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Esclusivo
25 giugno 2009 - Esteri - Afghanistan - Panorama
Talebani, la trattativa segreta
Da Washington a Kabul, il mantra è sempre lo stesso: non si tratta con i terroristi. Ma non tutti gli insorti, ripetono da alcuni mesi i responsabili della politica americana ed europea in Afpak (Afghanistan e Pakistan), sono killer di Al Qaeda. E che dall’autunno siano in corso contatti tra rappresentanti occidentali ed emissari del leader talebano mullah Omar è un segreto di Pulcinella, svelato il 31 marzo dal segretario di Stato Hillary Clinton alla conferenza internazionale de L’Aja: «Appoggiamo gli sforzi del governo afghano per separare da Al Qaeda chi si arruola non per convinzione, ma per disperazione. A questi talebani va offerta un’onorevole riconciliazione e l’integrazione nella società».
È la strategia del doppio binario inaugurata da Barack Obama: aumento della pressione militare (sono in arrivo 21 mila soldati) e impulso ai negoziati con i pashtun moderati. Un approccio corroborato dalla nomina del nuovo comandante americano, il generale Stanley McChrystal, giunto il 15 giugno a Kabul con la consegna di adottare tattiche più selettive, limitando le perdite tra la popolazione civile. Una scommessa, perché nelle ultime settimane gli attacchi contro la Nato hanno raggiunto i livelli di scontro più elevati dal 2001. Ma nelle cancellerie che contano si è ormai affermata la convinzione che non vi siano alternative al dialogo.
«Non bisogna pensare a negoziati di pace come quelli di Parigi fra Kissinger e il Vietnam del Nord» dice l’ambasciatore Ettore Sequi, inviato speciale dell’Ue per l’Afghanistan e il Pakistan. «Ma esistono canali di contatto nella frammentata galassia talebana. La domanda decisiva è: possiamo combattere per anni escludendo la porzione di questa galassia che fa parte del tessuto del paese?”
Fin dai primi incontri, in settembre alla Mecca, con la benedizione della monarchia saudita, alle trattative hanno preso parte tre uomini chiave: Qayum Karzai, fratello maggiore del presidente Hamid, che il 20 agosto si ricandiderà alla guida del paese; Humayun Jarir, genero di Gulbuddin Hekmatyar, uno dei più longevi signori della guerra afghani, alleato dei talebani e fondatore del partito armato Hezb-i-Islami ai tempi della guerra santa contro i sovietici e il senatore Arsala Rahmani. Quest’ultimo, ex esponente del regime talebano che ha scelto la via della riconciliazione, ha proposto al re saudita Abdullah di coinvolgere nelle trattative l’ex ministro degli Esteri talebano Abdul Wakil Muttawakil, l’ex ambasciatore del mullah Omar a Islamabad, Abdul Salaam Zaeef, l’ex portavoce degli integralisti Abdul Hakim Mujahid e Qazi Habibullah Fauzi, che li rappresentava ufficiosamente all’Onu. Personaggi che, imprigionati a Guantanamo o interrogati per mesi, hanno accettato di deporre le armi e sono stati rilasciati.
In novembre i talebani hanno tenuto riunioni segrete a Quetta e Karachi, in Pakistan, decidendo di non rifiutare l’apertura negoziale. «Mullah Omar e mullah Baradar (ex vice ministro della Difesa e membro di spicco della cupola talebana, ndr) sembrano possibilisti. Comandanti intermedi mantengono contatti con la missione Onu a Kabul» rivela Antonio Giustozzi, ricercatore della London School of Economics che lavora sull’Afghanistan con gli europei.
In marzo Qayum Karzai ha ospitato nella sua casa di Kandahar Tayeb Agha, segretario privato del mullah Omar, il «governatore» talebano della città, mullah Mohebullah, e l’ex ministro mullah Mansur. La strada è irta di ostacoli: il 2 giugno gli inglesi hanno annunciato l’uccisione di Mansur, ma i talebani sostengono che sia scampato all’attacco aereo. «I contatti vanno portati avanti dagli afghani» sottolinea Sequi. «Bisogna separare gli irriducibili, gli stranieri e Al Qaeda, dai talebani afghani».
Dall’Nds, l’intelligence di Kabul, trapela che il genero di Hekmatyar ha contattato già in dicembre i talebani moderati e l’Hezb-i-Islami. E alle ambasciate occidentali è giunta la soffiata che in febbraio il generale Musaffadin, comandante di polizia nella provincia di Wardak, avrebbe ospitato Hekmatyar con l’intento di facilitare un incontro con il presidente Karzai. Secondo Giustozzi l’alleato dei talebani avrebbe invece visto l’ex capo di stato afghano Burhanuddin Rabbani. I due si odiano dalla guerra civile degli anni Novanta, ma in parlamento Rabbani ha stretto alleanze con i jihadisti, compresi vecchi compagni di lotta di Hekmatyar.
In maggio, a Dubai, Jarir ha riavviato i colloqui con esponenti dell’Hezb-i-Islami come l’ex portavoce Qarid ar-Rahman Said, Qazi Hakim, Ghairat Baheer (altro parente di Hekmatyar scarcerato dopo sei anni di detenzione nella base aerea di Bagram), il parlamentare di Kabul Attaullah Ludin e, negli Usa, Daud Abedi, vicino al partito islamico. Abedi, un uomo d’affari che vive in California, avrebbe visto in più occasioni i funzionari del dipartimento di Stato (una nota di fine aprile conferma almeno uno degli incontri). E sostiene di avere concordato una piattaforma di richieste comuni ai talebani e al gruppo di Hekmatyar: ripiegamento delle truppe straniere nelle loro basi, evacuazione dal paese entro 18 mesi, creazione di un governo provvisorio aperto ai talebani, invio di un contingente di peacekeeping a predominanza musulmana, elezioni generali.
Per la comunità internazionale sono condizioni inaccettabili. Ma Rahmani e altri personaggi coinvolti nelle trattative hanno indicato una possibile «road map». La strada più breve e rischiosa è quella di una Loya Jirga, un’assemblea tradizionale afghana, con rappresentanti dei talebani e dell’Hezb-i-Islami. L’alternativa è l’amnistia in cambio di una pace vera, che sfocerà in un cammino a due stadi. In una prima fase verranno depennati dalla lista dei ricercati (un migliaio di persone) i comandanti che accettano l’accordo. Ai negoziatori verrà concesso un lasciapassare per l’Arabia Saudita dove si svolgeranno i colloqui e i talebani potranno aprire un ufficio. Con la Nato e il governo afghano verranno discussi problemi pratici: il rilascio dei prigionieri, le vittime civili, l’istruzione alle donne. «Creato un clima di fiducia si potranno affrontare i nodi politici: la struttura di governo, l’inclusione di elementi vicini ai talebani nell’esecutivo e il ritiro delle truppe straniere» sostengono i diplomatici a Kabul.
«Vanno usati strumenti diversi» spiega Sequi. «Ci sono tribù che combattono perché si sentono sfavorite dal governo. Elementi legati alla criminalità e al traffico di droga, che mantengono un’alleanza di opportunità con gli insorti. Infine la manodopera, il 70 per cento dei talebani, che in cambio di 300 dollari al mese imbracciano il Kalashnikov».
Nella delicata partita giocano un ruolo importante l’Arabia Saudita e i Fratelli musulmani. In gennaio il principe Muqrin bin Abdul Aziz, capo dell’intelligence di Riyadh e vecchio conoscente di Osama bin Laden (che da lui fu incoraggiato alla jihad contro i sovietici), ha visitato Islamabad, Delhi e Kabul con l’obiettivo di offrire garanzie finanziarie ai comandanti talebani disposti a trattare. Uno dei canali utilizzati dai sauditi passa da Aghajan Mutasim, l’ex ministro delle Finanze dei talebani, che vive in Pakistan ed è stato alla Mecca per il ramadhan.
L’uomo dei Fratelli musulmani è Abdullah Anas, genero di Abdullah Azzam, esponente di spicco della fratellanza e mentore di Bin Laden, fatto uccidere, però, dal futuro sceicco del terrore nel 1989. Perché voleva il pieno controllo degli stranieri arruolati per combattere l’Armata Rossa. Anas, che è stato consigliere di Ahmad Shah Massud, il comandante tajiko assassinato da Al Qaeda due giorni prima dell’11 settembre, sostiene di trattare con mullah Omar in persona.
Anche l’Italia è fortemente impegnata sul fronte diplomatico. Nello scorso fine settimana l’inviato speciale della Farnesina Massimo Iannucci è partito per l’ennesima missione esplorativa al confine afghano-pakistano. E nelle stesse ore alla Casa Bianca il premier Silvio Berlusconi era a colloquio con Obama: ha confermato l’invio di altri 500 militari in Afghanistan e offerto la disponibilità italiana ad accogliere alcuni detenuti di Guantanamo.
La prossima scadenza è il G8 Esteri del 25 e 26 giugno a Trieste. Alla conferenza sll’Afpak saranno presenti anche i sauditi. E nei colloqui informali si parlerà certamente delle trattative con i talebani. l


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16 dicembre 2012 | Terra! | reportage
Afghanistan Goodbye
Dopo oltre dieci anni di guerra in Afghanistan i soldati italiani cominciano a tornare a casa. Questa è la storia del ripiegamento di 500 alpini dall’inferno di Bakwa, una fetta di deserto e montagne, dimenticata da Dio e dagli uomini, dove le penne nere hanno sputato sangue e sudore. I famigerati ordigni improvvisati chiamati in gergo Ied sono l’arma più temibile dei talebani che li sotterrano lungo le piste. Questo è il filmato ripreso da un velivolo senza pilota di un blindato italiano che salta in aria. A bordo del mezzo con quattro alpini del 32imo genio guastatori di Torino c'ero anch'io. Grazie a 14 tonnellate di corazza siamo rimasti tutti illesi. Il lavoro più duro è quello degli sminatori che devono aprire la strada alle colonne in ripiegamento. Il sergente Dario Milano, veterano dell’Afghanistan, è il cacciatore di mine che sta davanti a tutti. Individua le trappole esplosive da un mucchietto di terra smossa o da un semi invisibile filo elettrico del detonatore che spunta dalla sabbia. Nel distretto di Bakwa, 32 mila anime, questo giovane afghano rischia di perdere la gamba per la cancrena. Il padre ha paura di portarlo alla base italiana dove verrebbe curato, per timore della vendetta talebana. La popolazione è succube degli insorti e dei signori della droga. Malek Ajatullah è uno dei capi villaggio nel distretto di Bakwa. La missione del capitano Francesco Lamura, orgoglioso di essere pugliese e alpino è dialogare con gli afghani seduto per terra davanti ad una tazza di chai, il tè senza zucchero di queste parti. Malek Ajatullah giura di non saper nulla dei talebani, ma teme che al ritiro delle truppe italiane il governo di Kabul non sia in grado di controllare Bakwa. Tiziano Chierotti 24 anni, caporal maggiore del 2° plotone Bronx era alla sua prima volta in Afghanistan. Una missione di sola andata. La polizia afghana cerca tracce dei talebani nel villaggio di Siav, ma gli insorti sono come fantasmi. Il problema vero è che nessuno vuole restare a Bakwa, dove in tutto il distretto ci sono solo 100 soldati dell’esercito di Kabul. Il maggiore Gul Ahmad ha arrestato tre sospetti che osservavano i movimenti della colonna italiana, ma neppure con il controllo dell’iride e le impronte digitali è facile individuare i talebani. Il caporal maggiore Erik Franza, 23 anni, di Cuneo è alla sua seconda missione in Afghanistan. Suo padre ogni volta che parte espone il tricolore sul balcone e lo ammaina solo quando gli alpini del 2° reggimento sono tornati a casa. Per Bakwa è passato anche il reggimento San Marco. I fucilieri di marina, che garantiscono il servizio scorte ad Herat, hanno le idee chiare sulla storiaccia dei due marò trattenuti in India. Anche se ordini da Roma li impongono di non dire tutto quello che pensano. Per Natale i 500 alpini di base Lavaredo saranno a casa. Per loro è l’addio all’Afghanistan dove rimangono ancora 3000 soldati italiani.

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20 novembre 2001 | Studio Aperto | reportage
Strage di giornalisti. Uccisa Maria Grazia Cutuli del Corriere della Sera
Il 19 novembre 2001 quattro giornalisti vengono massacrati da una banda di talebani sulla strada che dal Pakistan porta a Kabul. Fra le vittime Maria Grazia Cutuli, del Corriere della Sera, che avevo conosciuto ad Epoca.

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28 agosto 2008 | Studio Aperto | reportage
Afghanistan: italiani in guerra
Studio aperto, Tg1 e Tg2 hanno lanciato il nostro servizio esclusivo di Panorama sui soldati in guerra in Afghanistan. Le immagini che vedete non sono state girate da me o da Maki Galimberti che mi accompagnava come fotografo, come dicono nel servizio, bensì dagli stessi soldati italiani durate la battaglia di Bala Murghab.
Di seguito pubblico il testo che ho ricevuto dai coraggiosi cineoperatori con l'elmetto: "Nei giorni dell’assedio di Bala Murghab il 5,6,7 e 8 agosto, con i fucilieri della Brigata Friuli erano presenti anche quattro militari Toni T. , Francesco S. , Giuseppe N. , Giuseppe C. , tutti provenienti dal 28° Reggimento “Pavia” di istanza Pesaro. È stato proprio il C.le Mag.Sc. Francesco S. a girare le immagini che vedete con una telecamera di fortuna, in condizioni difficili e con grande rischio personale.Infatti tra i compiti assolti dal 28° Reggimento di Pesaro c’è proprio la raccolta di informazioni e documentazioni video sulle operazioni di prima linea".

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10 agosto 2009 | Radio24 | reportage
Afghanistan
Al fronte con gli italiani/ Base Tobruk
Visori notturni e musica a palla nei blindati Lince del convoglio diretto a base Tobruk, nella famigerata provincia di Farah. Il fortino più avanzato sul fronte sud dello schieramento italiano nell’Afghanistan occidentale. Il pericolo, anche di notte, sono le trappole esplosive piazzate lungo le poche strade asfaltate. Un piatto di pressione che attiva l’ordigno al passaggio del blindato o un radiocomando, anche un semplice telefonino, e salti in aria. I ragazzi della 6° compagnia Grifi confidano in San Michele, protettore dei paracadutisti e negli inibitori di segnale montati sui blindati. A dieci giorni dalle cruciali elezioni presidenziali del 20 agosto l’avamposto Tobruk è in prima linea per garantire la sicurezza del voto in una delle aree più pericolose dell’Afghansitan. Bala Baluk e Shewan, a pochi chilometri di distanza sono roccaforti dei talebani e dei combattenti stranieri della guerra santa internazionale. I seggi elettorali in quest’area dovrebbero essere un a trentina, ma non è ancora chiaro quanti saranno effettivamente aperti il giorno delle elezioni. “Verranno sicuramente ridotti per motivi di sicurezza – conferma il capitano Gianluca Simonelli comandante di base Tobruk – ma ci stiamo organizzando con l’esercito afghano e la polizia per garantire il diritto di voto anche nelle zone più calde. I talebani non la faranno da padroni”. Fausto Biloslavo da base Tobruk, Afghanistan occidentale

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21 agosto 2009 | Radio24 | reportage
Afghanistan
Al fronte con gli italiani/ I primi risultati nel distretto di Bala Baluk
L’Afghanistan ha vinto la “battaglia” per il voto”. Anche nelle zone più a rischio, come la provincia di Farah, i talebani non sono riusciti a far saltare in aria le elezioni. Nonostante molti seggi siano rimasti chiusi. I primi conteggi indicano che gli afghani, nella zona calda di Bala Baluk, hanno votato per il presidente in carica Hamid Karzai. La sicurezza garantita dai paracadutisti della Folgore è stata determinante. I baschi amaranto della 6° compagnia Grifi presidiavano a distanza i soli 5 seggi aperti su 30 del turbolento distretto. Dove hanno votato 862 afghani. Ben oltre la metà, 569, per Karzai. Secondo, con 121 voti, il rivale pasthun del presidente in carica Ashraf Ghani Ahmadzai. Seguito dal tajiko Abdullah Abdullah con 105 voti. Frozan Fana, candidata donna, ha ottenuto 2 voti in un’area dove esiste solo il burqa. Si è votato anche a Chakab. Non un paesino qualunque, ma il villaggio dove è nato Said Ayub il governatore ombra degli insorti nella provincia di Farah. Centoventicinque elettori, su 600 registrati, hanno sfidato le minacce talebane andando a votare nella piccola moschea di Chakab. I voti per Karzai sfiorano il 90%. Comunque non è stata una passeggiata. Nelle ultime 36 ore nel settore occidentale dell’Afghanistan, comandato dal generale della Folgore, Rosario Castellano, sono stati registrati 22 attacchi. Compresi tre razzi lanciati contro Tobruk, la base avanzata italiana a Bala Baluk. Il più vicino è esploso a 150 metri da una torretta di sorveglianza. Fausto Biloslavo da base Tobruk, provincia di Farah Per Gr24 il sole 24 ore

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07 maggio 2009 | Radio City | intervento
Afghanistan
L'ultima trincea, la sfida che non possiamo perdere
Dibattito sulla crisi nel paese al Crocevia dell'Asia con il direttore di Limes Lucio Caracciolo

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12 agosto 2009 | Radio24 | reportage
Afghanistan
Al fronte con gli italiani/ "Noi voteremo per Karzai"
“Noi voteremo per Karzai” assicura Nazir Ahmad, un capo villaggio amico degli italiani, riferendosi alle presidenziali del 20 agosto e al favorito Hamid Karzai capo dello stato in carica. Il tenente Francesco Vastante della 4° compagnia Falchi è seduto per terra a bere il tè con Nazir nella valle di Kohe Zor. Una vallata tranquilla dove l’Italia ha finanziato 15 pozzi per l’acqua. In cambio gli afghani non vogliono saperne dei talebani. “Almeno in questa valle stiamo vincendo la sfida” sottolinea il tenente Vastante. L’area è quella di Shindad dove sono previsti una cinquantina di seggi per il voto presidenziale e provinciale, che apriranno quasi tutti. Anche nella famigerata valle di Zirko, santuario degli insorti e dei signori della droga, secondo le promesse dei capi clan locali. Gli italiani hanno donato ingenti quantità di bulbi di zafferano per convincere i contadini della valle a convertire le piantagioni di oppio. Per le elezioni le autorità afghane stanno reclutando anche personale femminile necessario alle perquisizione delle donne in burqa che verranno a votare. Talvolta, sotto i burqa, si sono nascosti dei terroristi suicidi. Il 3 luglio un kamikaze si è fatto saltare in aria, con un pulmino, al passaggio di un blindato della compagnia Falchi. I parà a bordo del mezzo, che si è capovolto, sono rimasti miracolosamente illesi. Non dimenticheranno mai l’attentatore vestito di bianco, la vampata giallognola dell’esplosione ed il fumo nero che li ha avvolti. Fausto Biloslavo da Shouz, Afghanistan occidentale per Radio 24 Il Sole 24 ore

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20 ottobre 2009 | SBS Radio Italian Language Programme | intervento
Afghanistan
Gli italiani pagano i talebani?
Mazzette ai talebani, pagati dai servizi segreti italiani in Afghanistan, che sarebbero costate la vita a dieci soldati francesi fatti a pezzi in un’imboscata lo scorso anno. Un’accusa infamante lanciata ieri dalle colonne del blasonato Times di Londra, con un articolo che fa acqua da tutte le parti. “Spazzatura” l’ha bollato il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, che ha dato mandato di querelare il quotidiano britannico. Secondo il Times la nostra intelligence avrebbe pagato “decine di migliaia di dollari i comandanti talebani e signori della guerra locali per mantenere tranquilla” l’area di Surobi, 70 chilometri a Sud Est di Kabul. Dal dicembre 2007 al luglio 2009, poco meno di duecento soldati italiani, tenevano base Tora un avamposto nell’Afghanistan orientale. L’obiettivo dei pagamenti era di evitare gli attacchi agli italiani e vittime “che avrebbero provocato difficoltà politiche in patria”. Invece ci sono stati ben otto combattimenti con un morto e cinque feriti fra le nostre forze e quelle afghane. Il 13 febbraio, nella famigerata valle di Uzbin, roccaforte talebana, è stato ucciso il maresciallo Giovanni Pezzulo. Il Times sbaglia anche la data della sua morte scrivendo che era caduto nel 2007. Per il valore dimostrato quel giorno il milanese Davide Lunetta, sergente del 4° Reggimento alpini paracadutisti, è stato premiato dalla Nato come sottufficiale dell’anno. Il 3 novembre verrà decorato al Quirinale. In un’altra battaglia i ranger di Bolzano hanno salvato dalle grinfie talebane la preziosa tecnologia di un aereo senza pilota Usa precipitato. Il 3 febbraio era finito in un’imboscata, durante un’ispezione nell’area di Surobi, il generale degli alpini Alberto Primicerj. Alla faccia della zona tranquilla, descritta dal Times, grazie alle mazzette pagate dai nostri servizi. Non solo: la task force Surobi ha sequestrato in un centinaio di arsenali nascosti e quintali di droga. In una nota palazzo Chigi sottolinea che "il governo non ha mai autorizzato nè consentito alcuna forma di pagamento di somme di danaro in favore di membri dell'insorgenza di matrice talebana in Afghanistan, nè ha cognizione di simili iniziative attuate dal precedente governo". Sul Times è relegato in una riga, verso la fine, un aspetto non di poco conto. Il centro destra ha vinto le elezioni nell’aprile del 2008 ed il governo si è insediato l’8 maggio. Fino a quel giorno governava Romano Prodi e gli ordini per l’Afghanistan arrivavano dal ministro della Difesa Arturo Parisi. Secondo il Times l’intelligence italiana “avrebbe nascosto” ai francesi, che nell’agosto 2008 ci hanno dato il cambio, il pagamento dei talebani. L’accusa più infamante è che per questa omissione siano finiti in un’ imboscata dieci militari d’Oltralpe massacrati il 18 agosto nella famigerata valle di Uzbin. Ieri l’ammiraglio Christophe Prazuck, portavoce dello stato maggiore francese, ha bollato come “infondato” l’articolo del Times. Anche la Nato ha smentito. In realtà gli alleati conoscevano benissimo la situazione a Surobi. Agli inizi di agosto del 2008, in occasione del passaggio di consegne, gli ufficiali d’Oltralpe sono stati informati dai nostri di “prestare particolare attenzione alla valle di Uzbin” la zona più pericolosa di Surobi. Il Times sostiene che gli uomini dell’intelligence americana “rimasero allibiti quando scoprirono, attraverso intercettazioni telefoniche, che gli italiani avevano “comprato” i militanti anche nella provincia di Herat". A tal punto che il loro rappresentante a Roma, nel giugno 2008, avrebbe protestato con il governo Berlusconi. Palazzo Chigi “esclude che l’ambasciatore degli Stati Uniti (allora Ronald Spogli) abbia inoltrato un formale reclamo in relazione a ipotetici pagamenti" ai talebani. Invece gli americani lodavano il lavoro degli italiani a cominciare dal generale americano Dan McNeill, comandante della Nato a Kabul. Il Times non sa che esiste un documento classificato della Nato dove il caso Surobi viene indicato come modello di successo da replicare. E la firma è proprio di un ufficiale britannico. Il compito delle barbe finte italiane a Surobi era di “facilitare” la sicurezza del contingente. Per farlo dovevano ottenere informazioni, che vengono pagate perché in Afghanistan non basta una pacca sulla spalla. Tutti i servizi alleati lo fanno. Da questo ce ne vuole di inventiva per sostenere che davamo mazzette ai talebani e che farlo di nascosto ha provocato la morte dei poveri soldati francesi. Non solo: al posto dei dollari la task force Surobi ha utilizzato un altro sistema. Portavano un ingegnere per costruire un pozzo, i viveri a dorso di mulo nei villaggi isolati dalla neve, oppure costruivano un piccolo pronto soccorso o una scuola. In cambio arrivavano le informazioni sugli arsenali nascosti o le trappole esplosive.

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