, realizzato dall’esperto di Islam nella carceri, Sergio Bianchi, ne indica 13mila.
In Italia ci sono circa 80 islamici dietro le sbarre per reati connessi al terrorismo. Dal 2009 li hanno concentrati in quattro istituti di pena: ad Asti, Macomer, Benevento e Rossano. Nel carcere di Opera, invece, sono arrivati Adel Ben Mabrouk, Nasri Riadh e Moez Abdel Qader Fezzani, ex prigionieri di Guantanamo. Chi li controlla ogni giorno racconta che parlano in italiano. La guerra santa in Afghanistan l’hanno abbracciata dopo aver vissuto come extracomunicatori nel nostro paese. Non si possono incontrare fra loro e vivono in celle singole. Pregano regolarmente con molta devozione e hanno mantenuto i barboni islamici.
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03 giugno 2019 | Radio Scarp | intervento |
Italia
Professione Reporter di Guerra
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15 marzo 2018 | Radio Radicale | intervento |
Italia
Missioni militari e interesse nazionale
https://www.radioradicale.it/scheda/535875/missioni-militari-e-interesse-nazionale
Convegno "Missioni militari e interesse nazionale", registrato a Roma giovedì 15 marzo 2018 alle 09:23. L'evento è stato organizzato da Center for Near Abroad Strategic Studies. Sono intervenuti: Paolo Quercia (Direttore del CeNASS, Center for Near Abroad Strategic Studies), Massimo Artini (vicepresidente della Commissione Difesa della Camera dei deputati, Misto - Alternativa Libera (gruppo parlamentare Camera)), Fausto Biloslavo (giornalista, inviato di guerra), Francesco Semprini (corrispondente de "La Stampa" da New York), Arije Antinori (dottore di Ricerca in Criminologia ed alla Sicurezza alla Sapienza Università di Roma), Leonardo di marco (generale di Corpo d'Armata dell'Esercito), Fabrizio Cicchitto (presidente della Commissione Affari esteri della Camera, Area Popolare-NCD-Centristi per l'Europa). Tra gli argomenti discussi: Difesa, Esercito, Esteri, Forze Armate, Governo, Guerra, Informazione, Italia, Ministeri, Peace Keeping, Sicurezza. La registrazione video di questo convegno ha una durata di 2 ore e 46 minuti. Questo contenuto è disponibile anche nella sola versione audio
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03 gennaio 2011 | Radio Capodistria - Storie di bipedi | intervento |
Italia
Gli occhi della guerra
Le orbite rossastre di un bambino soldato, lo sguardo terrorizzato di un prigioniero che attende il plotone di esecuzione, l’ultimo rigagnolo di vita nelle pupille di un ferito sono gli occhi della guerra incrociati in tanti reportage di prima linea.
Dopo l’esposizione in una dozzina di città la mostra fotografica “Gli occhi della guerra” è stata inaugurata a Trieste. Una collezione di immagini forti scattate in 25 anni di reportage da Fausto Biloslavo, Gian Micalessin e Almerigo Grilz, ucciso il 19 maggio 1987 in Mozambico, mentre filmava uno scontro a fuoco. La mostra, che rimarrà aperta al pubblico fino al 20 gennaio, è organizzata dall’associazione Hobbit e finanziata dalla regione Friuli-Venezia Giulia. L’esposizione è dedicata a Grilz e a tutti i giornalisti caduti in prima linea. Il prossimo marzo verrà ospitata a Bruxelles presso il parlamento europeo.Della storia dell'Albatross press agency,della mostra e del libro fotografico Gli occhi della guerra ne parlo a Radio Capodistria con Andro Merkù.
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