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Reportage
07 agosto 2009 - Esteri - Afghanistan - Panorama
Noi, sotto il fuoco dei talebani
I talebani ci hanno accolto con una valanga di fuoco. Eduardo rispondeva sparando con la mitragliatrice sopra il blindato. A un certo punto l’ho visto sbattere indietro la testa. Un proiettile di kalashnikov aveva centrato gli occhialoni anti sabbia ed era entrato nell’elmetto uscendo da dietro» racconta il caporal maggiore scelto dei paracadutisti Domenico Buonaurio, 30 anni di Napoli. Eduardo Donnantuono, il suo compagno del 183° reggimento Nembo, è un miracolato. Quando è uscito dal blindato il suo volto era una maschera di sangue, ma il proiettile gli ha fatto solo un graffio. Pochi centimetri più in là e il 24 giugno sarebbe morto.
Il miracolo di Eduardo è una delle storie di guerra raccontate a Panorama dai paracadutisti della brigata Folgore nella trincea afghana. Da fine maggio i soldati italiani hanno combattuto dure battaglie con i talebani in vista delle cruciali elezioni presidenziali del 20 agosto. Mentre in tutto il paese si susseguono attentati, nell’area occidentale i 2800 uomini comandati dal generale Rosario Castellano sono impegnati su due fronti. A nord, nella vallata di Bala Murghab, dove è rimasto ferito il «miracolato» e a sud nell’infernale provincia di Farah.
Il 25 luglio è scoppiata l’ultima grossa battaglia durata 5 ore nei pressi di Shewan, una roccaforte dei talebani sul fronte meridionale. «Stavamo avanzando sul greto del fiume alla ricerca di un deposito di armi assieme ai soldati afghani» racconta il capitano Matteo Epifani del primo reggimento bersaglieri di Cosenza. «I primi due colpi di mortaio sono esplosi cinquanta metri davanti a noi. Poi ho sentito partire il razzo Rpg e ho visto il fumo dell’impatto: uno dei miei carri era stato colpito». Il razzo talebano ha centrato la torretta di un cingolato Dardo della 2° compagnia Leoni. Il caporal maggiore scelto Floro Guarna sporgeva dal carro per individuare il nemico. Le schegge lo hanno investito, una gli ha portato via un pezzo di osso del braccio destro. «Per un attimo, dietro un muretto, ho visto la sagoma di chi ci ha tirato il razzo. Poi il botto e Floro che crolla dentro il carro, ma continua a impartire ordini. Gli ho legato un laccio emostatico al braccio per fermare l’emorragia» ricorda con emozione il caporal maggiore Cristiano Pasculli, 24 anni della provincia di Crotone, gli stivali ancora sporchi del sangue del suo commilitone. Quando hanno tirato fuori Guarna dal carro pensavano che fosse morto. Invece ce l’ha fatta ed è stato evacuato con un elicottero americano.
Dopo aver salvato il ferito il blindato Lince del capitano Epifani è finito sotto il tiro dei talebani. «Abbiamo cercato riparo in una casa disabitata. Appena scesi dal mezzo un razzo lo ha colpito e poi è arrivato un colpo di mortaio» racconta il comandante dei Leoni. «Dovevamo strisciare, perché ci sparavano con armi pesanti. Per fortuna le mura, anche se in paglia e fango, tenevano, ma ogni colpo scatenava un terremoto» spiega l’ufficiale dei bersaglieri che non scorderà facilmente il suo battesimo del fuoco.
A Farah la base El Alamein è una fornace a cielo aperto di tende da campo, dove la temperatura tocca normalmente i 50 gradi. I parà giurano che si è arrivati a 62, ma il colonnello Gabriele Toscani De Col ha altri problemi. «I talebani del luogo in molti casi impugnano le armi per mancanza di alternative. Quelli più attivi e pericolosi sono i combattenti stranieri» spiega il comandante del 187° reggimento Folgore. Intercettazioni radio e notizie di intelligence confermano che Farah pullula di arabi, pachistani, turchi e iraniani. Dopo uno scontro è stato rinvenuto il cadavere di un adepto ceceno della Jihad internazionale.
A 400 chilometri di distanza, la vallata di Bala Murghab è il fronte nord dei soldati italiani. Negli ultimi due mesi hanno sostenuto 15 scontri, che sono costati una dozzina di feriti. I talebani uccisi sono diverse decine, ma è difficile fare una stima precisa perché gli insorti portano subito via i cadaveri. «Li abbiamo visti di notte caricarsi i corpi in spalla» racconta il capitano Girolamo Bufi, della 19° compagnia Linci. Faccia da bravo ragazzo, 30 anni, di Molfetta, alla sera offre un bicchiere di camomilla sotto la tenda. Ci spiega che gli «ins», come i parà chiamano gli insorti, utilizzano la rete dei canali di irrigazione per avvicinarsi. «Pensiamo che li svuotino dell’acqua per usarli come trincee» rivela Bufi. Altri sono più sbruffoni, come il comandante integralista che chiamava sul telefonino ogni sera il tenente colonnello Roberto Trubiani dicendogli: «Sono pronto a sfidarvi in campo aperto».
La base avanzata di Bala Murghab è ricavata tra i ruderi di un ex cotonificio. I paracadute degli aviolanci per i rifornimenti sono distesi a mezz’aria per garantire un minimo di ombra. «Ci sono stati momenti in cui i razzi sibilavano sopra le nostre teste ogni sera all’ora di cena» dice Trubiani.
I parà hanno combattuto fin dal primo giorno, il 21 maggio, quando sono arrivati in colonna lungo l’unica pista che porta a Bala Murghab. I talebani avevano allagato la strada nel villaggio di Akazai e scatenato una furiosa imboscata. «Sparavano dai campi di grano, nascosti sugli alberi e da quelle feritoie ricavate nelle pareti delle case» indica il caporal maggiore Buonaurio. Stiamo passando per la stessa strada chiusi nel blindato Lince, che i soldati chiamano «salva vita» perché resiste quasi sempre alle trappole esplosive.
Durante la battaglia del 21 maggio Alessandro Iosca, un parà romano di 23 anni, era incollato alla mitragliatrice del suo mezzo. «Eravamo sotto il fuoco da oltre un’ora. Razzi Rpg mi sono esplosi sopra la testa provocando del fumo nero. Continuavo a sparare, ma solo dopo cinque minuti ho sentito un dolore al braccio» rammenta il parà. «Allora ho notato il sangue. Mi ricordo di aver detto per radio: “Mi hanno preso”». Un proiettile gli ha colpito il braccio sinistro lasciando una cicatrice grande come un bottone, ma lui è tornato in prima linea.
Il comandante di questi giovani in guerra è il colonnello Marco Tuzzolino, un simpatico siciliano di 45 anni con la barba bianca. Il suo nome in codice è Jocker. Non giocava, tuttavia, alle 7.40 del 10 giugno, ennesimo giorno di battaglia, quando ha ordinato di far fuoco ai mortai da 120 millimetri. Non succedeva dalla seconda guerra mondiale. Della squadra mortaisti Pegaso fa parte anche Linda Fei, 27 anni, pisana dagli occhi verdi. Con lei in trincea a Bala Murghab, c’è solo un’altra ragazza, che indossa il basco amaranto.
Nella verde vallata immersa fra le montagne di sabbia della provincia di Badghis i talebani sono ovunque. Il governo controlla il bazar di Bala Murghab, ma 750 metri oltre sventola la bandiera bianca dei fondamentalisti islamici. Non in segno di resa, ma per delimitare la zona sotto il loro controllo nel sobborgo di Gudham, che si inerpica su una collina. I soldati dell’esercito afghano, con l’appoggio dei parà, hanno provato a conquistarla. Dodici uomini uccisi e altri sei risultano dispersi. Alcuni erano feriti e sono stati decapitati. I loro resti li hanno dati in pasto ai cani. Da quel giorno la collina è stata ribattezzata Hamburger hill ed è rimasta nella mani dei talebani.
Dopo due mesi e mezzo di aspri combattimenti gli anziani dei villaggi hanno convinto il governo afghano e gli insorti a concordare il «nafaq», una specie di tregua in vista delle elezioni. L’esercito afghano si è ritirato e i talebani hanno smesso di attaccare gli italiani. Nel nafaq è contenuta anche l’intesa per l’asfaltatura della pista che arriva dal capoluogo provinciale: si farà con i soldi giapponesi e il lavoro di una ditta iraniana. L’accordo più importante è, però, sul voto. Nimatullah, capo villaggio vicino ai talebani, ha il barbone nero e lo sguardo penetrante. Dopo una shura di tutti i capi clan con il governatore di Badghis e il generale Castellano, l'amico degli insorti assicura che dei 33 seggi previsti nella zona, almeno 27 apriranno il giorno delle elezioni. «Quasi tutti nelle zone controllate dai talebani» precisa Nimatullah. Molti anziani dei clan pasthun locali hanno già dichiarato di appoggiare il presidente uscente Hamid Karzai, ma in Afghanistan tutto è relativo. Uno di loro, Haji Aminullah Haq, è il capo di Akazai covo di talebani. Folta barba d’argento e turbante bianco candido assicura: «Nel mio villaggio gli italiani non verranno più attaccati, per ora, ma a dieci chilometri da qui non garantisco nulla».

video
20 maggio 2009 | Matrix | reportage
Afghanistan - guerra o pace
Finalmente un lungo dibattito sulla crisi nel paese al crocevia dell'Asia. Alessio Vinci conduce su Canale 5 alle 23.30 AFGHANISTAN GUERRA E PACE. Una puntata tosta con il ministro della Difesa Ignazio La Russa, il segretario di Rifondazione comunista Paolo Ferrero, il collega Pietro Suber e Fausto Biloslavo.

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13 giugno 2010 | Memoria audiovisivi | reportage
Professione Difesa
I giornalisti aggregati alle unità combattenti nei teatri più difficili, come l'Afghanistan. Un video sul giornalismo embedded realizzato da Antonello Tiracchia. E il racconto della mia storia: l'avventura dell'Albatross, la morte in prima linea di Almerigo ed i reportage di guerra.

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01 dicembre 2009 | Rai3 - Cominciamo Bene | reportage
Il dramma dei baby clandestini
Ogni anno sono circa settemila i minori stranieri non accompagnati che arrivano in Italia alla ricerca dell'Eldorado occidentale. Arrivano dal Nord Africa, dai paesi dell'Est, ma pure dall'Afghanistan dove un viaggio da incubo più che di speranza

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radio

14 agosto 2009 | Radio24 | reportage
Afghanistan
Al fronte con gli italiani / Trappola esplosiva per i parà
SHEWAN - Il fumo nero e lugubre si alza in un istante per una quindicina di metri. “Attenzione Ied alla testa del convoglio” lanciano subito l’allarme per radio i paracadutisti della Folgore in uno dei blindati più vicini all’esplosione. La tensione è alle stelle. La trappola esplosiva, chiamata in gergo Ied, era nascosta sulla strada. I parà che spuntano della botola dei mezzi puntano le mitragliatrice pesanti verso le casupole di Shewan, roccaforte dei talebani. La striscia d’asfalto che stiamo percorrendo è la famigerata 517, soprannominata l’autostrada per l’inferno. Il convoglio composto da soldati italiani, americani e poliziotti afghani scorta due camion con il materiale elettorale per le presidenziali del 20 agosto. I talebani di Shewan da giorni annunciano con gli altoparlanti delle moschee che i veri fedeli dell’Islam non devono andare alle urne. Chi sgarra rischia di venir sgozzato o quantomeno di vedersi tagliare il dito, che sarà segnato con l’inchiostro indelebile per evitare che lo stesso elettore voti più volte. La colonna è partita alle 13.30 da Farah (Afghanistan sud occidentale) per portare urne, schede e altro materiale elettorale nel distretto a rischio di Bala Baluk. Novanta chilometri di paura, con i talebani che attendono i convogli come avvoltoi. Prima ancora di arrivare nell’area “calda” di Shewan giungevano segnalazioni di insorti in avvicinamento verso il convoglio. Li hanno visti i piloti degli elicotteri d’attacco Mangusta giunti in appoggio dal cielo. Ad un certo punto la strada si infila fra quattro casupole in fango e paglia, dove i civili afghani sembrano scomparsi da un momento all’altro. I talebani avevano già colpito e dato alle fiamme due cisterne afghane ed un camion che trasportava un’ambulanza. Le carcasse fumanti che superiamo sono la prima avvisaglia che ci aspettano. Nel blindato Lince del tenente Alessandro Capone, 30 anni, romano, comandante del primo plotone Nembo, i parà sono pronti al peggio. La trappola esplosiva ha colpito un Coguar americano, all’inizio della colonna con l’obiettivo di immobilizzarlo e bloccare tutto il convoglio. Invece il mezzo anti mina resiste e prosegue senza registrare feriti a bordo. Sui tetti delle casupole stanno cercando riparo alcuni soldati dell’esercito afghano. “L’Ana (le forze armate di Kabul nda) ha visto qualcosa” urla il parà che spunta dalla botola del Lince. Tutti hanno il dito sul grilletto e ci si aspetta un’imboscata in piena regola dopo lo scoppio dell’Ied. Invece la coppia di elicotteri Mangusta che svolazzano bassi su Shewan consigliano i talebani di tenere giù la testa. L’attacco è fallito. Il materiale elettorale un’ora dopo arriva destinazione, ma la battaglia per le elezioni in Afghanistan continua.

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10 agosto 2009 | Radio24 | reportage
Afghanistan
Al fronte con gli italiani/ Base Tobruk
Visori notturni e musica a palla nei blindati Lince del convoglio diretto a base Tobruk, nella famigerata provincia di Farah. Il fortino più avanzato sul fronte sud dello schieramento italiano nell’Afghanistan occidentale. Il pericolo, anche di notte, sono le trappole esplosive piazzate lungo le poche strade asfaltate. Un piatto di pressione che attiva l’ordigno al passaggio del blindato o un radiocomando, anche un semplice telefonino, e salti in aria. I ragazzi della 6° compagnia Grifi confidano in San Michele, protettore dei paracadutisti e negli inibitori di segnale montati sui blindati. A dieci giorni dalle cruciali elezioni presidenziali del 20 agosto l’avamposto Tobruk è in prima linea per garantire la sicurezza del voto in una delle aree più pericolose dell’Afghansitan. Bala Baluk e Shewan, a pochi chilometri di distanza sono roccaforti dei talebani e dei combattenti stranieri della guerra santa internazionale. I seggi elettorali in quest’area dovrebbero essere un a trentina, ma non è ancora chiaro quanti saranno effettivamente aperti il giorno delle elezioni. “Verranno sicuramente ridotti per motivi di sicurezza – conferma il capitano Gianluca Simonelli comandante di base Tobruk – ma ci stiamo organizzando con l’esercito afghano e la polizia per garantire il diritto di voto anche nelle zone più calde. I talebani non la faranno da padroni”. Fausto Biloslavo da base Tobruk, Afghanistan occidentale

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21 agosto 2009 | Radio24 | reportage
Afghanistan
Al fronte con gli italiani/ I primi risultati nel distretto di Bala Baluk
L’Afghanistan ha vinto la “battaglia” per il voto”. Anche nelle zone più a rischio, come la provincia di Farah, i talebani non sono riusciti a far saltare in aria le elezioni. Nonostante molti seggi siano rimasti chiusi. I primi conteggi indicano che gli afghani, nella zona calda di Bala Baluk, hanno votato per il presidente in carica Hamid Karzai. La sicurezza garantita dai paracadutisti della Folgore è stata determinante. I baschi amaranto della 6° compagnia Grifi presidiavano a distanza i soli 5 seggi aperti su 30 del turbolento distretto. Dove hanno votato 862 afghani. Ben oltre la metà, 569, per Karzai. Secondo, con 121 voti, il rivale pasthun del presidente in carica Ashraf Ghani Ahmadzai. Seguito dal tajiko Abdullah Abdullah con 105 voti. Frozan Fana, candidata donna, ha ottenuto 2 voti in un’area dove esiste solo il burqa. Si è votato anche a Chakab. Non un paesino qualunque, ma il villaggio dove è nato Said Ayub il governatore ombra degli insorti nella provincia di Farah. Centoventicinque elettori, su 600 registrati, hanno sfidato le minacce talebane andando a votare nella piccola moschea di Chakab. I voti per Karzai sfiorano il 90%. Comunque non è stata una passeggiata. Nelle ultime 36 ore nel settore occidentale dell’Afghanistan, comandato dal generale della Folgore, Rosario Castellano, sono stati registrati 22 attacchi. Compresi tre razzi lanciati contro Tobruk, la base avanzata italiana a Bala Baluk. Il più vicino è esploso a 150 metri da una torretta di sorveglianza. Fausto Biloslavo da base Tobruk, provincia di Farah Per Gr24 il sole 24 ore

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20 agosto 2009 | Radio24 | reportage
Afghanistan
Al fronte con gli italiani/ Alle urne fra minacce talebane e presunti brogli
Si parte all’alba da base Tobruk, con i paracadutisti della Folgore, per garantire la sicurezza delle elezioni presidenziali in Afghanistan nella turbolenta provincia di Farah. Nel distretto di Bala Baluk, infestato dai talebani, sono aperti 5 seggi su 30. I parà della 6° compagnia Grifi, dislocati nei punti nevralgici, sono pronti ad intervenire per difendere le urne. Gli insorti hanno proclamato una specie di coprifuoco contro le elezioni “degli infedeli che occupano il paese”. Chi va ai seggi a queste parti rischia la pelle ancora prima di arrivarci. Con dei volantini affissi nelle moschee l’emirato talebano ha minacciato “di piazzare mine sulle strade principali”. I terroristi suicidi si sono inventati nuove tattiche come spiega prima di partire il tenente dei paracadutisti Alessandro Capone. L’elezione del nuovo presidente afghano e dei consigli provinciali nelle zone a rischio come questa di Bala Baluk è un terno al lotto. Nell'umile e polveroso villaggio di Sharak, le 40 famiglie che ci abitano avevano ricevuto solo 8 certificati elettorali. "E' passato il comandante Zabid Jalil e gli abbiamo consegnato le schede. Ha detto che ci pensa lui a scegliere il presidente. Meglio così: se i talebani le trovavano ci avrebbero ammazzato" racconta haji Nabu, il capo villaggio. Jalil è il boss della tribù e ha pure i gradi di generale della polizia. Un esempio di "democrazia" all'afghana.

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18 agosto 2009 | Radio24 | reportage
Afghanistan
Al fronte con gli italiani / Scontro a Farah
Questa mattina dalle 9.48, ora afghana, i Leoni del primo reggimento bersaglieri sono stati attaccati ad una decina di chilometri a nord di Farah, con armi controcarro e fucili mitragliatori. I fanti piumati erano partiti dalla base El Alamein nel capoluogol della turbolenta provincia sotto controllo del nostro contingente nell’Afghanistan occidentale. I cingolati d’attacco Dardo, armati di cannoncino da 25 millimetri, hanno risposto al fuoco. Sono stati impegnati anche i mortai da 60 millimetri in una battaglia che è durata fino alle 11.50. Fra gli italianii non si registrano feriti o seri danni ai mezzi. La richiesta di intervento era giunta dal governatore di Farah che aveva segnalato la presenza dei talebani pronti ad ostacolare le elezioni presidenziali del 20 agosto. La battaglia per il voto in Afghanistan è appena iniziata.

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