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Reportage
07 gennaio 2010 - Inchiesta - Serbia - Panorama
L'ultima frontiera del turismo sanitario
testo e fotografie di FAUSTO BILOSLAVO
"Porto una dentiera che è
peggio di un morso da
cavallo. Questa sera avrò
un impianto nuovo con
un sorriso smagliante. Non ci vogliono mesi o anni e spendo
9.500 euro, un terzo rispetto al preventivo
dei dentisti in Italia». Non ha dubbi
Walter Zironi, ferrarese, 77 anni, arzillo
come un ragazzino. A Novi Sad, il capoluogo
serbo della Vojvodina, nel cuore
dei Balcani, è arrivato in macchina.
Nello studio dentistico dei coniugi
Telarov si sottopone con calma alle
ultime radiografie prima di finire
sotto i ferri. Quattro ore di intervento
per farsi i denti in ceramica dell’arcata
superiore.
La Serbia, cenerentola dell’ex
Iugoslavia, è la nuova
frontiera del turismo sanitario
italiano. Non solo per i
dentisti, ma anche per la chirurgia
estetica, l’ingrossamento del pene
e il cambio di sesso. Tutto a prezzi stracciati,
tre o quattro volte meno rispetto all’Italia.
E con la stessa qualità, affermano
gli specialisti del sorriso smagliante e del
bisturi che ringiovanisce. «In media sono
40-50 al mese gli italiani che vanno in Serbia
per il turismo medicale. Il 70 per cento
è interessato a chirurgia estetica e plastica,
cure odontoiatriche e interventi di
altro genere. Il resto per le cure termali»:
parola di Sebastiano Mazzucchelli, tour
operator veterano dell’ex Iugoslavia e presidente dell’Assotravel lombarda. Secondo
stime raccolte da Panorama, sono 400-
500 gli italiani che si fanno curare i denti
in Serbia ogni anno e 100-150 ricorrono
alla chirurgia estetica o ricostruttiva.
A fine novembre Panorama ha incontrato
un gruppo di 11 italiani a Novi Sad.
Volati in Serbia per mettersi a posto i denti.
Marco Mario Costantino, maresciallo
della polizia municipale di Lavello, in Basilicata,
è da poco in pensione. «In Italia
dovevo vendere la casa per mettermi a posto
la bocca. In Serbia sono venuto con mia
moglie. Il preventivo per tutti e due è 20.500 euro» spiega. Per otto impianti
sull’arcata superiore e sei su quella inferiore,
oltre alla devitalizzazione di tre
denti, in Italia gli avevano chiesto 38 mila
euro, oltre all’anestesista.
Vitto, alloggio e volo dall’Italia sono
offerti dall’inventore del «viaggio del
sorriso»: Enzo Lozzi, 46 anni, di Pescara.
Senza un’ombra di capelli o di peluria,
vestito come un modello, si è laureato
in Serbia e specializzato in Romania.
In Italia non gli vogliono riconoscere i
titoli di studio e lui sta facendo causa per
danni al ministero della Sanità.
«Nel 2008 ho impiantato 918 viti per
sostenere i denti finti definitivi» dice.
«Quest’anno arriverò a 1.300, assieme
al lavoro in Romania. Che l’Ordine dei
medici italiano venga a vedere come lavoriamo
e poi giudichi». Lozzi si è fatto
la mano all’ospedale militare di Novi
Sad: «Durante la guerra nei Balcani
arrivavano i cadaveri dei militari serbi,
su cui facevo pratica». Con lui lavora Alberto
Brunelli, che si occupa delle
protesi. Lo studio
dentistico serbo non
è sfarzoso, ma sembra
funzionare.
«In Lombardia mi
avevano fatto un preventivo
di 48 mila euro.
Avrei dovuto chiedere
un mutuo: il dentista
mi aveva indicato
una finanziaria. In Serbia
ho speso un terzo e
quando ho fatto controllare
il lavoro a Como è stato
giudicato eccellente»
dice Gianfranco Buoso.
«Quando la gente non arriva
a fine mese, le strutture
low cost all’estero assumono
una certa rilevanza. Però bisogna
fare attenzione: il risparmio
e i tempi brevi spesso vanno
a discapito di qualità, sicurezza
e igiene. Per non parlare
dell’esercizio abusivo della professione.
In alcuni paesi dell’Est i titoli di
studio in medicina sono falsi o non verificabili
» sostiene Giuseppe Renzo della
Federazione italiana dei dentisti, che il 18
e 19 dicembre si troveranno a Roma per
discutere pure di turismo sanitario. «Ci
vorranno anni per capire se le prestazioni
hanno provocato danni».
«I materiali che usiamo non sono roba
cinese. Acquistiamo tutto in Italia o in
Germania» assicura da Novi Sad Brunelli,
mostrando le confezioni degli impianti
di una ditta di Cremona. L’idea ha successo
non solo per i costi, ma pure per i
tempi ridotti e l’ospitalità serba. Roberto
Simoncini, gestore di un pub e sala biliardo
a Roma, è in attesa della protesi.
Non vede l’ora di tornare a mangiare cevapcici,
le salsicce di carne balcaniche. «A
fine cura viene offerta la cena della masticazione,
un test per vedere se i denti nuovi
tengono» racconta il suo amico Giuseppe
Cusimano. Teodora è una serba bella
e giovane, che parla italiano e scorta i
pazienti in studio o in giro per la città, a
bere un bicchierino di slivovica o sulla
fortezza che domina il Danubio. C’è chi
fa shopping, chi un giro per le chiese ortodosse
o chi si concede un caffè nel mercato
all’aperto.
A Belgrado sarebbero una decina i dentisti
serbi con clienti italiani. «Arrivano
per lo più dal Nord Italia, in aereo da Milano
o Trieste. Mio figlio va a prenderli
in aeroporto e per chi non vuole spendere
troppo in albergo trovo piccoli appartamenti
a 50 euro al giorno» spiega in
italiano Neboisa Simic, omaccione con
gli occhi azzurri, che nei primi anni Novanta
è venuto a lavorare in nero nel nostro
Paese in fuga dalla guerra. Oggi ha
uno studio dentistico all’avanguardia a Belgrado, con riproduzioni del Tiepolo
sul soffitto e oltre 30 clienti italiani all’anno.
Molti vengono da lui per il tam
tam fra amici, altri dopo averlo trovato
su internet. Come una donna di Muggia
(Trieste), che torna a Belgrado agli inizi
di dicembre per la protesi definitiva.
«I nostri preventivi sono da tre a cinque
volte più bassi. Se in Italia chiedono
15 mila euro, qui se ne spendono 4-5 mila
» spiega Simic. «E per la sera indico
dove mangiare pasta o pizza».
Un altro dentista degli italiani è Veroljub Dabic, che ha ordinato tutta la sua
attrezzatura a Firenze. Un cliente di Modena
gli ha portato l’intera famiglia. Una
pittrice di Roma gli fa da testimonial.
«Il volo andata e ritorno non costa più di
200 euro» spiega. «La qualità del lavoro
è garantita e alla sera si va sui barconi ristoranti
o in discoteca sulla Sava».
Belgrado è rinata dopo la fine delle sanzioni
provocate dalle guerre balcaniche.
La sua movida attrae sempre più gli stranieri.
Dimitri Panfilov è di origini cosacche.
La sua miniclinica Olymp, aperta dal
2007, è ricavata all’ultimo
piano di un palazzone di Novi
Sad. Simpatico e corpulento,
sfoggia un curioso papillon
in plastica. Panfilov si è
fatto le ossa in Germania e sostiene
di avere operato Niki
Lauda, ex pilota di formula 1.
«Questa è la casa della bellezza
e della speranza» dice il
chirurgo. «Ho circa 35 pazienti
italiani l’anno». Liposuzione,
aggiustamento del naso,
viso e seno rifatti vanno per
la maggiore. I prezzi sono
competitivi: 2.650 euro per
l’ingrossamento del seno con
protesi di ultima generazione,
2 mila per un ritocco al naso
e 3.500 per il viso. Dopo avere
mostrato fotografie, prima e
dopo, delle sue «opere», rivela che
sono in aumento i maschi latini
che vogliono migliorare la virilità.
«Vincenzo, siciliano, s’è presentato
con la moglie che doveva fare un
intervento al naso. L’ha fatta uscire e
si è tirato giù i calzoni. Alla fine gli ho
ingrossato il pene». L’ingrossamento e allungamento
costa in media 3 mila euro:
un terzo dei listini occidentali.
Nella capitale serba i chirurghi plastici
più alla moda sono i fratelli Colic. Li
chiamano i «Nip and Tuck» di Belgrado,
dal titolo di una serie tv trasmessa pure
in Italia su due maghi dell’estetica.
«Proprio stamattina ho ricevuto un’email
da Mario, un italiano che ci ha trovati su
internet e vuole rifarsi il naso. Gli costerà
2 mila euro» dice Milan Colic. Il fratello
Miodrag è segretario generale della
Società internazionale di chirurgia estetica
e plastica. «Una volta ci hanno chiesto
se eravamo disposti a cambiare i lineamenti
a un patriota, senza indicare il nome.
Abbiamo detto di no» spiega Miodrag.
Il sospetto è che fosse il generale
Ratko Mladic, uno degli ultimi criminali
di guerra dei Balcani ancora latitanti.
A Belgrado gli stranieri vengono pure
a cambiare sesso. E non solo: «La chirurgia
estetica genitale è in aumento. Da pochi
casi 10 anni fa a uno o due al mese oggi
». Gli uomini si ingrossano il pene e le
donne si rifanno fianchi e vagina.
Non vuole sentir parlare di cambio
del sesso Mico Duricic, il chirurgo estetico
preferito dagli italiani. La sua clinica,
Galathea, è un minitempio tutto
vetro nei sobborghi di Belgrado. «Nella
bellezza tutto deve essere proporzionale.
Ho circa 80 pazienti italiani l’anno,
ma con la crisi le prenotazioni sono
scese del 35 per cento» riferisce. Fra i
suoi clienti annovera una famosa attrice
italiana di cui si rifiuta di fare il nome:
«Il personale le chiedeva l’autografo,
io non sapevo chi fosse. Per gli ospiti
organizziamo visite al monastero di
Fruska o nei locali tipici di Belgrado».
Lisa è il nome di fantasia di una dirigente
d’azienda del Nord Italia che si è affidata
al chirurgo serbo. «Mi sono trovata
come in albergo. Oltre a un grande rispetto
della privacy, offrono tutto, anche
un’infermiera sempre a disposizione» racconta.
«Con farmaci e visite di controllo
ho speso 3 mila euro, metà rispetto all’Italia
». La manager ci ha preso gusto: a Belgrado
va pure dal dentista e a fare la colonterapia.
«La Serbia non è più la pecora
nera d’Europa» sottolinea. «Molte mie
amiche italiane sono venute a Belgrado e
sono tornate a casa ringiovanite». ●

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13 ottobre 2010 | Porta a porta | reportage
Le tigri serbe non fanno prigionieri
“Kosovo je Srbija” (il Kosovo è serbo) gridano gli hooligan di Belgrado durante le partite di calcio. Per loro la ferita della provincia albanese indipendente rimarrà sempre aperta. Giovani, spesso minorenni, studenti o disoccupati, passano facilmente dalle curve degli stadi alle manifestazioni di piazza. Ed il tifo si trasforma in cieca violenza. Sfasciano i Mac Donald, simbolo americano e se la prendono con il governo di Belgrado che vuole entrare in Europa. Nel 2008, dopo la dichiarazione di indipendenza del Kosovo, attaccano l’ambasciata Usa a Belgrado. Dal balcone al primo piano fanno sventolare la bandiera nera con il teschio e le tibie incrociate. Un simbolo che si rifà ai cetnici, i partigiani anti nazisti e anticomunisti, durante la seconda guerra mondiale. Lo stesso simbolo sulla maglietta indossata dal capo degli ultrà serbi calati a Genova. I più famosi sono i Delje, i “coraggiosi” della Stella Rossa di Belgrado, assieme ai Grobari, i “becchini” del Partizan. Acerrimi rivali negli stadi, durante le manifestazioni di piazza si alleano per sfasciare tutto. La Stella rossa è il club calcistico con il più alto numero di dirigenti collusi con la mafia balcanica. La leggenda nera degli ultrà serbi è Zeliko Raznatovic. Il famigerato Arkan, l’immortale, ucciso nel 2000 a Belgrado a raffiche di mitra. Durante la guerra etnica che distrugge la Jugoslavia arruola i tifosi più violenti. Le Tigri, che non fanno prigionieri, come spiega lo stesso Arkan: “Li ammazziamo subito, con un colpo di pistola alla testa,”. Dopo la sua morte la tifoseria continua a venir pilotata. I manager di alcune squadre sono vicini agli oppositori ultranazionalisti di Tomislav Nikolic. Il successore di Vojislav Seselj, dietro le sbarre a L’Aja, con l’accusa di crimini di guerra. Fra gli ultrà non mancano gli estremisti di destra del gruppo Onore, che difende i criminali di guerra serbi, come l’ultimo super latitante, Ratko Mladic. Gli stessi che domenica scorsa si scatenano a Belgrado contro il Gay pride. Non è un caso che gli ultrà attaccano a colpi di slogan soprattutto il presidente serbo Boris Tadic. Europeista convinto, ha voltato pagina con le tragedie della pulizia etnica ed è grande amico del nostro paese. Dallo scorso anno Italia e Serbia sono alleati strategici nei Balcani e Roma spinge per l’ingresso di Belgrado nell’Unione europea. I nostalgici del passato fomentano i giovani tifosi per impedirlo.

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