image
Reportage
16 ottobre 2021 - Il fatto - Italia - Il Giornale
Anche i “duri” di Trieste evitano il blocco totale E i Tir entrano nel porto
Trieste «Dovemo fermar tuto e tuti» urla in dialetto Fabio Tuiach, pettorina gialla d\'ordinanza dei lavoratori portuali, codino e naso schiacciato da pugile. Al valico numero 4 del porto di Trieste, la protesta contro il green pass è cominciata alle 6 del mattino, ma l\'irriducibile di estrema destra non ci sta a far passare i pochi coraggiosi che non vogliono scioperare. «Se non lavoro io e neanche mia moglie dipendente di un supermercato, perché siamo No Pass, non devono farlo neanche gli altri» si inalbera Tuiach cercando di fermare un\'utilitaria grigia infilata nella folla e più tardi ha tirato un pugno in faccia ad un altro portuale in uno scontro con l\'ala di estrema sinistra. All\'interno un pacato e barbuto dipendente del porto ribadisce: «Rispetto la loro protesta, che facciano lo stesso con me lasciandomi passare». I «fratelli» del Coordinamento lavoratori portuali di Trieste fermano Tuiach, che si consola agitando un rosario di Medjugorie e spiegando che «monsignor Viganò, vicino a Trump, e il direttore di Radio Maria» sono contro il green pass. I fan lo applaudono e lui ricorda «che in Europa è obbligatorio solo per noi stupidi italiani».
La linea dei portuali duri e puri si è ammorbidita trasformando il blocco in sciopero e presidio. Chi vuole entra, ma a farsi largo fra la folla che aumenta sono neanche 10 macchine. I portuali cantano vittoria sostenendo che «su 800 sono andati a lavorare solo in 100». L\'annunciata paralisi, però, è evaporata scontentando tanti No Pass e la protesta non si allarga ad altri scali strategici. A dettare la linea è Stefano Puzzer, portavoce dei portuali che ribadisce al Giornale: «Fino a quando non ritireranno il green pass manterremo questo presidio rispettando la libertà di scelta di tutti». Il capopopolo, detto Ciccio, è una star che signore attempate e nerboruti manifestanti rincorrono per immortalare con un selfie.
Dopo qualche ora l\'ingresso al porto si riempie con 6-7mila manifestanti No Pass, che arrivano dalla città, ma pure da Udine, Verona, Vicenza e Firenze. Tutti sono attratti dal clamore mediatico di Trieste «capitale No Pass». Le forze dell\'ordine mantengono un basso profilo e vanno anche a prendere un caffè nell\'improvvisata cucina da campo della manifestazione ricavata sotto un cavalcavia. «Prepariamo il cibo per la resistenza» dichiara Diego Sen, giovane cuoco che non vuole il vaccino. Un paio di pachidermi su ruote che trasportano merci devono fare marcia indietro davanti alla folla. I Tir vengono dirottati sul varco numero 1 del porto, che doveva essere pure presidiato. In realtà c\'è solo un drappello di agenti e una fila di camion in attesa di entrare.
La barriera umana in appoggio ai portuali è come sempre un mondo sorprendente. Quando si alza il sole c\'è chi suona il corno come i vichinghi. Un vigile urbano non in servizio è convinto: «Bisogna eliminare la tessera verde, atto politico che di sanitario non ha nulla». Un signore con i capelli grigi si aggira sostenendo che «è tutto frutto dei satanisti».
Loris Mazzorato già sindaco vicino a Treviso si presenta con una maglietta che riporta l\'annuncio delle leggi razziali del 1938. Ex alpini cantano le strofe della Julia e un gruppetto indossa le magliette amaranto dei vigili del fuoco. I giornalisti bollati come «venduti» vengono presi di nuovo di mira.
Sebastiano Grison, uno dei capi del Coordinamento dei portuali, sostiene che «siamo pronti a non lavorare fino al 31 dicembre, quando scadrà il decreto green pass. Per noi è un provvedimento criminale». La barriera umana, però, si indebolisce con il calare del buio. E una fonte del Giornale nelle forze dell\'ordine spiega «che non verrà tollerata a lungo questa situazione. Siamo solo in attesa dell\'ordine di sgombero».
[continua]

video
29 dicembre 2010 | | reportage
Gli occhi della guerra a Trieste
Dopo aver portato la mostra su 25 anni di reportage di guerra in tutta Italia, finalmente il 29 dicembre è stata inaugurata a Trieste, presso la sala espositiva della Parrocchia di Santa Maria Maggiore, via del Collegio 6. Gli occhi della guerra sono dedicati ad Almerigo Grilz e a tutti i giornalisti caduti sul fronte dell'informazione. La mostra rimarrà aperta al pubblico dal 10 al 20 gennaio. L'evento è stato organizzato dal Circolo universitario Hobbit con la sponsorizzazione della Regione.

play
12 maggio 2020 | Tg5 | reportage
L'infermiera sopravvissuta al virus
L’infermiera ha contratto il virus da un paziente anziano nell’ospedale Maggiore di Trieste A casa non riusciva più a respirare ed è stata trasportata d’urgenza in ospedale Il figlio, soldato della Nato, era rimasto bloccato sul fronte baltico dall’emergenza virus con l’appartamento pieno di medicine l’incubo del contagio non l’abbandonerà mai Due mesi dopo il contagio Svetlana è negativa al virus ma ancora debole e chiusa in casa

play
16 febbraio 2007 | Otto e Mezzo | reportage
Foibe, conflitto sulla storia
Foibe, conflitto sulla storia

play
[altri video]
radio

03 gennaio 2011 | Radio Capodistria - Storie di bipedi | intervento
Italia
Gli occhi della guerra
Le orbite rossastre di un bambino soldato, lo sguardo terrorizzato di un prigioniero che attende il plotone di esecuzione, l’ultimo rigagnolo di vita nelle pupille di un ferito sono gli occhi della guerra incrociati in tanti reportage di prima linea. Dopo l’esposizione in una dozzina di città la mostra fotografica “Gli occhi della guerra” è stata inaugurata a Trieste. Una collezione di immagini forti scattate in 25 anni di reportage da Fausto Biloslavo, Gian Micalessin e Almerigo Grilz, ucciso il 19 maggio 1987 in Mozambico, mentre filmava uno scontro a fuoco. La mostra, che rimarrà aperta al pubblico fino al 20 gennaio, è organizzata dall’associazione Hobbit e finanziata dalla regione Friuli-Venezia Giulia. L’esposizione è dedicata a Grilz e a tutti i giornalisti caduti in prima linea. Il prossimo marzo verrà ospitata a Bruxelles presso il parlamento europeo.Della storia dell'Albatross press agency,della mostra e del libro fotografico Gli occhi della guerra ne parlo a Radio Capodistria con Andro Merkù.

play

25 maggio 2010 | Spazio Radio - Radio 1 | intervento
Italia
L'Islam nelle carceri italiane
In Italia su oltre 23mila detenuti stranieri, 9840 risultano musulmani, secondo i dati ufficiali. Almeno seimila, però, non si sono dichiarati. Il rapporto di 364 pagine, “La radicalizzazione jihadista nelle istituzioni penitenziarie europee”, realizzato dall’esperto di Islam nella carceri, Sergio Bianchi, ne indica 13mila.
In Italia ci sono circa 80 islamici dietro le sbarre per reati connessi al terrorismo. Dal 2009 li hanno concentrati in quattro istituti di pena: ad Asti, Macomer, Benevento e Rossano. Nel carcere di Opera, invece, sono arrivati Adel Ben Mabrouk, Nasri Riadh e Moez Abdel Qader Fezzani, ex prigionieri di Guantanamo. Chi li controlla ogni giorno racconta che parlano in italiano. La guerra santa in Afghanistan l’hanno abbracciata dopo aver vissuto come extracomunicatori nel nostro paese. Non si possono incontrare fra loro e vivono in celle singole. Pregano regolarmente con molta devozione e hanno mantenuto i barboni islamici.

play

24 maggio 2010 | Radio Padania Libera | intervento
Italia
Proselitismo islamico dietro le sbarre
“Penso che sia giusto se alcuni musulmani combattono la guerra santa contro gli americani in paesi che non sono la loro terra”. Dopo un lungo girarci attorno Kamel Adid sorprende un po’ tutti, quando sputa il rospo. La domanda riguardava i mujaheddin, i musulmani pronti a morire per Allah, contro l’invasore infedele. Tre soldati della guerra santa, arrivati un paio di mesi fa da Guantanamo, sono rinchiusi poco più in là, nel reparto di massima sicurezza del carcere di Opera, alle porte di Milano.
Adid è un giovane marocchino di 31 anni con barbetta islamica d’ordinanza e tunica color noce. Nel carcere modello di Opera fa l’imam dei 44 musulmani detenuti, che frequentano una grande sala adibita a moschea. Un predicatore fai da te, che di solito parla un linguaggio moderato e ti guarda con occhioni apparentemente timidi.
Deve scontare ancora due mesi di pena per un reato legato alla droga e da pochi giorni è stato trasferito in un altro istituto. “Quelli che si fanno saltare in aria subiscono il lavaggio del cervello – si affretta a spiegare l’autonominato imam – Noi abbiamo riscoperto la fede in carcere. Pregare ci da conforto, ci aiuta ad avere speranza”.

play

27 gennaio 2020 | Radio 1 Italia sotto inchiesta | intervento
Italia
Esercito e siti ebraici
Fausto Biloslavo I nostri soldati rispettano la giornata della Memoria dell’Olocausto non solo il 27 gennaio, ma tutto l’anno. L’esercito, con l’operazione Strade sicure, schiera 24 ore al giorno ben 700 uomini in difesa di 58 siti ebraici sul territorio nazionale. Tutti obiettivi sensibili per possibile attentati oppure oltraggi anti semiti. “Per ora non è mai accaduto nulla anche grazie alla presenza dei militari, che serve da deterrenza e non solo. Il senso di sicurezza ha evitato episodi di odio e minacce ripetute come in Francia, che rischiano di provocare un esodo della comunità ebraica” spiega una fonte militare de il Giornale. I soldati, che si sono fatti le ossa all’estero, sorvegliano, quasi sempre con presidi fissi, 32 sinagoghe o tempi ebraici, 9 scuole, 4 musei e altri 13 siti distribuiti in tutta Italia, ma soprattutto al nord e al centro. La città con il più alto numero di obiettivi sensibili, il 41%, è Milano. Non a caso il comandante del raggruppamento di Strade sicure, come in altre città, è ufficialmente invitato alle celebrazioni del 27 gennaio, giorno della Memoria. Lo scorso anno, in occasione dell’anniversario della nascita dello Stato di Israele, il rappresentante della comunità ebraica di Livorno, Vittorio Mosseri, ha consegnato una targa al comandante dei paracadustisti. “Alla brigata Folgore con stima e gratitudine per il servizio di sicurezza prestato nell’ambito dell’operazione Strade sicure contribuendo con attenzione e professionalità al sereno svolgimento delle attività della nostro comunità” il testo inciso sulla targa. In questi tempi di spauracchi anti semiti l’esercito difende i siti ebraici in Italia con un numero di uomini praticamente equivalente a quello dispiegato in Afghanistan nel fortino di Herat. Grazie ad un’esperienza acquisita all’estero nella protezione delle minoranze religiose, come l’antico monastero serbo ortodosso di Decani in Kosovo. “In ogni città dove è presente la comunità ebraica esiste un responsabile della sicurezza, un professionista che collabora con le forze dell’ordine ed i militari per coordinare al meglio la vigilanza” spiega la fonte del Giornale. Una specie di “assessore” alla sicurezza, che organizza anche il sistema di sorveglianza elettronica con telecamere e sistemi anti intrusione di avanguardia su ogni sito. Non solo: se in zona appare un simbolo o una scritta anti semita, soprattuto in arabo, viene subito segnalata, fotografata, analizzata e tradotta. “I livelli di allerta talvolta si innalzano in base alla situazione internazionale” osserva la fonte militare. L’ultimo allarme ha riguardato i venti di guerra fra Iran e Stati Uniti in seguito all’eliminazione del generale Qassem Soleimani. Roma è la seconda città per siti ebraici presidiati dai militari compresi asili, scuole e oratori. Le sinagoghe sono sorvegliate pure a Napoli, Verona, Trieste e quando necessario vengono disposte le barriere di cemento per evitare attacchi con mezzi minati o utilizzati come arieti. A Venezia i soldati garantiscono la sicurezza dello storico ghetto. A Livorno e in altre città sono controllati anche i cimiteri ebraici. Una residenza per anziani legata alla comunità è pure nella lista dei siti protetti a Milano. Ed i militari di Strade sicure nel capoluogo lombardo non perdono d’occhio il memoriale della Shoah, lo sterminio degli ebrei voluto da Hitler.

play

03 giugno 2019 | Radio Scarp | intervento
Italia
Professione Reporter di Guerra


play

[altri collegamenti radio]




fotografie







[altre foto]