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Intervento
03 ottobre 2009 - Prima - Afghanistan - Il Tempo
Paradossi da Pollari a Kabul
In Afghanistan
sequestrano
l’elmetto di
un parà,
scalfito da
un proiettile
talebano,
come prova. A ogni attacco
contro i nostri soldati
la Procura di Roma apre
un fascicolo dovuto, ma
assurdo nella gran parte
dei casi. Con la faccenda
Abu Omar «sparano» su
un uomo morto come il
generale Nicolò Pollari,
che non può difendersi a
causa del segreto di stato.
La magistratura civile
e spesso anche quella militare
sembrano vivere in
un mondo astratto, di codici
e cavilli, lontano dalla
cruda realtà della guerra
in Afghanistan o dalla
sfida mortale del terrorismo
internazionale.
Per non parlare dei blindati che
finiscono sotto il fuoco e vengono sequestrati
per le indagini, mentre servirebbero
come il pane alle truppe italiane
in prima linea, almeno
come pezzi di ricambio.
A Kabul ben 11 blindati
Lince, che tante volte
hanno salvato la vita
ai militari italiani, sono
stati sigillati dall’autorità
giudiziaria negli ultimi
tempi. Ad Herat vale
lo stesso discorso. Per non parlare della
vicenda dell’agente dei servizi segreti,
Lorenzo D'Auria, preso in ostaggio
dai talebani con un collega nel 2007. E
poi rimasto ferito a morte durante un
blitz dei corpi speciali inglesi per liberare
le due barbe finte. La magistratura
ha ordinato che il fuoristrada talebano
crivellato di colpi venga recuperato
e portato in Italia. Gli italiani hanno
dovuto mettere in piedi una pericolosa
operazione in territorio ostile rischiando
altre vite, per portarsi via il
gippone.
La storia più assurda riguarda un
parà che ha combattuto con onore a
Bala Murghab sul fronte nord del nostro
schieramento in Afghanistan.
Mentre sparava
con la mitragliatrice
dalla torretta di un blindato
un cecchino talebano
lo ha centrato sfondandogli
l’elmetto. Per
fortuna il proiettile gli
ha solo sfiorato la testa.
Un vero miracolato che voleva tenersi
l’elmetto colpito per ricordo.
Ma purtroppo non è stato così. I
carabinieri l’hanno sequestrato come
prova. Non si capisce bene di cosa.
Ogni volta che i nostri saltano su una
mina o finiscono in un’imboscata,
mezz’ora dopo la procura di Roma
annuncia l’apertura di un fascicolo.
Un atto dovuto, ma spesso assurdo.
In Afghanistan non diamo la caccia
ai camorristi e non dobbiamo assicurare
alla giustizia dei colpevoli. Si tratta
di guerra con combattimenti veri e
propri, che hanno una rilevanza tattica
e non penale. In ogni caso non si è
visto un solo magistrato dalle parti
della roccaforte talebana
di Shewan, o nella
famigerata valle di Mushai
a raccogliere testimonianze
fra gli afghani.
Il paradosso, come accadde
in Iraq dopo le
inchieste sulla battaglia
dei ponti, è che i comandanti tengono
i loro uomini chiusi in base. Non per
paura del nemico, ma per timore di
finire sotto inchiesta dopo aver fatto il
proprio dovere. Ci sono ufficiali che
hanno subito il terzo grado da parte
della polizia militare, come se fossero
loro i colpevoli e non i tagliagole di
turno. Un pericolo simile riguarda la
nostra intelligence.
Il caso dell’imam Abu Omar prelevato
da agenti della Cia a Milano nel
2003 è un pasticcio, che sarebbe stato
meglio coprire con un pietoso velo di
riserbo. Invece si è arrivati ad un processo
ed il pubblico ministero, Armando
Spataro, ha chiesto
13 anni di carcere per
l’ex direttore del Sismi,
Nicolò Pollari e altri
agenti.
Gli imputati neppure
si possono difendere
perché sono vincolati
dal segreto di stato. Metodi
poco ortodossi, però, hanno dato
i loro frutti nella guerra al terrorismo
internazionale. L’opinione pubblica
dovrebbe rendersi conto che azioni
spregiudicate e talvolta spietate possono
evitare attentati a casa propria.
Forse è meglio sporcarsi le mani con il
sangue ed i diritti dei terroristi, piuttosto
che con quello delle loro vittime.

video
14 novembre 2001 | TG5 - Canale 5 | reportage
Il primo collegamento da Kabul liberata dai talebani
Il primo collegamento da Kabul liberata dai talebani

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16 novembre 2001 | Studio Aperto - Italia 1 | reportage
I talebani perdono Jalalabad
I talebani perdono Jalalabad

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07 giugno 2010 | Porta a Porta | reportage
Un servizio sulle guerre di pace degli italiani
Le “guerre” di pace degli italiani sono iniziate nel 1982, con la prima importante missione all’estero nel martoriato Libano, dopo il conflitto fra israeliani e palestinesi. Oggi sono quasi diecimila i soldati italiani impegnati nel mondo in venti paesi. Oltre alla baionette svolgiamo un apprezzato intervento umanitario a favore della popolazione. Dall’Africa, ai Balcani, al Medio Oriente, fino all’Afghanistan non sempre è una passeggiata per portare solo caramelle ai bambini. Nel 1991, durante la guerra del Golfo, un caccia bombardiere italiano è stato abbattuto dalla contraerea irachena. Il pilota Gianmarco Bellini ed il navigatore Maurizio Cocciolone sono rimasti per 45 giorni nelle cupe galere di Saddam Hussein. Quella in Somalia, è stata una missione sporca e dura, macchiata da casi isolati di torture e maltrattamenti. Al check point Pasta, a Mogadiscio, i paracadutisti della Folgore hanno combattuto la prima dura battaglia in terra d’Africa dopo la seconda guerra mondiale. Alla fine del conflitto etnico siamo intervenuti a pacificare la Bosnia. Per il Kosovo, nel 1999, l’aeronautica militare ha bombardato i serbi effettuando 3mila sortite. Una guerra aerea di cui non si poteva parlare per opportunità politiche. Dopo l’11 settembre i focolai di instabilità sono diventati sempre più insidiosi, dall’Iraq all’Afghanistan. Nel 2003, con la missione Antica Babilonia a Nassiryah, i nostri soldati sono rimasti coinvolti nelle battaglie dei ponti contro i miliziani sciiti. In sole 24 ore gli italiani hanno sparato centomila colpi. Siamo sbarcati di nuovo in Libano dopo il conflitto fra Israele ed Hezbollah, ma la nostra vera trincea è l’Afghanistan. Con i rinforzi previsti per l’estate arriveremo a 4mila uomini per garantire sicurezza nella parte occidentale del paese, grande come il Nord Italia, al confine con l’Iran. Herat, Bala Murghab, Farah, Bala Baluk, Bakwa, Shindad sono i nomi esotici e lontani dove fanti, alpini, paracadutisti combattono e muoiono in aspri scontri e imboscate con i talebani o attentati. Dal 1982, nelle nostre “guerre” di pace, sono caduti 103 soldati italiani.

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[altri video]
radio

07 novembre 2009 | SBS Radio Italian Language Programme | intervento
Afghanistan
Cosa fare dopo la caotica elezione di Karzai?
Un dibattito a più voci con toni talvolta vivaci sui crimini di guerra in Afghanistan e la giustizia internazionale.

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13 agosto 2009 | Radio24 | reportage
Afghanistan
Al fronte con gli italiani/ La "tregua" di Bala Murghab
La vallata di Bala Murghab, nella provincia di Badghis, è il fronte nord dei soldati italiani schierati nell’Afghanistan occidentale. Da fine maggio i parà della Folgore hanno sostenuto 15 scontri costati una dozzina di feriti. I talebani uccisi sono diverse decine. Le storie di guerra dei parà del 183° reggimento Nembo si sprecano: ad Eduardo Donnantuono un proiettile di kalashnikov ha centrato l’elmetto. Quando è uscito dal blindato il suo volto era una maschera di sangue, ma la pallottola gli ha fatto solo un graffio sulla testa. Pochi millimetri più in là e sarebbe morto. Ad Alessandro Iosca, un parà romano di 23 anni, un proiettile ha bucato il braccio. Si è rimesso in sesto è tornato in prima linea a Bala Murghab con la sua unità. Dopo due mesi e mezzo di aspri combattimenti gli anziani dei villaggi hanno convinto il governo afghano ed i talebani a concordare la “nafaq.”. Una specie di tregua in vista delle elezioni. L’esercito afghano si è ritirato ed i talebani hanno smesso di attaccare gli italiani. Il comandante dei parà di Bala Murghab, colonnello Marco Tuzzolino, però, preferisce parlare di “pausa operativa”. Sul voto per le presidenziali e provinciali del 20 agosto, Nimatullah, capo villaggio vicino agli insorti, con il barbone nero come la pece, assicura che dei 33 seggi previsti almeno 27 apriranno regolarmente. Quasi tutti nelle zone controllate dai talebani. Fausto Biloslavo Afghanistan occidentale per Radio 24 Il Sole 24 ore

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21 agosto 2009 | Radio24 | reportage
Afghanistan
Al fronte con gli italiani/ I primi risultati nel distretto di Bala Baluk
L’Afghanistan ha vinto la “battaglia” per il voto”. Anche nelle zone più a rischio, come la provincia di Farah, i talebani non sono riusciti a far saltare in aria le elezioni. Nonostante molti seggi siano rimasti chiusi. I primi conteggi indicano che gli afghani, nella zona calda di Bala Baluk, hanno votato per il presidente in carica Hamid Karzai. La sicurezza garantita dai paracadutisti della Folgore è stata determinante. I baschi amaranto della 6° compagnia Grifi presidiavano a distanza i soli 5 seggi aperti su 30 del turbolento distretto. Dove hanno votato 862 afghani. Ben oltre la metà, 569, per Karzai. Secondo, con 121 voti, il rivale pasthun del presidente in carica Ashraf Ghani Ahmadzai. Seguito dal tajiko Abdullah Abdullah con 105 voti. Frozan Fana, candidata donna, ha ottenuto 2 voti in un’area dove esiste solo il burqa. Si è votato anche a Chakab. Non un paesino qualunque, ma il villaggio dove è nato Said Ayub il governatore ombra degli insorti nella provincia di Farah. Centoventicinque elettori, su 600 registrati, hanno sfidato le minacce talebane andando a votare nella piccola moschea di Chakab. I voti per Karzai sfiorano il 90%. Comunque non è stata una passeggiata. Nelle ultime 36 ore nel settore occidentale dell’Afghanistan, comandato dal generale della Folgore, Rosario Castellano, sono stati registrati 22 attacchi. Compresi tre razzi lanciati contro Tobruk, la base avanzata italiana a Bala Baluk. Il più vicino è esploso a 150 metri da una torretta di sorveglianza. Fausto Biloslavo da base Tobruk, provincia di Farah Per Gr24 il sole 24 ore

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18 agosto 2009 | Radio24 | reportage
Afghanistan
Al fronte con gli italiani/Il seggio più vicino a "dushman" il nemico
La casupola disabitata, in paglia e fango, con il tetto a cupola sembra abbandonata dallo scorso anno, quando i marines combattevano nel deserto infernale di Bala Baluk. Oggi ci sono i paracadutisti della Folgore in questo sperduto angolo della provincia di Farah. All’interno è ancora peggio, ma la casupola viene subito scelta come seggio elettorale per le elezioni presidenziali e provinciali del 20 agosto. Non per il suo fascino esotico, ma perché può venir trasformata in un fortino. La roccaforte talebana di Shewan si trova ad un pugno di chilometri. Da quelle parti comanda mullah Sultan, un ex prigioniero del campo americano di Guantanamo. “E’ il seggio più vicino a dushman, il nemico” spiega un ufficiale della poliza afghana. Se incroci di notte lui ed i suoi uomini, barbe lunghe e stile armata Brancaleone, li scambi per talebani. Solo arrivarci da queste parti è un terno al lotto come spiega il tenente Alessandro Capone della 6° compagnia Grifi (audio originale). Il giorno del voto i paracadutisti italiani sono pronti a difendere le elezioni armi in pugno. La scorsa settimana sembrava che nella zona a rischio di Bala Baluk sarebbe stato disponibile un solo seggio, ma nelle ultime ore si punta ad aprirne 8 o 9. Un successo, anche se la vera incognita è quanti elettori si recheranno alle urne. I talebani hanno minacciato che taglieranno il naso, le orecchie ed il dito segnato dall’inchiostro indelebile di chi è andato a votare. Fausto Biloslavo da base Tobruk, provincia di Farah, Afghanistan per Radio 24 il Sole 24 ore

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19 agosto 2009 | Radio24 | reportage
Afghanistan
Al fronte con gli italiani/ Talebani scatenati contro le elezioni
Nelle ultime ore i talebani si stanno scatenando contro le elezioni presidenziali in Afghanistan di domani. Con attentati spettacolari nella capitale e cercando di ostacolare il voto nelle zone “calde” come la provincia di Farah sotto controllo italiano. Ieri mattina è toccato ad un convoglio dei bersaglieri del primo reggimento, che scortava urne e materiale elettorale a finire sotto il fuoco, come racconta a Radio 24 il tenente Marco Carnevale. Ai Leoni, i fanti piumati partiti da base El Alamein, nel capoluogo di Farah, fischiavano i razzi controcarro Rpg sopra le teste lanciati dai talebani annidati in un villaggio ed in un boschetto. I nostri hanno risposto al fuoco in una battaglia che è durata un paio d’ore (audio originale). Sono intervenuti anche un caccia F 16 e gli elicotteri Mangusta, ma non è stato necessario bombardare. I soldati italiani sono illesi ed i mezzi non hanno subito danni significativi. “I nemici dell’Afghanistan vogliono intimidire la popolazione negandole il diritto al voto” denuncia il colonnello Gabriele Toscani De Col comandante della task force italiana a Farah. Più a nord, vicino ad Herat dove ha sede il comando del nostro contingente di 2700 uomini si è svolta nelle ultime ore un’altra operazione contro una cellula di insorti specializzata nella preparazione delle cosiddette Ied le trappole esplosive, che un mese fa hanno ucciso il parà Alessandro Di Lisio. La battaglia per il voto in Afghanistan è iniziata. Fausto Biloslavo da base avanzata Tobruk, provincia di Farah, Afghanistan occidentale Per Radio 24 il Sole 24 ore

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