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Intervista esclusiva
14 aprile 2010 - Esteri - Afghanistan - Il Giornale
"Lo strano ruolo di Emergency nel mio rapimento in Afghanistan"
Kash Gabriele Torsello, fotografo free lance, preso in ostaggio nel 2006 in Afghanistan svela per la prima volta i lati oscuri del suo rapimento. Chiamando in causa Ramatullah Hanefi, l’ex responsabile locale dell’ospedale di Emergency a Lashkar Gah. Un’onda lunga di sospetti sempre più tangibili, che porta alla crisi di oggi con l’arresto di tre italiani dell’ong fondata da Gino Strada e sei collaboratori locali.

Non pensa che gli ultimi arresti abbiano un’origine lontana. A causa del coinvolgimento di Emergency nella sua vicenda e nella liberazione di Mastrogiacomo, l’inviato di Repubblica rapito nel 2007?

«Se osserviamo la cronologia dei fatti negli ultimi 4 anni ci sono parecchie stranezze. Nel 2007 è stato arrestato Ramatullah Hanefi coinvolto nella mediazione per la liberazione del giornalista di Repubblica. Non lo hanno giustiziato sul posto. È stato preso per fare delle indagini. Però il fondatore di Emergency, Gino Strada, ha avuto una reazione furiosa. L’inchiesta è stata bloccata senza appurare la concretezza di eventuali ipotesi di reato, ma gli afghani non dimenticano. La tensione fra Emergency, l’ospedale di Lashkar Gah e le autorità di Kabul, è rimasta sotto traccia. Per questo motivo oggi ci si ritrova con una complicazione in più».

Lei ha conosciuto Hanefi, l’ex responsabile locale dell’ospedale di Emergency a Lashkar Gah. Che impressione le ha fatto?

«Con me non è mai stata una persona limpida. Talvolta criticava i talebani e parlava bene delle forze della coalizione internazionale. In altre occasioni sosteneva l’opposto».

Cosa è successo il giorno della sua partenza da Lashkar Gah?

«Era il 12 ottobre 2006 e avevo molte immagini di Musa Qala, dove talebani e soldati inglesi si erano scontrati duramente. Dato che all’ospedale non mi lasciavano usare internet per trasmetterle mi sono deciso a partire verso Kabul. Il giorno prima, l’11 ottobre, Hanefi mi ha proposto di prendere l’autobus. Gli ho detto che lo avrei fatto salendo sul primo mezzo che incontravo. Lui, però, ha insistito sostenendo che era molto difficile trovare il posto. Mi ha detto: “L’unico sistema è comprare il biglietto il giorno prima”. Io tergiversavo, perché non avevo tutta questa voglia di partire. Hanefi, per farla breve, ha mandato un suo collaboratore a comprarlo. Poi me lo ha consegnato e sopra c’era scritto che valeva per l’autobus che partiva all’alba del giorno dopo per Kabul, via Kandahar. C’era addirittura il numero del posto prenotato, dove avrei dovuto sedermi. Hanefi lo sapeva ed io non ho detto in giro che partivo indicando ora e tragitto».
Poi cosa è accaduto?
«Il giorno dopo sono partito utilizzando il biglietto, ma purtroppo i sequestratori mi aspettavano a colpo sicuro, appena usciti da Lashkar Gah. Sulla strada per Kandahar l’autobus è stato fermato. Ho guardato fuori vedendo gente armata. Uno in particolare con una mitraglia è salito sull’autobus puntando dritto verso il mio posto per farmi scendere. Un’operazione mirata».

Sapeva dov’era seduto?

«Il mio sequestro è stato organizzato e pianificato per bene. Hanno fermato l’autobus perché sapevano esattamente che ero seduto in quel determinato posto. Il mezzo era grande e pieno di gente. Il rapitore ha puntato direttamente su di me. Va anche considerato che ero vestito all’afghana, con la barba ed i capelli lunghi ed un turbante tipico del luogo. Le macchine fotografiche erano nascoste. Sembravo un afghano, se non fossero stati informati, nei dettagli, sarebbe stato difficile riconoscermi».

Pensa che Hanefi fosse coinvolto in qualche maniera nel sequestro?

«Non spetta a me dirlo, ma quando Hanefi venne arrestato dopo la liberazione di Mastrogiacomo ho tirato un sospiro di sollievo. Avevo in testa tanti punti interrogativi, che mi portavano ad Hanefi. Mi aspettavo che dall’arresto arrivassero delle risposte, ma poi le pressioni di Strada lo hanno fatto scarcerare e la vicenda si è chiusa».

Sapeva, che come ha dichiarato Strada, è stato proprio Hanefi a portare i due milioni di euro di riscatto per liberarla?

«No, l’ho scoperto quando Strada l’ha dichiarato alla stampa dopo l’arresto di Hanefi. Ho cercato di parlare con Strada, ma non ho mai avuto il privilegio di incontrarlo».

Nei 23 giorni del suo rapimento qual è stato il ruolo di Hanefi?

«Sono stato io a dare il numero di cellulare di Ramatullah ai rapitori, perché la faccenda non mi quadrava. Ho sempre pensato che qualcosa non andava con Hanefi. Lo ritenevo responsabile di avermi fatto prendere quel maledetto autobus. La banda era stata ingaggiata apposta per il mio rapimento. Lui ha cominciato a mediare. Dopo 23 giorni mi hanno messo bendato e incatenato nel portabagagli di una macchina. Ad un certo punto sono stato spostato su un altro mezzo senza le catene. Ho sentito una voce che mi diceva di togliermi la benda. Ero in una jeep bianca di Emergency e alla guida c’era Hanefi».

Ha tirato delle conclusioni su cosa è accaduto ieri e oggi a Lashkar Gah?

«La deduzione logica è che qualcosa di oscuro c’è sempre stato. Questo non significa che medici ed infermieri, che fanno un lavoro fantastico, siano coinvolti. Può essere, però, che qualcuno abbia abusato della neutralità dell’ospedale di Emergency. Se sono stati trovati armi ed esplosivi ed esistono dei dubbi, che hanno avuto origine fin dal mio caso non ci dovrebbero essere ostacoli a fornire chiarimenti e a far svolgere il proprio lavoro alle autorità afghane. Se non hai nulla da temere, qual è il problema?».

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12 aprile 2010 | Porta a porta | reportage
Duello senza peli sulla lingua con Strada
Gioco sporco e tinto di giallo sulla sorte dei tre volontari italiani di Emergency in manette con l’accusa di essere coinvolti in un complotto talebano per uccidere il governatore della provincia afghana di Helmand. Opsiti di punta: il ministro degli Esteri Franco Frattini , Piero Fassino del Pd e Gino Strada, fondatore di Emergency

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13 aprile 2010 | RaiNews24 | reportage
Rassegna stampa del mattino
Emergency in manette in Afghanistan

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20 maggio 2007 | Terra! | reportage
I due che non tornarono
Due “fantasmi” resteranno legati per sempre alla brutta storia del sequestro e della liberazione di Daniele Mastrogiacomo. I fantasmi degli ostaggi afghani, gli ostaggi di serie B, il cui sangue pesa meno di quello di un giornalista italiano, come ci hanno detto fra le lacrime i loro familiari ed in tanti a Kabul (…) Gente comune, interpreti ed autisti del circo mediatico che ha invaso per qualche settimana l’Afghanistan e si è dissolto quando il giornalista di Repubblica è tornato a casa sano e salvo. I due fantasmi di questa brutta storia si chiamano Sayed Agha e Adjmal Naskhbandi, i compagni di sventura afghani di Mastrogiacomo che non sono più tornati a casa. I tagliagole talebani non hanno avuto un briciolo di pietà a tagliare loro la testa in nome del Jihad, la guerra santa. (…) Non si capisce cosa aveva da esultare il giornalista italiano, il 20 marzo, quando è sceso dalla scaletta dell’aereo che lo aveva riportato in patria, alzando le braccia al cielo come se avesse vinto un incontro di pugilato all’ultimo round. Alle spalle, sul campo di battaglia, aveva lasciato sia i vivi che i morti: Sayed il suo autista decapitato quattro giorni prima e Adjmal l’interprete rimasto vivo, ma ancora nelle grinfie dei talebani. (…) Purtroppo con il destino già segnato di una condanna a morte che servirà solo a seminare ulteriore zizzania politica in Italia ed in Afghanistan. Fin dal 5 marzo, quando sono stati inghiottiti in tre nella palude talebana della provincia di Helmand, i riflettori erano puntati solo sull’ostaggio eccellente, Daniele Mastrogiacomo. (…) Una prassi nei casi di sequestro dove chi ha il tuo stesso passaporto vale di più dei disgraziati locali che si trascina dietro. Loro se la cavano, si pensa spesso, ma in questo caso non è stato così. Il miraggio di guadagnare un pugno di dollari accompagnando un giornalista straniero a caccia dello scoop l’hanno pagato con la vita. Sayed aveva 25 anni e quattro figli, di cui il più grande Atifah ha solo sei anni. L’ultimo, il quinto che la moglie rischiava di perdere quando ha saputo del sequestro del marito, è nato un giorno prima del funerale del padre. Sayed faceva l’autista e pensava che non fosse tanto rischioso portare in giro Mastrogiacomo in una zona che conosceva come le sue tasche, perché c’era nato e ci viveva. Invece non aveva fatto i conti giusti con i talebani che per vecchie ruggini familiari e con l’accusa di spionaggio l’hanno processato secondo la legge islamica e condannato a morte. (…) Il 16 marzo i tagliagole hanno detto ai tre ostaggi che andavano a fare un giro, ma Sayed doveva sentire che era arrivata la sua ultima ora. Quando l’hanno fatto inginocchiare, a fianco di Mastrogiacomo, nella sabbia, in tunica bianca e con una benda rossa sugli occhi, non si agitava, sembrava rassegnato. Il giudice islamico ha letto una sbrigativa sentenza in nome di Allah ed il boia al suo fianco ha buttato il poveretto nella polvere, di traverso, per decapitarlo meglio. Nella mano destra del boia è apparso un coltellaccio ricurvo per segargli il collo. Sul corpo inanimato della vittima, come se fosse un burattino sena fili i tagliagole solitamente appoggiano la testa e si fanno riprendere soddisfatti. Ci sono voluti 11 giorni ai familiari per recuperare la salma, senza testa, perché nessuno gli ha dato una mano. (…) “Tutto il mondo ci ha dimenticato e si è occupato solo del rilascio del giornalista italiano in cambio di cinque criminali. Sayed e Adjmal lavoravano con lo straniero. Lui è stato liberato e per gli afgani cosa si è fatto?” ci ha detto amaramente Mohammed Dawood il fratello dell’autista ucciso. Adjmal aveva 23 anni e si era sposato da poco. Faceva il giornalista, non solo l’interprete e nelle zone talebane c’era già stato. Non abbastanza per salvarsi la pelle ed evitare di finire in una trappola assieme all’inviato di Repubblica. Con Mastrogiacomo ha diviso le catene ed i dolori del sequestro. (…) Nello scambio con cinque prigionieri talebani detenuti nelle carceri afghane era previsto sia Mastrogiacomo che Adjmal. A tutti e due il capobastone dei tagliagole che li tenevano prigionieri aveva detto “siete liberi”. Invece qualcosa è andato storto e Adjmal non è più tornato a casa. Quando la sua anziana madre ha capito che era ancora ostaggio dei talebani ha avuto un infarto. (…) Per non turbare il successo a metà della liberazione di Mastrogiacomo la grancassa di Repubblica aveva annunciato anche la liberazione di Adjmal e gran parte dei media hanno abboccato all’amo, ma non era vero. Qualche giorno dopo, quando Adjmal mancava tristemente all’appello, sempre Repubblica ha cercato di accreditare la teoria che era stata la sicurezza afghana a farlo sparire per interrogarlo. Anche questa volta non era così. (…) I talebani volevano sfruttare ancora un po’ il povero interprete per tenere sulla graticola il governo di Kabul e quello di Roma, che a parole ha chiesto la liberazione di tutti, ma nei fatti si è portato a casa solo il giornalista italiano. “Sono felice per la liberazione di Daniele, perché la vita di un uomo è stata salvata da un pericolo mortale. Allo stesso tempo sono arrabbiato, perché non ci si è occupati con la stessa attenzione di mio fratello” ci diceva Munir Naskhbandi assieme ad amici e cugini quando il giovane interprete era ancora vivo. Tutti, però, sapevano che il governo del presidente afghano Hamid Karzai non avrebbe più liberato un solo talebano in cambio dell’ostaggio. Per non lasciarsi testimoni afgani alle spalle a dare un’ultima scossa i tagliagole hanno condannato a morte anche Adjmal. La decapitazione di rito è avvenuto un giorno qualsiasi per loro, ma ancora più amaro per noi, la domenica di Pasqua e resurrezione. Attorno ai fantasmi e all’unico sopravissuto di questa storia non mancano le zone d’ombra, che prima o poi andranno chiarite. Rahmattulah Hanefi, l’uomo di fiducia di Emergency, che ha fatto da mediatore è stato arrestato dai servizi segreti afghani il giorno dopo la liberazione di Mastrogiacomo. (…) Il fratello di Sayed Agha, l’autista decapitato, aveva puntato subito il dito contro di lui. Amrullah Saleh il capo dei servizi di Kabul è ancora più duro e dice: “Abbiamo le prove che Hanefi è un facilitatore dei talebani, se non addirittura un loro militante travestito da operatore umanitario”. (…) L’uomo di Emergency avrebbe fatto cadere in una trappola Mastrogiacomo, sarebbe stato una quinta colonna dei tagliagole e avrebbe abbandonato Adjmal al suo destino. Le prove, però, non si vedono e fino a quando non verranno rese note non sapremo se si tratta di una ritorsione contro Emergency troppo blanda con i talebani, oppure un’innominabile verità che schizzerebbe fango su tutti, compreso il governo italiano. Un’altra ombra di questa vicenda è il canale parallelo di mediazione ingaggiato da Repubblica fin dalle prime ore del sequestro. Uno strano free lance italo inglese, Claudio Franco e la sua spalla afgana, hanno mediato per la liberazione. (…) Gino Strada, fondatore di Emergency, sente puzza di servizi segreti e non vuole averne a che fare. La strana coppia rispunta nell’area riservata dell’aeroporto militare di Kabul, quando arriva Mastrogiacomo appena liberato ed in viaggio verso l’Italia. Qualcuno della Nato li ha appena “estratti” dal sud dell’Afghanistan. Franco scatta foto esclusive di Mastrogiacomo mentre sale sul Falcon della presidenza del Consiglio, che lo riporterà a casa. Le immagini non vengono mai pubblicate e sul canale parallelo di mediazione viene steso un velo di silenzio. C‘è voluto un negoziato per avere questa fotografia di Sayed Agha con tre dei suoi cinque bambini. Nell’immagine c’era pure la moglie, ma i familiari, da buoni pasthun, non potevano farla vedere a degli stranieri (…) per di più infedeli. Alla fine hanno tagliato via la moglie e sono rimasti i bambini. Non vedranno più loro padre, morto nella provincia di Helmand, in Afghanistan, (…) per fare l’autista ad un giornalista italiano, Noi preferiamo ricordarlo così, (…) da vivo, con i suoi figli.

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16 aprile 2010 | SBS Australia | intervento
Afghanistan
I tre di Emergency trasefriti nella capitale afghana
Trasferiti a Kabul i tre medici di Emergency. Sembrava che la soluzione fosse ancora lontana.

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13 aprile 2010 | SBS Radio Italian Language Programme | intervento
Afghanistan
Mistero Emergency
La Radio per gli italiani d'Australia intervista Strada, ma i misteri di Emergency cominciano con il rapimento del free lance Gabriele Torsello nel 2006 e dell'inviato di Repubblica, Daniele Mastrogiacomo, l'anno dopo, sempre nella provincia di Helmand.

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19 aprile 2010 | SBS Australia | intervento
Afghanistan
Liberati i tre operatori di Emergency
Svolta nella ultime ore dopo una settimana di passione.

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13 aprile 2010 | Radio Città Futura | intervento
Afghanistan
La sorte dei tre italiani di Emergency in manette
Gli uomini dei servizi afghani puntano il dito contro il chirurgo Marco Garatti e Matteo D’Aira, il capo infermiere, mentre il giovane Matteo Pagani non sarebbe coinvolto e potrebbe venir ben presto scagionato.

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16 aprile 2010 | Radio 24 | intervento
Afghanistan
I tre di Emergency a Kabul
Una svolta l'arrivo nella capitale afghana degli italiani arrestati e l'incontro con i diplomatici.

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