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Reportage
21 agosto 2009 - Esteri - Afghanistan - Panorama
Inferno afghano tra bombe e pizzo
«
A Bala Baluk siamo per Karzai,
l’unico presidente possibile.
Sono passati trent’anni
dai tempi del re, Zahir
Shah, trent’anni di promesse
non mantenute. Almeno lui ci ha
asfaltato le strade» tuona haji Mohammed
Ibrahim, turbante pashtun, panciotto
da signore sopra la tunica afghana e occhi
spiritati. Ex capo della polizia, a 49
anni è uno dei personaggi più influenti
in questo angolo dimenticato da Allah
nella turbolenta provincia di Farah. Hamid
Karzai, capo dello stato in carica, è
il prevedibile vincitore delle cruciali elezioni
presidenziali del 20 agosto, sebbene
gli attacchi dei talebani scuotano perfino
Kabul. L’unica incertezza è se ce la
farà al primo turno o se sarà costretto al
ballottaggio.
AFarah, la prima linea a sud dello schieramento
italiano nell’Afghanistan occidentale,
i seggi sono stati ricavati in polverose
moschee o casupole disabitate, in
paglia e fango, con il tetto a cupola. Non
per il loro fascino esotico, ma per la facilità
a trasformarle in fortini inespugnabili.
«È il seggio più vicino a dushman, il
nemico» spiegava tre giorni prima del voto
un ufficiale della polizia afghana in una
casetta mezzo diroccata del villaggio di
Takh-e Sirak. La roccaforte degli insorti di
Shewan, sulla famigerata statale 517, è a
soli 10 chilometri. Da quelle parti comanda
mullah Sultan, un ex prigioniero nel
campo americano di Guantanamo. Alla
vigilia del voto, dagli altoparlanti delle
moschee di Shewan, il verbo talebano intimava
agli afghani di
non andare ai seggi «dei
nemici dell’Islam». La
minaccia per i disobbedienti
che avrebbero trovato il coraggio di
presentarsi alle urne era piuttosto chiara:
«Ti veniamo a cercare per tagliarti naso,
orecchie e il dito segnato con l’inchiostro
indelebile, prova del voto».
Lontano dalle grandi città il distretto
di Bala Baluk è l’altra faccia dell’Afghanistan,
dove il tempo sembra essersi fermato
al Medioevo e il voto è stato un terno
al lotto. I certificati elettorali, in molte
aree a rischio come questa, venivano
venduti per una trentina di dollari al referente
del candidato di turno. In alcune
province la percentuale di donne registrate
al voto era stranamente alta. Il sospetto
è che in molti seggi riservati ai «fantasmi
», abituati al burqa e costretti a ubbidire,
il voto sia stato manipolato.
Nelle quattro province occidentali
controllate da 5 mila soldati della Nato
(2.700 gli italiani) i seggi previsti
erano 1.014. Una novantina non sono
stati allestiti per motivi di sicurezza e
150 erano a rischio di attacco. In alcuni
distretti del sud dove combattono inglesi
e americani il 25-30 per cento dei
seggi è stato depennato a causa della minaccia
talebana.
A Bala Baluk la gente aveva paura di
andare alle urne, però il conto da presentare
al nuovo presidente è pronto. «Dopo
il voto ci aspettiamo una rete di canali
per l’irrigazione, così cominceremo a
coltivare qualcosa di diverso dall’oppio,
Poi scuole, cliniche e lavoro per i giovani.
Altrimenti per loro l’unica alternativa
è arruolarsi con i talebani» sentenzia
haji Allahuddin Khan. Barbone grigio,
sguardo furbo, snocciola il tazbè, il rosario
musulmano, seduto a piedi scalzi e
gambe incrociate. Assieme a lui sono arrivati
oltre 30 anziani per una delle shure,
le riunioni dei capivillaggio, organizzate
dalle forze di sicurezza afghane e dai
paracadutisti di base Tobruk. Un avamposto
di 140 metri per 40 nel cuore del
territorio talebano a Farah.
Lo guida il capitano Gianluca Simonelli
della 6ª compagnia Grifi. Romano, 31
anni, l’ufficiale italiano è una specie di
Lawrence d’Arabia con il basco amaranto.
Si siede in mezzo agli anziani, che sputacchiano
i resti del tabacco masticato, e
prende una tazza di chai, il tè afghano,
con i militari di Kabul addestrati dagli
italiani. Con i suoi uomini si è dannato
l’anima per far svolgere le presidenziali in
questo angolo sperduto del paese. «Non
è finita, dopo il 20 agosto l’allerta continua
» spiega il capitano. «Assieme alla polizia
afghana bisogna garantire le scorte
alle urne. I talebani potrebbero minare le
strade, tendere imboscate o attaccare i
convogli con terroristi suicidi».
Nel caso di una vittoria risicata di
Karzai i tajiki, che hanno votato per l’ex
ministro degli Esteri Abdullah Abdullah,
minacciano disordini. «Se ci saranno contestazioni di piazza riguarderanno
le grandi città o la capitale, tappezzate
di manifesti elettorali, dove arriva
la televisione» sostiene Simonelli. «Da
queste parti, nei villaggi, i problemi sono
di pura sopravvivenza».
Ne è un esempio il taglieggiamento dei
camionisti lungo le famose strade asfaltate
da Karzai. Sulla Ring road, che collega
in circolo tutto l’Afghanistan, le vittime
del pizzo sono fermate dai poliziotti.
Chi non paga viene bastonato o si becca
una pallottola in testa, come è capitato
a un afghano che rientrava dall’Iran dopo
anni di lavoro, soccorso dagli italiani.
«Di giorno indossano l’uniforme e di
notte si trasformano in ladroni» accusa senza
mezzi termini Malek Mohammed Hassan.
Si è portato alla base della polizia due
spauriti afghani del suo villaggio, anche
loro picchiati per il pizzo. Gli dà ragione
haji Gadullah, che agita le mani e sembra
sputare i pochi denti che ha in bocca, tanto
si infervora. Talvolta sono i soldati dell’esercito
afghano a intervenire per rimettere
in riga i poliziotti che arrotondano i
120 dollari di paga con le estorsioni.
Sulla 517, «l’autostrada per l’inferno»,
ci pensano i talebani di Shewan a vessare
chi è di passaggio. I camion vengono fermati
e l’autista sequestrato. Poi chiamano
la ditta o la famiglia del malcapitato.
Minacciando di bruciare il carico se non
viene pagato un riscatto di 4-5 mila dollari per il rilascio dell’ostaggio. In
giugno hanno addirittura bloccato un
mezzo che trasportava le salme delle vittime
di un’imboscata tesa dagli stessi talebani.
Anche in questo caso pretendevano
la tangente dai familiari.
Chi vorrebbe farla finita subito con gli
insorti è il tracagnotto colonnello Mohammed
Zaher Hamkar, vicecomandante
del 2° Kandak, uno dei battaglioni afghani
addestrati dagli italiani. «Sono oltre
quella montagna» proclama l’ufficiale,
con un paio di baffoni che erano di moda
ai tempi del regime filosovietico. «Assieme
ai paracadutisti abbiamo una potenza
di fuoco che ci permette di spazzarli
via. Solo così la popolazione comincerà
ad avere fiducia nelle istituzioni».
Espugnare Shewan non sarà una passeggiata.
Almeno 300 guerriglieri hanno
scavato cunicoli che collegano le case tra
loro, come facevano i vietcong.
Da Herat il generale Rosario Castellano,
che comanda il contingente italiano,
è intenzionato a non dare tregua ai talebani
dopo la pausa elettorale. «L’obiettivo
è recuperare le aree ancora in mano agli
insorti» dichiara a Panorama. «I loro attacchi
degli ultimi 20 giorni sono stati
principalmente contro convogli umanitari,
aziende impegnate nella ricostruzione,
camion per il trasporto del materiale
elettorale, a dimostrazione di quanto siano
canaglie. La gente è stufa».
Sul fronte nord, a Bala Murghab, regge
una specie di tregua per il voto. La
maggioranza dei seggi è stata allestita anche
nelle zone controllate dai talebani,
che avevano naturalmente i loro candidati
preferiti: per le presidenziali Karzai
e nelle provinciali haji Rangin Khan.
«Anche a nord non staremo a guardare
» taglia corto Castellano. «Assieme all’esercito
afghano controlleremo che gli
insorti si siano effettivamente ritirati, come
avevano promesso». Gli anziani tuttavia
frenano, sostenendo che il conflitto
afghano «non si risolve
con i proiettili».
A sud il garante di
un negoziato con i
seguaci di mullah
Omar è Wali Karzai,
il fratellastro del presidente
afghano accusato di traffico di
droga. Nella provincia di Farah il carismatico
haji Mohammed Ibrahim difende
a spada tratta l’ipotesi di accordo con
i talebani. «I comandanti di Farah chiedono
di essere rimossi dalla lista nera della
Nato dei ricercati vivi o morti e vogliono
che si fermino gli attacchi aerei»
spiega Ibrahim. «Mullah Omar non consegnerà
mai le armi, ma potrebbe essere
convinto ad accettare una spartizione del
potere: la possibilità di nominare i governatori
delle province meridionali e un
suo uomo nel prossimo esecuivo».
Una cinquantina di chilometri più a
nord, nella valle di Kohe Zor, la musica
cambia. «Noi sosteniamo Karzai, rispettiamo
la costituzione afghana e non vogliamo
vedere talebani in giro» assicura
Nazir Ahmad, un capovillaggio amico
degli italiani. Nella zona, desertica, l’Italia
ha finanziato la costruzione di una
quindicina di pozzi. L’area è quella di
Shindad, dove hanno aperto quasi tutti i
seggi. Proprio come hanno promesso i capi
locali, anche nella famigerata valle di
Zirko, santuario della guerriglia e dei signori
della droga.
AKohe Zor il tenente Francesco Vastante
della 4ª compagnia Falchi è seduto all’aperto
a gambe incrociate con Nazir. Il
capovillaggio oltre a una scuola vuole un
pulmino. L’ufficiale dei parà prende nota,
sorseggiando un tè, e spiega: «Qui giriamo
liberamente parlando con la gente. Almeno
in questa valle stiamo vincendo».



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16 novembre 2001 | Studio Aperto - Italia 1 | reportage
I talebani perdono Jalalabad
I talebani perdono Jalalabad

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18 maggio 2010 | Matrix | reportage
Morire per Kabul?
La guerra di pace dei soldati italiani, che non possiamo perdere. Nuove offensive, negoziati con i talebani e la speranza del disimpegno fra baruffe politiche e provocazioni. Una trasmissione difficile, mentre gli ultimi due alpini caduti stavano rientrando in patria.

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13 aprile 2010 | RaiNews24 | reportage
Rassegna stampa del mattino
Emergency in manette in Afghanistan

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10 agosto 2009 | Radio24 | reportage
Afghanistan
Al fronte con gli italiani/ Base Tobruk
Visori notturni e musica a palla nei blindati Lince del convoglio diretto a base Tobruk, nella famigerata provincia di Farah. Il fortino più avanzato sul fronte sud dello schieramento italiano nell’Afghanistan occidentale. Il pericolo, anche di notte, sono le trappole esplosive piazzate lungo le poche strade asfaltate. Un piatto di pressione che attiva l’ordigno al passaggio del blindato o un radiocomando, anche un semplice telefonino, e salti in aria. I ragazzi della 6° compagnia Grifi confidano in San Michele, protettore dei paracadutisti e negli inibitori di segnale montati sui blindati. A dieci giorni dalle cruciali elezioni presidenziali del 20 agosto l’avamposto Tobruk è in prima linea per garantire la sicurezza del voto in una delle aree più pericolose dell’Afghansitan. Bala Baluk e Shewan, a pochi chilometri di distanza sono roccaforti dei talebani e dei combattenti stranieri della guerra santa internazionale. I seggi elettorali in quest’area dovrebbero essere un a trentina, ma non è ancora chiaro quanti saranno effettivamente aperti il giorno delle elezioni. “Verranno sicuramente ridotti per motivi di sicurezza – conferma il capitano Gianluca Simonelli comandante di base Tobruk – ma ci stiamo organizzando con l’esercito afghano e la polizia per garantire il diritto di voto anche nelle zone più calde. I talebani non la faranno da padroni”. Fausto Biloslavo da base Tobruk, Afghanistan occidentale

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11 agosto 2009 | Radio24 | reportage
Afghanistan
Al fronte con gli italiani/ A caccia dei razzi talebani
A caccia di mortai e razzi talebani che colpivano Tobruk, la base più avanzata dei paracadutisti italiani nella famigerata provincia di Farah. E’ questa la missione del 2° plotone Jolly guidato dal maresciallo Cristiano Nicolini, 35 anni, di Ancona. Si esce di notte con i visori notturni montati sull’elmetto che fanno sembrare il paesaggio afghano ancora più lunare di quello che è, con una tinta verdognola. Si va verso Shewan la roccaforte dei talebani, dove gli inosrti hanno scavato tunnel e cunicoli che collegano le case, le postazioni trincerate e spuntano a 300 metri dall’abitato in campo aperto. Come i vietcong. Un reticolo mortale per i parà che da queste parti hanno combattuto battaglie durissime. “Negli ultimi due mesi le trappole esplosive e le imbosctae sono aumentate fortmente, in vista delle elezioni” spiega il maresciallo Nicolini. Per il voto del 20 agosto che eleggerà il nuovo presidente afghano sono previsti 1089 seggi elettorali nel settore ovest del paese controllato dagli italiani. Almeno il 15% è a rischio. I seggi vengono ricavati in scuole e moschee ed i parà li hanno ispezionati tutti nell’ostica provincia di Farah. In alcuni casi neppure esistevano, in un villaggio gli afghani non avevano idea che ci fossero le elezioni e da altre parti non hanno trovato anima disposta a parlare del voto. La maggioranza dei seggi, però, sarà aperta con l’aiuto della Folgore. Fausto Biloslavo da base Tobruk, Afghanistan occidentale per Radio 24 Il Sole 24 ore

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19 agosto 2009 | Radio24 | reportage
Afghanistan
Al fronte con gli italiani/ Talebani scatenati contro le elezioni
Nelle ultime ore i talebani si stanno scatenando contro le elezioni presidenziali in Afghanistan di domani. Con attentati spettacolari nella capitale e cercando di ostacolare il voto nelle zone “calde” come la provincia di Farah sotto controllo italiano. Ieri mattina è toccato ad un convoglio dei bersaglieri del primo reggimento, che scortava urne e materiale elettorale a finire sotto il fuoco, come racconta a Radio 24 il tenente Marco Carnevale. Ai Leoni, i fanti piumati partiti da base El Alamein, nel capoluogo di Farah, fischiavano i razzi controcarro Rpg sopra le teste lanciati dai talebani annidati in un villaggio ed in un boschetto. I nostri hanno risposto al fuoco in una battaglia che è durata un paio d’ore (audio originale). Sono intervenuti anche un caccia F 16 e gli elicotteri Mangusta, ma non è stato necessario bombardare. I soldati italiani sono illesi ed i mezzi non hanno subito danni significativi. “I nemici dell’Afghanistan vogliono intimidire la popolazione negandole il diritto al voto” denuncia il colonnello Gabriele Toscani De Col comandante della task force italiana a Farah. Più a nord, vicino ad Herat dove ha sede il comando del nostro contingente di 2700 uomini si è svolta nelle ultime ore un’altra operazione contro una cellula di insorti specializzata nella preparazione delle cosiddette Ied le trappole esplosive, che un mese fa hanno ucciso il parà Alessandro Di Lisio. La battaglia per il voto in Afghanistan è iniziata. Fausto Biloslavo da base avanzata Tobruk, provincia di Farah, Afghanistan occidentale Per Radio 24 il Sole 24 ore

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17 agosto 2009 | Radio24 | reportage
Afghanistan
Al fronte con gli italiani/Voto e kamikaze
I paracadutisti di base Tobruk sono pronti a partire prima dell’alba diretti verso il deserto della turbolenta provincia di Farah. Il tenente Alessandro Capone, 30 anni, romano, comandante del primo plotone Nembo illustra la missione. Sul cruscotto del suo blindato Lince c’è Aldino il pinguino, un pupazzo portafortuna che i parà grattano ogni volta che escono verso l’ignoto. Dove i talebani possono sempre aspettarci al varco. Nelle quattro province sotto controllo italiano i seggi elettorali per le elezioni presidenziali e provinciali del 20 agosto sono 1014. Fra il 10 ed il 13% non apriranno perché troppo esposti alla minacce dei talebani ha rivelato il generale Rosario Castellano che guida il contingente. Nel sud, dove gli insorti sono più forti, si raggiungeranno punte del 20-30% di seggi chiusi. Dagli altoparlanti delle mosche nelle roccaforti talebani, come Shewan. ad una ventina di chilometri da base Tobruk, gli estremisti ordinano alla gente di non andar votare per “i nemici dell’Islam”. E preparano di peggio, con terroristi kamikaze, come comunicano per radio i parà italiani che scortano i poliziotti afghani dispiegati per le elezioni

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13 agosto 2009 | Radio24 | reportage
Afghanistan
Al fronte con gli italiani/ La "tregua" di Bala Murghab
La vallata di Bala Murghab, nella provincia di Badghis, è il fronte nord dei soldati italiani schierati nell’Afghanistan occidentale. Da fine maggio i parà della Folgore hanno sostenuto 15 scontri costati una dozzina di feriti. I talebani uccisi sono diverse decine. Le storie di guerra dei parà del 183° reggimento Nembo si sprecano: ad Eduardo Donnantuono un proiettile di kalashnikov ha centrato l’elmetto. Quando è uscito dal blindato il suo volto era una maschera di sangue, ma la pallottola gli ha fatto solo un graffio sulla testa. Pochi millimetri più in là e sarebbe morto. Ad Alessandro Iosca, un parà romano di 23 anni, un proiettile ha bucato il braccio. Si è rimesso in sesto è tornato in prima linea a Bala Murghab con la sua unità. Dopo due mesi e mezzo di aspri combattimenti gli anziani dei villaggi hanno convinto il governo afghano ed i talebani a concordare la “nafaq.”. Una specie di tregua in vista delle elezioni. L’esercito afghano si è ritirato ed i talebani hanno smesso di attaccare gli italiani. Il comandante dei parà di Bala Murghab, colonnello Marco Tuzzolino, però, preferisce parlare di “pausa operativa”. Sul voto per le presidenziali e provinciali del 20 agosto, Nimatullah, capo villaggio vicino agli insorti, con il barbone nero come la pece, assicura che dei 33 seggi previsti almeno 27 apriranno regolarmente. Quasi tutti nelle zone controllate dai talebani. Fausto Biloslavo Afghanistan occidentale per Radio 24 Il Sole 24 ore

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