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Esclusivo
30 giugno 2021 - Esteri - Afghanistan - Panorama |
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| Afghanistan: cartoline dalla guerra più lunga |
La bandiera di guerra de186° Reggimento Folgore è rientrata in patria da Herat, il 25 giugno, dopo i vent’anni della missione italiana più lunga. In Aghanistan, tomba degli imperi, ho raccontato e vissuto sulla mia pelle tanti reportage dall’invasione sovietica ad oggi. I filo russi mi hanno catturato sbattendomi in galera per 7 mesi e un camion militare ha provato a farmi secco a Kabul riducendomi in fin di vita, ma sono sempre tornato nella mia “seconda patria”. I ricordi, le paure, le emozioni forti si mescolano in queste “cartoline dall’Afghanistan” per Panorama su un conflitto che dura dal 1979 e non è ancora finito. Adesso che ce ne andiamo mi torna alla mente la frase di un comandante talebano: “Voi avete l’orologio, la tabella di marcia, le date per i rinforzi e per il ritiro. Noi abbiamo il tempo. Per questo vinceremo”. L’ARMATA ROSSA Il comandante Ahmadi, armato solo della radio portatile, con capelli e barbone lunghi come Gesù, urla “Allah o akbar”, Dio è grande ed i suoi uomini annidati in un wadi innestano le baionette. Poi scattano all’assalto come i fanti della prima guerra mondiale sul Carso. La paura si mescola all’adrenalina e all’eccitazione di un assalto dirompente, fra morti e feriti, che travolge il campo trincerato. Nei dieci anni di guerra spietata dell’Armata rossa l’assalto alla baionetta dei mujaheddin, alle postazioni governative nella valle di Keran, oltre l’Hindu Kush, quasi al confine con la Cina, è un’indimenticabile cartolina dall’Afghanistan. Il giorno prima davanti a un gigantesco plastico della zona della battaglia il segaligno e leggendario Ahmad Shah Massoud, pizzetto dannunziano, aveva chiesto a uno sparuto manipolo di giornalisti: “Dove volete stare durante l’attacco?”. Il leone del Panjsher che ha resistito alle offensive dei sovietici e ai talebani nella sua indomita valle sarà la prima vittima dell’11 settembre ucciso alla vigilia dell’attacco all’America da due finti giornalisti in realtà terroristi di Al Qaida. VINTA LA GUERRA PERSA LA PACE La bandiera rossa con la falce a martello sventola a Kabul sulla grande parata d’addio agli “sciuravì”, gli invasori russi, che si ritirano da una guerra costata cara. Pochi mesi dopo crolla il muro di Berlino e l’Urss si dissolve per sempre. Nel 1992 i mujaheddin entrano vittoriosi a Kabul, ma dopo avere vinto la guerra contro l’Armata rossa perdono la scommessa della pace scannandosi fra loro. In mezzo alle sventagliate di una mitragliatrice 12.7, la falce della morte, mi arrampico verso il forte di Bala Hissar, che domina la capitale. I giannizzeri uzbechi hanno ordini precisi: “Non fate prigionieri”. E ai nemici uccisi in battaglia tagliano le orecchie per dimostrare al comandate quanti ne hanno fatti fuori. Nell’anarchia i talebani cresciuti in Pakistan hanno gioco facile ad imporsi con il Corano e moschetto. Nell’anno 1419 (per noi 1998) del calendario islamico mi lascio alle spalle le anguste gole del Khyber pass, dove Rudyard Kipling descrisse glorie e tragedie dell\\\\\\\'impero britannico alla conquista dell\\\\\\\'Afghanistan, per entrare in un mondo tornato al Medioevo. A Jalalabad, maulawì Naik Muhammad, un comandante della polizia religiosa tenta di convertirmi mostrandomi orgoglioso “gli strumenti del diavolo”, un cimitero di televisori, antenne e nastri srotolati di cassette della peccaminosa musica occidentale che penzolano da un albero, come se fosse una forca. A Kandahar, “capitale” di mullah Omar, il leader guercio degli studenti guerrieri, dormo nel compound del governatore a fianco della reggia di Osama Bin Laden. Il padrone di casa, Moullah Rahman, gamba di legno per averla persa contro i sovietici, si raccomanda: “Non fotografare la casa dello sceicco”. E’ come chiedere al lupo in un recinto di agnelli di non azzannare le povere bestiole. Fedelissimi mascherati e armati fino ai denti di guardia, alte mura di cinta sovrastate da filo spinato, la “reggia” è resa tale da due pinnacoli ai lati del massiccio portone, che sembrano minareti con la scritta in ferro: “Allah o akbar”. Grazie alla complicità di un anziano autista di risciò, che simula un guasto di fronte all’ingresso, riesco a scattare di nascosto alcune foto della residenza bunker. Il rullino lo occulto nel giaccone, che una volta tornato a casa mia moglie metterà per sbaglio in lavatrice distruggendo lo scoop. IL TRICOLORE SVENTOLA A KABUL Il turbante nero sforacchiato, intriso di sangue, è abbandonato nella polvere. Sul fianco destro della vallata di Shomalì si scatena una battaglia fra carri armati, con i tank anti talebani che avanzano eruttando fiammate ad ogni cannonata. I B 52 americani arrivano ad ondate e scaricano ad alta quota grappoli di bombe che radono al suolo la prima linea alzando un muro di fuoco. La battaglia dura per ore, ma la mattina dopo, il 13 novembre 2001, a due mesi dall’11 settembre il destino mi regala la liberazione di Kabul il giorno del quarantesimo compleanno. Nel parco di Shar i Nau i corpi dei volontari arabi e pachistani di Al Qaida sono riversi in una fogna a cielo aperto. Alcuni cadaveri portano i segni di torture e di esecuzioni sommarie con il classico colpo di pistola alla nuca. Tutti hanno infilato in bocca, nelle narici o nel cranio fracassato delle banconote di afghanì, la valuta locale come segno del disprezzo per chi era al soldo di Osama bin Laden. Mai avrei pensato che su questo caos, nel giro di poche settimane, sarebbe sventolato il tricolore a Kabul. LA GUERRA DI PACE DEGLI ITALIANI L’elisbarco con i fanti dell’aria della brigata Friuli a Bala Murghab circondata dai talebani. Le aspre battaglie dei paracadutisti nella polvere dell’Afghanistan occidentale, dove i veterani dicevano “per noi la sabbia è sempre la stessa da El Alamein”. Gli “X file” ovvero il reportage tabù con i corpi speciali della Task force 45 e la prima ritirata degli alpini dall’inferno di Bakwa. I feriti e il caduto avvolto in un telo mimetico in una foto che sembrava il Vietnam. Tutti ricordi indelebili della guerra di pace dei soldati italiani, che non portavano solo caramelle ai bambini. Da giornalista embedded avevo messo nel conto la trappola esplosiva sulla Barbie 515, nome in codice di uno sterrato fra Farah e Bakwa. Un super blindato Cougar salta in aria come un fuscello sul piatto di pressione sotterrato dai talebani con 50 chili di tritolo. Il drone che sorveglia la colonna dall’alto filma l’esplosione, che alza una terrificante colonna di fumo color terra. Il blindato sembra scomparire e la sensazione all’interno è di una manona gigantesca del Dio talebano che afferra il bestione da 14 tonnellate scuotendolo come una macchinina giocattolo. La pesante corazza del mezzo di fabbricazione Usa e le cinture da formula Uno, per rimanere ancorati ai sedili, ci salvano la pelle. Una volta al sicuro il tenente Davide Secondi pronuncia una proverbiale battuta: “Per un guastatore è il battesimo del fuoco, ma ci aggiungo la comunione e la cresima. Una volta per tutte basta”. LA RIVINCITA TALEBANA La cannonata provoca una fiammata giallo rossa avvolta da una nuvola di fumo. Il pezzo d’artiglieria da 122 millimetri fa tremare il terreno ogni volta che l’ufficiale afghano ordina di fare fuoco. L’obiettivo è un centro di comando talebano a soli 50 chilometri da Kabul, nella provincia di Wardak, porta d’ingresso della capitale. A fine 2019 le forze di sicurezza afghane addestrate e finanziate dalla Nato sono da anni impegnate nel fronteggiare i talebani. Senza l’appoggio aereo occidentale sarebbero state travolte da tempo. Per viaggiare fuori Kabul un occidentale deve camuffarsi facendosi crescere la barba e vestirsi da afghano con i pantaloni a sbuffo e la tunica, altrimenti rischia il rapimento o peggio. Il buio pesto di una notte senza stelle è squarciato dai bagliori rossastri della mitragliatrice pesante sul tetto di un blindato, che sputa raffiche verso valle. I talebani hanno attaccato una base avanzata della polizia ad un passo da Maidan Shar, capoluogo del Wardak. Dietro i sacchetti di sabbia gli agenti di vent’anni, ma già veterani, scaricano un fuoco di copertura d’inferno per dare man forte ai commilitoni nel fondo valle semi assediati. Il comandate, vestito da civile, infila una granata da 80 millimetri dietro l’altra nel tubo di lancio del mortaio. La paga media di un soldato afghano è di 11.500 afghani, meno di 200 euro, per rischiare la vita ogni giorno. Nei periodi più sanguinosi si registrano 300-400 caduti al mese. Dall’inizio del ritiro della Nato basi e avamposti isolati hanno cominciato ad arrendersi uno dietro l’altro. Gli eredi di mullah Omar stanno avanzando dappertutto. Un déjà vu dal ritiro sovietico alla guerra civile degli anni novanta fino all’avvento al potere di mullah Omar. La speranza è che la cartolina dall’Afghanistan dell’11 settembre, data ufficiale per la fine della missione internazionale, non sia la parata della vittoria già annunciata dai talebani. Fausto Biloslavo |
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24 novembre 2001 | Studio Aperto - Italia1 | reportage
Gli orfani di Kabul
Gli orfani di Kabul
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20 settembre 2009 | Domenica Cinque | reportage
I parà di Kabul
Su Canale 5: Più che eroi i paracadutisti caduti in Afghanistan sono soldati che hanno fatto il loro dovere fino in fondo
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18 maggio 2010 | Matrix | reportage
Morire per Kabul?
La guerra di pace dei soldati italiani, che non possiamo perdere. Nuove offensive, negoziati con i talebani e la speranza del disimpegno fra baruffe politiche e provocazioni. Una trasmissione difficile, mentre gli ultimi due alpini caduti stavano rientrando in patria.
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18 settembre 2009 | Radio24 | intervento |
Afghanistan
Morire per Kabul
Un intervento senza ipocrisie sull'Afghanistan dopo l'attentato che ha ucciso sei parà della Folgore.
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14 novembre 2001 | Radio 24 Linea 24 | reportage |
Afghanistan
Le prigioniere sparite
Un centinaio di donne, prigioniere dei talebani, sarebbero sparite dalle segrete di Kabul. Portate via dai loro aguzzini per usarle come schiave.
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12 giugno 2009 | R101 | intervento |
Afghanistan
Soldati italiani nel mirino
Le truppe italiani, assieme all'esercito afghano, espandono il controllo del territorio ed aumentano gli scontri. La fine della raccolta dell'oppio offre soldi e manovalanza per i talebani.
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10 agosto 2009 | Radio24 | reportage |
Afghanistan
Al fronte con gli italiani/ Base Tobruk
Visori notturni e musica a palla nei blindati Lince del convoglio diretto a base Tobruk, nella famigerata provincia di Farah. Il fortino più avanzato sul fronte sud dello schieramento italiano nell’Afghanistan occidentale. Il pericolo, anche di notte, sono le trappole esplosive piazzate lungo le poche strade asfaltate. Un piatto di pressione che attiva l’ordigno al passaggio del blindato o un radiocomando, anche un semplice telefonino, e salti in aria. I ragazzi della 6° compagnia Grifi confidano in San Michele, protettore dei paracadutisti e negli inibitori di segnale montati sui blindati. A dieci giorni dalle cruciali elezioni presidenziali del 20 agosto l’avamposto Tobruk è in prima linea per garantire la sicurezza del voto in una delle aree più pericolose dell’Afghansitan. Bala Baluk e Shewan, a pochi chilometri di distanza sono roccaforti dei talebani e dei combattenti stranieri della guerra santa internazionale. I seggi elettorali in quest’area dovrebbero essere un a trentina, ma non è ancora chiaro quanti saranno effettivamente aperti il giorno delle elezioni. “Verranno sicuramente ridotti per motivi di sicurezza – conferma il capitano Gianluca Simonelli comandante di base Tobruk – ma ci stiamo organizzando con l’esercito afghano e la polizia per garantire il diritto di voto anche nelle zone più calde. I talebani non la faranno da padroni”.
Fausto Biloslavo da base Tobruk, Afghanistan occidentale
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13 novembre 2001 | Radio 24 Vivavoce | reportage |
Afghanistan
Il crollo dei talebani - Giornalisti al fronte/3
In prima linea in Afghanistan dopo l'11 settembre. Il ruolo dei giornalisti. "Bisogna stare sempre più attenti. E poi se un giornalista perde la vita non può mandare il pezzo"
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