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Reportage
24 dicembre 2023 - Prima - Italia - Il Giornale |
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| In piazza l’orgoglio islamico E la sinistra: “Voi il futuro” |
Monfalcone «Siamo monfalconesi, siamo italiani e siamo musulmani» è lo slogan più ripetuto nella manifestazione dell’orgoglio islamico a Monfalcone dopo la chiusura di due luoghi di preghiera che non erano a norma. Una prova di forza non indifferente con 8mila persone secondo la questura di Gorizia. Furbescamente gli organizzatori hanno vietato qualsiasi altra bandiera, come quella palestinese, distribuendo centinaia di Tricolori e stendardi europei. La bandierina italiana sventolata da una giovane donna con il niqab, il burqa nero che la copre dalla testa ai piedi, fa un po’ impressione. Per non parlare di quella blu con le stelline della Ue nelle mani di giovani con tuniche arabe, barba islamica d’ordinanza e baffi rasati come i salafiti, che considerano un abominio molte norme europee sui diritti. E non mancano le foglie di fico della sinistra come l’ex rettore e sindaco di Udine, Furio Honsell. Oggi consigliere regionale del Friuli-Venezia Giulia di «Open Sinistra» arringa la folla islamica iniziando con un «cittadini e cittadine». In prima fila c’è una sfilza di donne velate, alcune con il burqa nero. «Siete voi che portate la ricchezza in questa regione» - dichiara - «siete voi il futuro del nostro paese». Il corteo si muove compatto con un servizio d’ordine di musulmani con le pettorine gialle, che non si vedeva dai tempi del Pci. Donne con il velo e bambini in passeggino davanti, «così non direte che camminano dietro gli uomini». Quelle con il niqab un po’ nascoste nella folla per non dare l’idea di integralismo. «Basta andare a vedere nei giorni di mercato quante sono coperte dalla testa ai piedi, con tanto di guanti neri, per capire la realtà di una comunità che non vuole integrarsi» sostiene Renzo Erman, del gruppo cristiano Popolo famiglia, che osserva il corteo. Poco più in là Elisabetta, di Pax Christi, è arrivata da Gorizia al fianco degli islamici: «Tutti hanno diritto a professare la propria fede. Proibirlo mi sembra un’ingiustizia». La stragrande maggioranza degli 8mila islamici sono uomini, molti i giovani, soprattutto bengalesi. I gruppetti di salafiti, che fanno i santarellini, si notano subito, ma non parte un solo slogan jihadista o le solite grida pro Palestina. La comunità islamica si mostra compatta, pacifica e disciplinata, «però la musica potrebbe cambiare se il braccio di ferro sul luogo di preghiera non trovasse soluzione» è convinto chi si occupa della sicurezza. Il servizio d’ordine islamico nelle prossime, annunciate, manifestazioni potrebbe cambiare modi. Il timore è una preghiera di massa nella piazza centrale sotto il municipio o peggio. «Cosa ne penso? Che uno dei giorni di vendita più importanti dell’anno, l’antivigilia di Natale, non lavoro per il corteo. È un danno enorme per i commercianti» spiega Martina fuori dal negozio mentre passano gli islamici. Le ragazzine con il velo non parlano, ma Rifat, bengalese nato a Monfalcone, risponde in perfetto italiano sulla guerra: «Non mi piace quello che ha fatto Hamas (la strage del 7 ottobre nda), ma neanche Israele che ammazza i palestinesi da anni». Mario Fonda, esule istriano, commenta: «Possono pregare dove vogliono se rispettano tutte le norme, ma per loro la legge è un optional. Le bandiere italiane? Una monada per farli sembrare belli, bravi e buoni». Catia l’edicolante ammette: «Non sono a mio agio. Venderei volentieri tutto per andarmene La città dove vivo sembra un Talebanistan». L’orgoglio musulmano esulta nella piazza con il palco, dove i più furbi politicamente, come il senegalese Bou Konate lanciano il ramoscello d’ulivo chiedendo al primo cittadino «di aprire il dialogo per il nostro diritto a pregare». Il sindaco Anna Maria Cisint scambia gli auguri in centro davanti il presepe e ha organizzato un video collegamento con Matteo Salvini. «Non arretro di un millimetro - ribatte inflessibile - Non mi lascio intimorire dalla manifestazione, appoggiata dalla sinistra, che ha violentato l’idea e il valore del Natale». Sul palco viene accolta con applausi da star Cristiana Morsolin, ex candidata sindaco appoggiata da grillini e Pd. «Che emozione esordisce - voi cittadini invisibili finalmente avete alzato la testa. E noi siamo con voi». Partito democratico, Anpi e Cgil suola, con rappresentante in giubba rossa sul palco, sono al fianco degli islamici. Il braccio di ferro sulle moschee fai da te a Monfalcone ha attirato adepti da Milano, Lecco, Rimini e Venezia. Massaer Diane dell’associazione senegalese Cadesse non ha dubbi: «Il futuro di questo Paese è nelle mani degli immigrati. Se chiudono una moschea ne apriremo altre 50mila». |
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29 dicembre 2010 | | reportage
Gli occhi della guerra a Trieste
Dopo aver portato la mostra su 25 anni di reportage di guerra in tutta Italia, finalmente il 29 dicembre è stata inaugurata a Trieste, presso la sala espositiva della Parrocchia di Santa Maria Maggiore, via del Collegio 6. Gli occhi della guerra sono dedicati ad Almerigo Grilz e a tutti i giornalisti caduti sul fronte dell'informazione. La mostra rimarrà aperta al pubblico dal 10 al 20 gennaio. L'evento è stato organizzato dal Circolo universitario Hobbit con la sponsorizzazione della Regione.
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07 aprile 2020 | Tg5 | reportage
Parla il sopravvissuto al virus
Fausto Biloslavo
TRIESTE - Il sopravvissuto sta sbucciando un’arancia seduto sul letto di ospedale, come se non fosse rispuntato da poco dall’anticamera dell’inferno. Maglietta grigia, speranza dipinta negli occhi, Giovanni Ziliani è stato dimesso mercoledì, per tornare a casa. Quarantadue anni, atleta e istruttore di arti marziali ai bambini, il 10 marzo ha iniziato a stare male nella sua città, Cremona. Cinque giorni dopo è finito in terapia intensiva. Dalla Lombardia l’hanno trasferito a Trieste, dove un tubo in gola gli pompava aria nei polmoni devastati dall’infezione. Dopo 17 giorni di calvario è tornato a vivere, non più contagioso.
Cosa ricorda di questa discesa all’inferno?
“Non volevo dormire perchè avevo paura di smettere di respirare. Ricordo il tubo in gola, come dovevo convivere con il dolore, gli sforzi di vomito ogni volta che cercavo di deglutire. E gli occhi arrossati che bruciavano. Quando mi sono svegliato, ancora intubato, ero spaventato, disorientato. La sensazione è di impotenza sul proprio corpo. Ti rendi conto che dipendi da fili, tubi, macchine. E che la cosa più naturale del mondo, respirare, non lo è più”.
Dove ha trovato la forza?
“Mi sono aggrappato alla famiglia, ai valori veri. Al ricordo di mia moglie, in cinta da otto mesi e di nostra figlia di 7 anni. Ti aggrappi a quello che conta nella vita. E poi c’erano gli angeli in tuta bianca che mi hanno fatto rinascere”.
Gli operatori sanitari dell’ospedale?
“Sì, medici ed infermieri che ti aiutano e confortano in ogni modo. Volevo comunicare, ma non ci riuscivo perchè avevo un tubo in gola. Hanno provato a farmi scrivere, ma ero talmente debole che non ero in grado. Allora mi hanno portato un foglio plastificato con l’alfabeto e digitavo le lettere per comporre le parole”.
Il momento che non dimenticherà mai?
“Quando mi hanno estubato. E’ stata una festa. E quando ero in grado di parlare la prima cosa che hanno fatto è una chiamata in viva voce con mia moglie. Dopo tanti giorni fra la vita e la morte è stato un momento bellissimo”.
Come ha recuperato le forze?
“Sono stato svezzato come si fa con i vitellini. Dopo tanto tempo con il sondino per l’alimentazione mi hanno somministrato in bocca del tè caldo con una piccola siringa. Non ero solo un paziente che dovevano curare. Mi sono sentito accudito”.
Come è stato infettato?
“Abbiamo preso il virus da papà, che purtroppo non ce l’ha fatta. Mio fratello è intubato a Varese non ancora fuori pericolo”.
E la sua famiglia?
“Moglie e figlia di 7 anni per fortuna sono negative. La mia signora è in attesa di Gabriele che nascerà fra un mese. Ed io sono rinato a Trieste”.
Ha pensato di non farcela?
“Ero stanco di stare male con la febbre sempre a 39,6. Speravo di addormentarmi in terapia intensiva e di risvegliarmi guarito. Non è andata proprio in questo modo, ma è finita così: una vittoria per tutti”.
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05 ottobre 2010 | La vita in diretta - Raiuno | reportage
Islam, matrimoni forzati e padri assassini
Nosheen, la ragazza pachistana, in coma dopo le sprangate del fratello, non voleva sposarsi con un cugino in Pakistan.
Il matrimonio forzato era stato imposto dal padre, che ha ucciso a colpi di mattone la madre della giovane di 20 anni schierata a fianco della figlia. Se Nosheen avesse chinato la testa il marito, scelto nella cerchia familiare, avrebbe ottenuto il via libera per emigrare legalmente in Italia.
La piaga dei matrimoni combinati nasconde anche questo. E altro: tranelli per rimandare nella patria d’origine le adolescenti dove le nozze sono già pronte a loro insaputa; e il business della dote con spose che vengono quantificate in oro o migliaia di euro.
Non capita solo nelle comunità musulmane come quelle pachistana, marocchina o egiziana, ma pure per gli indiani e i rom, che sono un mondo a parte.
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06 settembre 2018 | Radio immaginaria | intervento |
Italia
Teen Parade
Gli adolescenti mi intervistano sulla passione per i reportage di guerra
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25 maggio 2010 | Spazio Radio - Radio 1 | intervento |
Italia
L'Islam nelle carceri italiane
In Italia su oltre 23mila detenuti stranieri, 9840 risultano musulmani, secondo i dati ufficiali. Almeno seimila, però, non si sono dichiarati. Il rapporto di 364 pagine, “La radicalizzazione jihadista nelle istituzioni penitenziarie europee”, realizzato dall’esperto di Islam nella carceri, Sergio Bianchi, ne indica 13mila.
In Italia ci sono circa 80 islamici dietro le sbarre per reati connessi al terrorismo. Dal 2009 li hanno concentrati in quattro istituti di pena: ad Asti, Macomer, Benevento e Rossano. Nel carcere di Opera, invece, sono arrivati Adel Ben Mabrouk, Nasri Riadh e Moez Abdel Qader Fezzani, ex prigionieri di Guantanamo. Chi li controlla ogni giorno racconta che parlano in italiano. La guerra santa in Afghanistan l’hanno abbracciata dopo aver vissuto come extracomunicatori nel nostro paese. Non si possono incontrare fra loro e vivono in celle singole. Pregano regolarmente con molta devozione e hanno mantenuto i barboni islamici.
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03 giugno 2019 | Radio Scarp | intervento |
Italia
Professione Reporter di Guerra
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27 gennaio 2020 | Radio 1 Italia sotto inchiesta | intervento |
Italia
Esercito e siti ebraici
Fausto Biloslavo
I nostri soldati rispettano la giornata della Memoria dell’Olocausto non solo il 27 gennaio, ma tutto l’anno. L’esercito, con l’operazione Strade sicure, schiera 24 ore al giorno ben 700 uomini in difesa di 58 siti ebraici sul territorio nazionale. Tutti obiettivi sensibili per possibile attentati oppure oltraggi anti semiti.
“Per ora non è mai accaduto nulla anche grazie alla presenza dei militari, che serve da deterrenza e non solo. Il senso di sicurezza ha evitato episodi di odio e minacce ripetute come in Francia, che rischiano di provocare un esodo della comunità ebraica” spiega una fonte militare de il Giornale.
I soldati, che si sono fatti le ossa all’estero, sorvegliano, quasi sempre con presidi fissi, 32 sinagoghe o tempi ebraici, 9 scuole, 4 musei e altri 13 siti distribuiti in tutta Italia, ma soprattutto al nord e al centro. La città con il più alto numero di obiettivi sensibili, il 41%, è Milano. Non a caso il comandante del raggruppamento di Strade sicure, come in altre città, è ufficialmente invitato alle celebrazioni del 27 gennaio, giorno della Memoria.
Lo scorso anno, in occasione dell’anniversario della nascita dello Stato di Israele, il rappresentante della comunità ebraica di Livorno, Vittorio Mosseri, ha consegnato una targa al comandante dei paracadustisti. “Alla brigata Folgore con stima e gratitudine per il servizio di sicurezza prestato nell’ambito dell’operazione Strade sicure contribuendo con attenzione e professionalità al sereno svolgimento delle attività della nostro comunità” il testo inciso sulla targa.
In questi tempi di spauracchi anti semiti l’esercito difende i siti ebraici in Italia con un numero di uomini praticamente equivalente a quello dispiegato in Afghanistan nel fortino di Herat. Grazie ad un’esperienza acquisita all’estero nella protezione delle minoranze religiose, come l’antico monastero serbo ortodosso di Decani in Kosovo.
“In ogni città dove è presente la comunità ebraica esiste un responsabile della sicurezza, un professionista che collabora con le forze dell’ordine ed i militari per coordinare al meglio la vigilanza” spiega la fonte del Giornale. Una specie di “assessore” alla sicurezza, che organizza anche il sistema di sorveglianza elettronica con telecamere e sistemi anti intrusione di avanguardia su ogni sito. Non solo: se in zona appare un simbolo o una scritta anti semita, soprattuto in arabo, viene subito segnalata, fotografata, analizzata e tradotta. “I livelli di allerta talvolta si innalzano in base alla situazione internazionale” osserva la fonte militare. L’ultimo allarme ha riguardato i venti di guerra fra Iran e Stati Uniti in seguito all’eliminazione del generale Qassem Soleimani.
Roma è la seconda città per siti ebraici presidiati dai militari compresi asili, scuole e oratori. Le sinagoghe sono sorvegliate pure a Napoli, Verona, Trieste e quando necessario vengono disposte le barriere di cemento per evitare attacchi con mezzi minati o utilizzati come arieti. A Venezia i soldati garantiscono la sicurezza dello storico ghetto. A Livorno e in altre città sono controllati anche i cimiteri ebraici. Una residenza per anziani legata alla comunità è pure nella lista dei siti protetti a Milano. Ed i militari di Strade sicure nel capoluogo lombardo non perdono d’occhio il memoriale della Shoah, lo sterminio degli ebrei voluto da Hitler.
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20 giugno 2017 | WDR | intervento |
Italia
Più cittadini italiani con lo ius soli
Estendere la cittadinanza italiana ai bambini figli di stranieri? È la proposta di legge in discussione in Senato in questi giorni. Abbiamo sentito favorevoli e contrari.
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