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Intervista
09 luglio 2009 - Esteri - Iran - Panorama
"Dall'Occidente aspettiamo fermezza"
Maryam Rajavi è presidente del
parlamento in esilio della «resistenza iraniana». Suo marito
Massoud era il fondatore dei mujaheddin del popolo, che
negli anni 80 e 90 hanno scatenato sanguinosi attentati
e omicidi di personaggi famosi in Iran. Nel 2001 il gruppo
ha iniziato a prendere le distanze dalla violenza. Nel gennaio
2009 il Consiglio della Ue ha rimosso i mujaheddin dalla lista
nera delle organizzazioni terroristiche. Laureata, 56 anni,
Rajavi risponde a Panorama da Parigi, dove vive dal 1982.
E continua a battersi contro il governo degli ayatollah.
Come valuta quel che sta accadendo in Iran?
È l’inizio della fine della dittatura religiosa. Da una parte
basta considerare gli slogan «Morte al dittatore» e «Morte
al regime del velayat e faqih (il ruolo guida dei religiosi)».
Dall’altra il regime dei mullah è ricorso a una repressione
sanguinosa per sopravvivere. Una nuova era sta iniziando
in Iran ed è irreversibile: i giovani alzano la voce chiedendo
la fine del regime. Il secondo aspetto riguarda l’escalation
dei contrasti all’interno del sistema. La terza conseguenza
è la fine dell’illusione della moderazione usata come criterio
d’azione dai paesi occidentali. Non esiste alcuna possibilità
di riforma all’interno del regime iraniano.
Le proteste sono confinate a Teheran?
Le proteste si sviluppano in tutto il paese. Si tratta
di un movimento nazionale, che coinvolge tutte le grandi
città, come Isfahan, Shiraz, Mashad e Tabriz.
Le donne sono in prima linea?
Sì, e la vasta presenza di donne in piazza non è un caso.
L’Iran è in mano a un regime misogino. In questi anni
il fardello più pesante è stato portato dalle donne.
INTERVISTA
Quanta gente solidarizza con i manifestanti?
Le porte sono aperte per accogliere i feriti o chi fugge
dall’arresto. Quando le guardie rivoluzionarie entrano
negli ospedali per portare via i feriti, capita che i medici
si oppongano. Oggi l’atmosfera di unità e solidarietà che si
respira nella società iraniana è la stessa degli eventi
del 1978-1979 (la caduta dello scià, ndr).
Lei è considerato il nemico numero uno del governo
iraniano, che bolla i mujaheddin del popolo come
terroristi. Che cosa chiedete per l’Iran?
Vogliamo la fine della dittatura religiosa e lo
smantellamento degli organi di repressione come le guardie
della rivoluzione e i paramilitari basiji. Chiediamo libere
elezioni, sotto l’egida dell’Onu, e diciamo no a leggi inumane,
che vorrebbero legittimare lapidazione, impiccagione
e tortura. Ci battiamo per un paese in cui ci sia completa
uguaglianza fra i sessi e vogliamo un Iran denuclearizzato.
Molti in Occidente pensano che sia possibile un accordo
con Teheran sulla stabilizzazione dell’Afghanistan
e sul programma nucleare. Cosa ne pensa?
Trovare una soluzione pacifica con i mullah è un miraggio.
Esorto i governi di tutto il mondo a non permettere al
regime di trarre vantaggi da questi negoziati. La comunità
internazionale, compresa l’Italia, deve finirla con la politica
di accontentare i mullah. Mi aspetto fermezza, con
l’adozione di sanzioni diplomatiche, politiche, sul petrolio
e tecnologiche. E l’appoggio alla resistenza del popolo
iraniano che si batte per la democrazia.
Come giudica il candidato Mir-Hussein Mousavi?
Mousavi è stato in carica come primo ministro per 8 anni.
Durante il suo mandato, nel 1988, sono stati massacrati
30 mila prigionieri politici. (Fausto Biloslavo)

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26 giugno 2009 | SkyTG24 | reportage
Il G8 a Trieste e la crisi iraniana
Cosa succederà in Iran? Gli oppositori verranno messi a tacere dalla repressione, ma la crisi lascerà il segno.

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