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Articolo
14 luglio 2021 - Interni - Italia - Panorama |
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L’altra metà del carcere |
Aggressioni e violente proteste hanno provocato il ferimento di quattro agenti di polizia penitenziaria fra il 16 e 19 giugno. Un detenuto, in sala colloqui del carcere di Bari, ha aggredito con un pugno un basco azzurro per poi scagliarsi contro altri due poliziotti. A Turi hanno messo in atto “una protesta collettiva all’interno della seconda sezione - denunciano gli agenti - cominciando a sbattere oggetti sulle inferriate, gridando con cori da stadio, fortemente offensivi, contro il personale di polizia e lanciando dalle celle verso il corridoio frutta, ortaggi, uova, rifiuti e anche due torce rudimentali incendiate”. La mattina dopo, durante la consegna di un pacco postale, un detenuto, ha prima inveito contro un poliziotto e poi scaraventato la scrivania contro il muro scagliandosi contro l’agente e colpendolo al volto con una gomitata. Lo stesso detenuto, alcune ore dopo, incendiava pezzi di materasso e gettava acqua e sapone sul pavimento per far scivolare le guardie. Morsi, bastonate, olio bollente, sputi, minacce e insulti anche ai familairi sui social, scritte sui muri all’esterno del carcere “secondino muori!” sono l’altra faccia della medaglia. Le aggressioni alle guardie non godono dei riflettori come l’inaccettabile spedizione punitiva nell’istituto di pena di Santa Maria Capua Vetere. Bernando Petralia, capo del Dipartimento amministrazione penitenziaria (Dap) del ministero della Giustizia, ha ammesso che nelle carceri gli episodi di violenza nei confronti degli agenti superano i due al giorno. Tutto offuscato dai video della “perquisizione straordinaria” del 6 aprile 2020 nel carcere “Francesco Uccella” trasformata in pestaggi da paese autoritario o del terzo mondo. L’Italia bloccata dal virus era scossa dalle rivolte in 21 carceri che hanno provocato 13 vittime fra i detenuti, 170 agenti feriti, evasioni e danni per 40 milioni di euro. “Che i responsabili non pagheranno mai - sottolinea Donato Capece, segretario del Sappe, sindacato degli agenti di custodia - Ma le violenze gratuite sono inaccettabili. La polizia penitenziaria non è quella dei video di Santa Maria Capua Vetere. Quando ho viste le immagini mi si è accapponata la pelle”. La Guardasigilli, Marta Cartabia, ha bollato la spedizione punitiva come “tradimento della Costituzione”. La magistratura ha emesso 52 misure cautelare nei confronti degli agenti. Cartabia, però, pochi giorni prima puntava il dito contro le violenze da parte dei detenuti. “Più volte mi avete portato all’attenzione un problema che conosco molto bene e che – vi garantisco – seguo con attenzione e crescente preoccupazione: quello delle aggressioni agli agenti” esordiva il 16 giugno alle celebrazioni per il 204° anno della polizia penitenziaria. “Gli episodi dei primi 6 mesi del 2021 sono stati 397, cifre altissime, come lo sono gli 837 avvenuti nell’intero 2020 - dichiarava Cartabia - Nessuna violenza può mai trovare giustificazione, né tolleranza”. Le foto inviate a Panorama delle aggressioni ai baschi azzurri mostrano ferite, divise strappate e insanguinate, lividi sul collo, occhi tumefatti e punti di sutura. Uno scatto, che abbiamo deciso di non pubblicare, fa vedere il moncone di un dito mignolo di un poliziotto del Gom, il Gruppo operativo mobile, appena tranciato dal morso di un detenuto. Il 6 luglio si è tenuta al tribunale di Sulmona la prima udienza per un ergastolano calabrese che nel supercarcere di Peligno rovesciò due litri di olio bollente addosso a un agente rimasto gravemente ustionato. Il 30 giugno “due detenuti ubriachi hanno aggredito vilmente alle spalle un sovrintendente di polizia penitenziaria con una sgabellata procurandogli una lesione ad uno zigomo e una sospetta frattura al polso” denuncia Giuseppe Ninu, segretario regionale per l’Abruzzo del Sindacato autonomo polizia penitenziaria. Poi hanno colpito un assistente capo, procurandogli una sospetta lesione di un timpano e infine hanno sferrato un pugno in bocca all’ispettore di sorveglianza. “Gli stranieri sono i più aggressivi e violenti, insultano e sputano, perché pensano di essere impuniti - spiega Capece - Per uno stipendio base di 1300 euro al mese si rischia ogni giorno. Dei 41mila agenti previsti siamo in 37mila effettivi sottoposti a turni massacranti. Il mondo del carcere è dimenticato da tutti. E la politica si sveglia solo quando accadono fatti inaccettabili come a Santa Maria Capua Vetere”. Gli agenti, che all’interno delle sezioni sono disarmati chiedono a gran voce pistole elettriche “taser”, spray al peperoncino, strumenti non letali per difendersi dalla violenza. La lista delle aggressioni è lunga e riguarda spesso detenuti con problemi psichiatrici. Il 23 settembre 2020 un nigeriano che lavorava nel penitenziario di Ferrara ha aggredito un agente mordendolo all’altezza dello stinco della gamba destra. Gennarino De Fazio, segretario generale della Uilpa polizia penitenziaria, denuncia “un escalation delle aggressioni” e la tattica dei detenuti violenti che “denunciano a loro volta gli operatori sostenendo di essere stati malmenati, suscitando clamore mediatico e indagini della magistratura”. I terroristi di matrice islamica sono un altro problema delicato. “Quando erano a Macomer, compresi due arrivati da Guantanamo, i detenuti jihadisti cercavano lo scontro ogni giorno. Inneggiavano agli attentati in Afghanistan contro le nostre truppe. E guai a sfogliare il Corano che avevano in cella per controllare che non ci fossero messaggi. Ci insultano dicendo di tutto e bollandoci come razzisti. Sembra un campo di battaglia quotidiano pure adesso che sono a Sassari” rivela un veterano della prima linea in carcere. “La maggioranza del personale è onesto, ma esistono delle mele marce che entrano in carcere come guardie ed escono da condannati - fa notare Enrico Sbriglia, 40 anni di direzione di istituti di pena alle spalle - I video di Santa Maria Capua Vetere mi umiliano e disorientano tantissimo, ma sarebbe ipocrita dire che si tratta di una sorpresa”. Sbriglia, presidente del Centro europeo di studi penitenziari di Roma, è convinto che di tratta “del risultato di una sequela di eventi, che mal governati generano queste barbarie. Per non parlare del fatto che negli anni sono stati nominati magistrati al vertice dell’amministrazione penitenziaria, che nulla conoscevano del carcere dall’interno”. A maggio la popolazione carcerarie era di 53.660 persone rispetto ad una capienza per 50mila detenuti. In un recente passato si è arrivati anche a superare i 60mila. Oggi il 32% è straniero (16.940) con una maggioranza di africani. Lo scorso anno gli “atteggiamenti offensivi” sono stati 9.196 e 1.167 le “partecipazioni a disordini o sommosse”. Da gennaio sono 4 i suicidi di agenti. Altri 17 dal 2019 e a Venezia si era tolta la vita con la pistola d’ordinanza anche una giovane donna, Maria Teresa, 28 anni, per tutti Sissy. Bruno Polsinelli segretario provinciale Sinappe Torino ha denunciato senza mezzi termini i ritmi massacranti per mancanza di personale: “Al posto delle 6 ore al giorno fai turni di 9-10 ore. Quelli di piantonamento e traduzione detenuti durano anche 24 ore consecutive. Il turno di riposo arriva ogni 24 giorni”. I video di Santa Maria Capua Vetere hanno scatenato minacce di morte. A Roma è apparso lo striscione \"52 mele marce? Abbattiamo l’albero” firmato da un cerchio attraversato da una freccia, simbolo degli squatter. In Sardegna sono apparsi manifesti anarchici intitolati \"Non lasciamo soli i detenuti...isoliamo le guardie”. A Napoli e nel Lazio viene raccomandato agli agenti di non indossare la divisa per andare al lavoro per evitare ritorsioni. Le foto e i nomi degli indagati del raid punitivo sono finiti sui giornali locali e sui social si è aperta la caccia alle guardie. Due donne campane, parenti delle vittime delle violenze, hanno postato un video su Tik Tok rivolto agli agenti penitenziari “colpevoli”. Le signore sostengono che “i detenuti ve l’hanno messo nel culo…..” e le “vostre mogli adesso dovranno fare i bocchini (probabilmente per campare nda) a cinque centesimi l’uno”. Al Dipartimento amministrazione penitenziaria sono seriamente preoccupati delle minacce e della “demoralizzazione” del corpo. I veterani degli istituti di pena raccontano: “Sono tanti gli agenti che prima di entrare in carcere si fanno il segno della croce, qualcuno ha anche un altarino con il santo protettore, perché non sanno mai come andrà a finire la giornata”. Fausto Biloslavo |
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10 giugno 2008 | Emittente privata TCA | reportage
Gli occhi della guerra.... a Bolzano /2
Negli anni 80 lo portava in giro per Milano sulla sua 500, scrive Panorama. Adesso, da ministro della Difesa, Ignazio La Russa ha voluto visitare a Bolzano la mostra fotografica Gli occhi della guerra, dedicata alla sua memoria. Almerigo Grilz, triestino, ex dirigente missino, fu il primo giornalista italiano ucciso dopo la Seconda guerra mondiale, mentre filmava uno scontro fra ribelli e governativi in Mozambico nell’87. La mostra, organizzata dal 4° Reggimento alpini paracadutisti, espone anche i reportage di altri due giornalisti triestini: Gian Micalessin e Fausto Biloslavo.
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16 marzo 2012 | Terra! | reportage
Feriti d'Italia
Fausto Biloslavo racconta le storie di alcuni soldati italiani feriti nel corso delle guerre in Afghanistan e Iraq.
Realizzato per il programma "Terra" (Canale 5).
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14 maggio 2020 | Tg5 | reportage
Trieste, Lampedusa del Nord Est
Fausto Biloslavo
TRIESTE - Il gruppetto è seduto sul bordo della strada asfaltata. Tutti maschi dai vent’anni in su, laceri, sporchi e inzuppati di pioggia sembrano sfiniti, ma chiedono subito “dov’è Trieste?”. Un chilometro più indietro passa il confine con la Slovenia. I migranti illegali sono appena arrivati, dopo giorni di marcia lungo la rotta balcanica. Non sembra il Carso triestino, ma la Bosnia nord occidentale da dove partono per arrivare a piedi in Italia. Scarpe di ginnastica, tute e qualche piumino non hanno neanche uno zainetto. Il più giovane è il capetto della decina di afghani, che abbiamo intercettato prima della polizia. Uno indossa una divisa mimetica probabilmente bosniaca, un altro ha un barbone e sguardo da talebano e la principale preoccupazione è “di non venire deportati” ovvero rimandati indietro. Non sanno che la Slovenia, causa virus, ha sospeso i respingimenti dall’Italia. Di nuovo in marcia i migranti tirano un sospiro di sollievo quando vedono un cartello stradale che indica Trieste. Il capetto alza la mano in segno di vittoria urlando da dove viene: “Afghanistan, Baghlan”, una provincia a nord di Kabul.
Il 12 maggio sono arrivati in 160 in poche ore, in gran parte afghani e pachistani, il picco giornaliero dall’inizio dell’anno. La riapertura della rotta balcanica sul fronte del Nord Est è iniziata a fine aprile, in vista della fase 2 dell’emergenza virus. A Trieste sono stati rintracciati una media di 40 migranti al giorno. In Bosnia sarebbero in 7500 pronti a partire verso l’Italia.
Il gruppetto di afghani viene preso in carico dai militari del reggimento Piemonte Cavalleria schierato sul confine con un centinaio di uomini per l’emergenza virus. Più avanti sullo stradone di ingresso in città, da dove si vede il capoluogo giuliano, la polizia sta intercettando altri migranti. Le volanti con il lampeggiante acceso “scortano” la colonna che si sta ingrossando con decine di giovani stanchi e affamati. Grazie ad un altoparlante viene spiegato in inglese di stare calmi e dirigersi verso il punto di raccolta sul ciglio della strada in attesa degli autobus per portarli via. Gli agenti con le mascherine controllano per prima cosa con i termometri a distanza la temperatura dei clandestini. Poi li perquisiscono uno ad uno e alla fine distribuiscono le mascherine ai migranti. Alla fine li fanno salire sugli autobus dell’azienda comunale dei trasporti cercando di non riempirli troppo per evitare focolai di contagio. “No virus, no virus” sostiene Rahibullah Sadiqi alzando i pollici verso l’alto in segno di vittoria. L’afghano è partito un anno fa dal suo paese e ha camminato per “dodici giorni dalla Bosnia, attraverso la Croazia e la Slovenia fino all’Italia”. Seduto per terra si è levato le scarpe e mostra i piedi doloranti. “I croati mi hanno rimandato indietro nove volte, ma adesso non c’era polizia e siamo passati tutti” spiega sorridendo dopo aver concluso “il gioco”, come i clandestini chiamano l’ultimo tratto della rotta balcanica.
“Abbiamo registrato un crollo degli arrivi in marzo e per gran parte di aprile. Poi un’impennata alla fine dello scorso mese fino a metà maggio. L’impressione è che per i paesi della rotta balcanica nello stesso periodo sia avvenuta la fine del lockdown migratorio. In pratica hanno aperto i rubinetti per scaricare il peso dei flussi sull’Italia e sul Friuli-Venezia Giulia in particolare creando una situazione ingestibile anche dal punto di vista sanitario. E’ inaccettabile” spiega l'assessore regionale alla Sicurezza Pierpaolo Roberti, che punta il dito contro la Slovenia.
Lorenzo Tamaro, responsabile provinciale del Sindacato autonomo di polizia, denuncia “la carenza d’organico davanti all’emergenza dell’arrivo in massa di immigrati clandestini. Rinnoviamo l’appello per l’invio di uomini in rinforzo alla Polizia di frontiera”.
In aprile circa il 30% dei migranti che stazionavano in Serbia è entrato in Bosnia grazie alla crisi pandemica, che ha distolto uomini ed energie dal controllo dei confini. Nella Bosnia occidentale non ci sono più i campi di raccolta, ma i migranti bivaccano nei boschi e passano più facilmente in Croazia dove la polizia ha dovuto gestire l’emergenza virus e pure un terremoto.
Sul Carso anche l’esercito impegnato nell’operazione Strade sicure fa il possibile per tamponare l’arrivo dei migranti intercettai pure con i droni. A Fernetti sul valico con la Slovenia hanno montato un grosso tendone mimetico dove vengono portati i nuovi arrivati per i controlli sanitari. Il personale del 118 entra con le protezioni anti virus proprio per controllare che nessuno mostri i sintomi, come febbre e tosse, di un possibile contagio. Il Sap è preoccupato per l’emergenza sanitaria: “Non abbiamo strutture idonee ad accogliere un numero così elevato di persone. Servono più ambienti per poter isolare “casi sospetti” e non mettere a rischio contagio gli operatori di Polizia. Non siamo nemmeno adeguatamente muniti di mezzi per il trasporto dei migranti con le separazioni previste dall’emergenza virus”.
Gli agenti impegnati sul terreno non sono autorizzati a parlare, ma a denti stretti ammettono: “Se va avanti così, in vista della bella stagione, la rotta balcanica rischia di esplodere. Saremo travolti dai migranti”. E Trieste potrebbe trasformarsi nella Lampedusa del Nord Est.
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27 gennaio 2020 | Radio 1 Italia sotto inchiesta | intervento |
Italia
Esercito e siti ebraici
Fausto Biloslavo
I nostri soldati rispettano la giornata della Memoria dell’Olocausto non solo il 27 gennaio, ma tutto l’anno. L’esercito, con l’operazione Strade sicure, schiera 24 ore al giorno ben 700 uomini in difesa di 58 siti ebraici sul territorio nazionale. Tutti obiettivi sensibili per possibile attentati oppure oltraggi anti semiti.
“Per ora non è mai accaduto nulla anche grazie alla presenza dei militari, che serve da deterrenza e non solo. Il senso di sicurezza ha evitato episodi di odio e minacce ripetute come in Francia, che rischiano di provocare un esodo della comunità ebraica” spiega una fonte militare de il Giornale.
I soldati, che si sono fatti le ossa all’estero, sorvegliano, quasi sempre con presidi fissi, 32 sinagoghe o tempi ebraici, 9 scuole, 4 musei e altri 13 siti distribuiti in tutta Italia, ma soprattutto al nord e al centro. La città con il più alto numero di obiettivi sensibili, il 41%, è Milano. Non a caso il comandante del raggruppamento di Strade sicure, come in altre città, è ufficialmente invitato alle celebrazioni del 27 gennaio, giorno della Memoria.
Lo scorso anno, in occasione dell’anniversario della nascita dello Stato di Israele, il rappresentante della comunità ebraica di Livorno, Vittorio Mosseri, ha consegnato una targa al comandante dei paracadustisti. “Alla brigata Folgore con stima e gratitudine per il servizio di sicurezza prestato nell’ambito dell’operazione Strade sicure contribuendo con attenzione e professionalità al sereno svolgimento delle attività della nostro comunità” il testo inciso sulla targa.
In questi tempi di spauracchi anti semiti l’esercito difende i siti ebraici in Italia con un numero di uomini praticamente equivalente a quello dispiegato in Afghanistan nel fortino di Herat. Grazie ad un’esperienza acquisita all’estero nella protezione delle minoranze religiose, come l’antico monastero serbo ortodosso di Decani in Kosovo.
“In ogni città dove è presente la comunità ebraica esiste un responsabile della sicurezza, un professionista che collabora con le forze dell’ordine ed i militari per coordinare al meglio la vigilanza” spiega la fonte del Giornale. Una specie di “assessore” alla sicurezza, che organizza anche il sistema di sorveglianza elettronica con telecamere e sistemi anti intrusione di avanguardia su ogni sito. Non solo: se in zona appare un simbolo o una scritta anti semita, soprattuto in arabo, viene subito segnalata, fotografata, analizzata e tradotta. “I livelli di allerta talvolta si innalzano in base alla situazione internazionale” osserva la fonte militare. L’ultimo allarme ha riguardato i venti di guerra fra Iran e Stati Uniti in seguito all’eliminazione del generale Qassem Soleimani.
Roma è la seconda città per siti ebraici presidiati dai militari compresi asili, scuole e oratori. Le sinagoghe sono sorvegliate pure a Napoli, Verona, Trieste e quando necessario vengono disposte le barriere di cemento per evitare attacchi con mezzi minati o utilizzati come arieti. A Venezia i soldati garantiscono la sicurezza dello storico ghetto. A Livorno e in altre città sono controllati anche i cimiteri ebraici. Una residenza per anziani legata alla comunità è pure nella lista dei siti protetti a Milano. Ed i militari di Strade sicure nel capoluogo lombardo non perdono d’occhio il memoriale della Shoah, lo sterminio degli ebrei voluto da Hitler.
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25 maggio 2010 | Spazio Radio - Radio 1 | intervento |
Italia
L'Islam nelle carceri italiane
In Italia su oltre 23mila detenuti stranieri, 9840 risultano musulmani, secondo i dati ufficiali. Almeno seimila, però, non si sono dichiarati. Il rapporto di 364 pagine, “La radicalizzazione jihadista nelle istituzioni penitenziarie europee”, realizzato dall’esperto di Islam nella carceri, Sergio Bianchi, ne indica 13mila.
In Italia ci sono circa 80 islamici dietro le sbarre per reati connessi al terrorismo. Dal 2009 li hanno concentrati in quattro istituti di pena: ad Asti, Macomer, Benevento e Rossano. Nel carcere di Opera, invece, sono arrivati Adel Ben Mabrouk, Nasri Riadh e Moez Abdel Qader Fezzani, ex prigionieri di Guantanamo. Chi li controlla ogni giorno racconta che parlano in italiano. La guerra santa in Afghanistan l’hanno abbracciata dopo aver vissuto come extracomunicatori nel nostro paese. Non si possono incontrare fra loro e vivono in celle singole. Pregano regolarmente con molta devozione e hanno mantenuto i barboni islamici.
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06 settembre 2018 | Radio immaginaria | intervento |
Italia
Teen Parade
Gli adolescenti mi intervistano sulla passione per i reportage di guerra
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20 giugno 2017 | WDR | intervento |
Italia
Più cittadini italiani con lo ius soli
Estendere la cittadinanza italiana ai bambini figli di stranieri? È la proposta di legge in discussione in Senato in questi giorni. Abbiamo sentito favorevoli e contrari.
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03 giugno 2019 | Radio Scarp | intervento |
Italia
Professione Reporter di Guerra
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