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Esclusivo
12 aprile 2010 - Prima - Afghanistan - Il Giornale
Gli uomini di Strada confessano. Anzi, no
Si fa sporco e si tinge di giallo il gioco sulla sorte dei tre volontari italiani di Emergency in manette con l’accusa di essere coinvolti in un complotto talebano per uccidere il governatore della provincia afghana di Helmand. Ieri il Times di Londra annunciava che gli italiani e gli altri sei afghani arrestati sabato nell’ospedale di Emergency a Lashkar Gah avevano «confessato» il proprio ruolo nel complotto. Il quotidiano britannico cita Daoud Ahmadi, portavoce del governatore nel mirino. «Tutti e 9 gli arrestati hanno confessato - avrebbe detto il funzionario afghano -. Erano accusati di avere legami con Al Qaida e con i terroristi. Hanno riconosciuto il proprio crimine. Hanno detto che c’era un piano per compiere attentati suicidi nel bazar e nel compound del governatore Gulab Mangal, che volevano uccidere». Il tutto con cinture esplosive e armi scovate nell’ospedale di Emergency.

Peccato che il portavoce del governatore, contattato telefonicamente dal Giornale, abbia smentito i virgolettati del Times. «Non ho mai accusato gli italiani di Emergency di essere in combutta con Al Qaida - ha ribadito -. Ho solo detto sabato (come riportato dal Giornale) che Marco (il chirurgo dell’ong fermato nda) stava collaborando e rispondendo alle domande». Non solo: l’ambasciatore italiano in Afghanistan, Claudio Glaentzer, ha incontrato ieri mattina i tre fermati Marco Garatti, Matteo Dell’Aira e Matteo Pagani. Poi ha dichiarato di averli trovati in «discrete condizioni di salute». L’ambasciatore si è incontrato anche con il governatore Gulab Mangal, presunto obiettivo del complotto che coinvolgerebbe Emergency. E Ahmadi ha cominciato a cambiare tono. Al Giornale ha dichiarato che il probabile attentato «è responsabilità di alcuni individui. Questo non significa che l’intero ospedale di Emergency doveva portare a termine la missione. Spero che gli italiani (arrestati nda) collaborino con noi per fare pulizia di certa gente con intenti criminali».

Nonostante le prime mosse della diplomazia la situazione è estremamente tesa. Circa 200 persone hanno manifestato all’esterno dell’ospedale di Emergency di Lashkar Gah, dove i servizi di sicurezza afghani giurano di aver trovato due cinture da kamikaze, ordigni rudimentali, cinque pistole e nove bombe a mano. «Morte ad Emergency» gridavano i manifestanti. Secondo un giornalista afghano che ha seguito la protesta «la gente ha chiesto a gran voce la chiusura dell’ospedale sostenendo che con la sua attività Emergency aiuta i talebani e costituisce un pericolo per la sicurezza della provincia». Una manifestazione un po’ strana, che sembra organizzata ad arte per dare un contorno «popolare» alle accuse ai tre volontari dell’ong italiana e a sei loro collaboratori afghani.
Gli inglesi sono dentro fino al collo in questa vicenda sempre più tinta di giallo. A Lashkar Gah le truppe britanniche hanno la grande base di Camp Bastion. Le immagini girate dall’agenzia Associated press, durante il blitz di sabato che ha portato agli arresti nell’ospedale di Emergency, mostrano con chiarezza dei soldati con uniforme da combattimento, elmetto e arma individuale tipicamente britannici.
Fonti di intelligence occidentale garantiscono al Giornale che «Emergency, con la sua propaganda anti-Nato e l’aiuto ai talebani feriti deve aver superato il limite. Gli inglesi hanno appoggiato gli afghani per fare un favore agli americani». Le truppe Usa sono impegnate in una difficile offensiva nel Sud della provincia. Emergency, chiudendo un occhio sulle nefandezze talebane, che utilizzano la popolazione come scudo umano, pungola di continua la Nato sulle vittime civili.

Ieri il ministro degli Esteri, Franco Frattini, è stato duro: «Prego con tutto il cuore da italiano che quelle accuse non siano vere, perché l’idea che possano esserci degli italiani per i quali anche una parte di quelle accuse siano vere, mi fa rabbrividire. Bisogna accertare la verità. La confessione è da verificare». Il titolare della Fernesina, poi, ha chiamato al telefono Zalmay Rassoul, la controparte afghana. Ex medico e consigliere del defunto Zahir Shah, il ministro degli Esteri afghano ha vissuto a lungo in esilio a Roma. Non è uno che ama esporsi, ma anche il presidente afghano Hamid Karzai potrebbe intervenire. Da tempo non ama gli inglesi e ultimamente è in rotta con gli americani. Non solo: il governatore di Helmand, Gulab Mangal, presunto obiettivo del complotto, non gli va a genio. Da un po’ voleva mettere al suo posto un fedelissimo, Sheer Mohammed, ma gli inglesi hanno fatto muro, perché lo accusano di essere coinvolto nel traffico di oppio.

«Non respingiamo le accuse lanciate dal governatore, ma stiamo indagando. È ancora troppo presto per capire come siano finite le armi nell’ospedale e chi ne è il responsabile» ha dichiarato il portavoce del ministero degli Interni di Kabul, Zamarai Bashary. Da Lashkar Gah ribadiscono che le «prove ci sono, compreso il compenso di 500mila dollari per il complotto». I distinguo degli Interni dipende dagli ottimi rapporti con l’Italia di Mohamad Hanif Atmar, il nuovo ministro pashtun. Figlio di un governatore ai tempi della monarchia si è arruolato giovanissimo nel famigerato Khad, la polizia segreta messa in piedi dal Kgb durante l’invasione sovietica. Grazie all’addestramento dei reparti antiterrorismo della polizia da parte dei carabinieri e del corpo di frontiera con la Guardia di finanza, l’Italia punterà su Atmar per cercare di risolvere la situazione.

Nella delicata partita il fondatore di Emergency Gino Strada ha continuato a sparare a zero, come un Che Guevara dell’impegno umanitario. «In Afghanistan è scattata una vera e propria guerra ad un ospedale - ha dichiarato Strada - Vogliono togliere di mezzo un testimone scomodo». Per poi rincarare la dose: «Preoccupa che forze afghane possano rapire, non arrestare ma rapire, persone nella peggiore tradizione terroristica». Fra i tanti strali Strada ha detto in serata qualcosa di più sensato sul ritrovamento di armi ed esplosivi, come se avesse letto il Giornale di ieri. Nell’ospedale di Lashkar Gah, in Afghanistan, Emergency ha messo in piedi un sistema di controllo accurato, «ma questo non vuol dire che sia impermeabile. Che qualcuna delle guardie sia stata comprata o forzata da chiunque non lo posso escludere».

(ha collaborato Bahram Rahman)

[continua]

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20 maggio 2007 | Terra! | reportage
I due che non tornarono
Due “fantasmi” resteranno legati per sempre alla brutta storia del sequestro e della liberazione di Daniele Mastrogiacomo. I fantasmi degli ostaggi afghani, gli ostaggi di serie B, il cui sangue pesa meno di quello di un giornalista italiano, come ci hanno detto fra le lacrime i loro familiari ed in tanti a Kabul (…) Gente comune, interpreti ed autisti del circo mediatico che ha invaso per qualche settimana l’Afghanistan e si è dissolto quando il giornalista di Repubblica è tornato a casa sano e salvo. I due fantasmi di questa brutta storia si chiamano Sayed Agha e Adjmal Naskhbandi, i compagni di sventura afghani di Mastrogiacomo che non sono più tornati a casa. I tagliagole talebani non hanno avuto un briciolo di pietà a tagliare loro la testa in nome del Jihad, la guerra santa. (…) Non si capisce cosa aveva da esultare il giornalista italiano, il 20 marzo, quando è sceso dalla scaletta dell’aereo che lo aveva riportato in patria, alzando le braccia al cielo come se avesse vinto un incontro di pugilato all’ultimo round. Alle spalle, sul campo di battaglia, aveva lasciato sia i vivi che i morti: Sayed il suo autista decapitato quattro giorni prima e Adjmal l’interprete rimasto vivo, ma ancora nelle grinfie dei talebani. (…) Purtroppo con il destino già segnato di una condanna a morte che servirà solo a seminare ulteriore zizzania politica in Italia ed in Afghanistan. Fin dal 5 marzo, quando sono stati inghiottiti in tre nella palude talebana della provincia di Helmand, i riflettori erano puntati solo sull’ostaggio eccellente, Daniele Mastrogiacomo. (…) Una prassi nei casi di sequestro dove chi ha il tuo stesso passaporto vale di più dei disgraziati locali che si trascina dietro. Loro se la cavano, si pensa spesso, ma in questo caso non è stato così. Il miraggio di guadagnare un pugno di dollari accompagnando un giornalista straniero a caccia dello scoop l’hanno pagato con la vita. Sayed aveva 25 anni e quattro figli, di cui il più grande Atifah ha solo sei anni. L’ultimo, il quinto che la moglie rischiava di perdere quando ha saputo del sequestro del marito, è nato un giorno prima del funerale del padre. Sayed faceva l’autista e pensava che non fosse tanto rischioso portare in giro Mastrogiacomo in una zona che conosceva come le sue tasche, perché c’era nato e ci viveva. Invece non aveva fatto i conti giusti con i talebani che per vecchie ruggini familiari e con l’accusa di spionaggio l’hanno processato secondo la legge islamica e condannato a morte. (…) Il 16 marzo i tagliagole hanno detto ai tre ostaggi che andavano a fare un giro, ma Sayed doveva sentire che era arrivata la sua ultima ora. Quando l’hanno fatto inginocchiare, a fianco di Mastrogiacomo, nella sabbia, in tunica bianca e con una benda rossa sugli occhi, non si agitava, sembrava rassegnato. Il giudice islamico ha letto una sbrigativa sentenza in nome di Allah ed il boia al suo fianco ha buttato il poveretto nella polvere, di traverso, per decapitarlo meglio. Nella mano destra del boia è apparso un coltellaccio ricurvo per segargli il collo. Sul corpo inanimato della vittima, come se fosse un burattino sena fili i tagliagole solitamente appoggiano la testa e si fanno riprendere soddisfatti. Ci sono voluti 11 giorni ai familiari per recuperare la salma, senza testa, perché nessuno gli ha dato una mano. (…) “Tutto il mondo ci ha dimenticato e si è occupato solo del rilascio del giornalista italiano in cambio di cinque criminali. Sayed e Adjmal lavoravano con lo straniero. Lui è stato liberato e per gli afgani cosa si è fatto?” ci ha detto amaramente Mohammed Dawood il fratello dell’autista ucciso. Adjmal aveva 23 anni e si era sposato da poco. Faceva il giornalista, non solo l’interprete e nelle zone talebane c’era già stato. Non abbastanza per salvarsi la pelle ed evitare di finire in una trappola assieme all’inviato di Repubblica. Con Mastrogiacomo ha diviso le catene ed i dolori del sequestro. (…) Nello scambio con cinque prigionieri talebani detenuti nelle carceri afghane era previsto sia Mastrogiacomo che Adjmal. A tutti e due il capobastone dei tagliagole che li tenevano prigionieri aveva detto “siete liberi”. Invece qualcosa è andato storto e Adjmal non è più tornato a casa. Quando la sua anziana madre ha capito che era ancora ostaggio dei talebani ha avuto un infarto. (…) Per non turbare il successo a metà della liberazione di Mastrogiacomo la grancassa di Repubblica aveva annunciato anche la liberazione di Adjmal e gran parte dei media hanno abboccato all’amo, ma non era vero. Qualche giorno dopo, quando Adjmal mancava tristemente all’appello, sempre Repubblica ha cercato di accreditare la teoria che era stata la sicurezza afghana a farlo sparire per interrogarlo. Anche questa volta non era così. (…) I talebani volevano sfruttare ancora un po’ il povero interprete per tenere sulla graticola il governo di Kabul e quello di Roma, che a parole ha chiesto la liberazione di tutti, ma nei fatti si è portato a casa solo il giornalista italiano. “Sono felice per la liberazione di Daniele, perché la vita di un uomo è stata salvata da un pericolo mortale. Allo stesso tempo sono arrabbiato, perché non ci si è occupati con la stessa attenzione di mio fratello” ci diceva Munir Naskhbandi assieme ad amici e cugini quando il giovane interprete era ancora vivo. Tutti, però, sapevano che il governo del presidente afghano Hamid Karzai non avrebbe più liberato un solo talebano in cambio dell’ostaggio. Per non lasciarsi testimoni afgani alle spalle a dare un’ultima scossa i tagliagole hanno condannato a morte anche Adjmal. La decapitazione di rito è avvenuto un giorno qualsiasi per loro, ma ancora più amaro per noi, la domenica di Pasqua e resurrezione. Attorno ai fantasmi e all’unico sopravissuto di questa storia non mancano le zone d’ombra, che prima o poi andranno chiarite. Rahmattulah Hanefi, l’uomo di fiducia di Emergency, che ha fatto da mediatore è stato arrestato dai servizi segreti afghani il giorno dopo la liberazione di Mastrogiacomo. (…) Il fratello di Sayed Agha, l’autista decapitato, aveva puntato subito il dito contro di lui. Amrullah Saleh il capo dei servizi di Kabul è ancora più duro e dice: “Abbiamo le prove che Hanefi è un facilitatore dei talebani, se non addirittura un loro militante travestito da operatore umanitario”. (…) L’uomo di Emergency avrebbe fatto cadere in una trappola Mastrogiacomo, sarebbe stato una quinta colonna dei tagliagole e avrebbe abbandonato Adjmal al suo destino. Le prove, però, non si vedono e fino a quando non verranno rese note non sapremo se si tratta di una ritorsione contro Emergency troppo blanda con i talebani, oppure un’innominabile verità che schizzerebbe fango su tutti, compreso il governo italiano. Un’altra ombra di questa vicenda è il canale parallelo di mediazione ingaggiato da Repubblica fin dalle prime ore del sequestro. Uno strano free lance italo inglese, Claudio Franco e la sua spalla afgana, hanno mediato per la liberazione. (…) Gino Strada, fondatore di Emergency, sente puzza di servizi segreti e non vuole averne a che fare. La strana coppia rispunta nell’area riservata dell’aeroporto militare di Kabul, quando arriva Mastrogiacomo appena liberato ed in viaggio verso l’Italia. Qualcuno della Nato li ha appena “estratti” dal sud dell’Afghanistan. Franco scatta foto esclusive di Mastrogiacomo mentre sale sul Falcon della presidenza del Consiglio, che lo riporterà a casa. Le immagini non vengono mai pubblicate e sul canale parallelo di mediazione viene steso un velo di silenzio. C‘è voluto un negoziato per avere questa fotografia di Sayed Agha con tre dei suoi cinque bambini. Nell’immagine c’era pure la moglie, ma i familiari, da buoni pasthun, non potevano farla vedere a degli stranieri (…) per di più infedeli. Alla fine hanno tagliato via la moglie e sono rimasti i bambini. Non vedranno più loro padre, morto nella provincia di Helmand, in Afghanistan, (…) per fare l’autista ad un giornalista italiano, Noi preferiamo ricordarlo così, (…) da vivo, con i suoi figli.

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13 aprile 2010 | RaiNews24 | reportage
Rassegna stampa del mattino
Emergency in manette in Afghanistan

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16 aprile 2010 | SkyTG24 | reportage
Luci e ombre su Emergency in prima linea
Per la prima volta collegamento in diretta dal mio studio a Trieste. Gli altri ospiti sono: Luca Caracciolo di Limes, il sottosegretario agli Esteri Alfredo Mantica e l'ex generale Mauro Del Vecchio. In collegamento Maso Notarianni, direttore di Peacereporter

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radio

12 aprile 2010 | Radio 24 | intervento
Afghanistan
Giallo sulla confessione di Emergency
Gioco sporco e tinto di giallo sula sorte dei tre volontari italiani di Emergency in manette con l’accusa di essere coinvolti in un complotto talebano per uccidere il governatore della provincia afghana di Helmand.

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16 aprile 2010 | SBS Australia | intervento
Afghanistan
I tre di Emergency trasefriti nella capitale afghana
Trasferiti a Kabul i tre medici di Emergency. Sembrava che la soluzione fosse ancora lontana.

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13 aprile 2010 | Radio Città Futura | intervento
Afghanistan
La sorte dei tre italiani di Emergency in manette
Gli uomini dei servizi afghani puntano il dito contro il chirurgo Marco Garatti e Matteo D’Aira, il capo infermiere, mentre il giovane Matteo Pagani non sarebbe coinvolto e potrebbe venir ben presto scagionato.

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16 aprile 2010 | Radio 24 | intervento
Afghanistan
I tre di Emergency a Kabul
Una svolta l'arrivo nella capitale afghana degli italiani arrestati e l'incontro con i diplomatici.

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12 aprile 2010 | Rai Radio3 | intervento
Afghanistan
Smentito il Times
Il portavoce del governatore di Helmand, contattato telefonicamente da Il Giornale, ha smentito i virgoletatti del Times. “Non ho mai accusato gli italiani di Emergency di essere in combutta con al Qaida – ha ribadito – Ho solo detto sabato (come riportato da Il Giornale) che Marco (il chirurgo dell’ong fermato nda) stava collaborando e rispondendo alle domande”. IN STUDIO CECILIA STRADA PRESIDENTE DI EMERGENCY.

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