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Intervista
16 aprile 2010 - Esteri - Afghanistan - Il Giornale
Lady Emergency: ci piacerebbe parlare con Berlusconi
Cecilia Strada, 31 anni, presidente di Emergency e figlia di Gino, è il volto giovane dell'organizzazione non governativa milanese. Per la prima volta parla in esclusiva con Il Giornale.

Come giudica l'operato del governo italiano sul caso dei vostri tre operatori arrestati in Afghanistan?

«Al di là delle richieste non vedo grandi risposte da parte di Kabul. Sono certa che la nostra ambasciata stia facendo il massimo per uscire da questa imbarazzante situazione, ma consideriamo il fatto che in Afghanistan ci sono migliaia di nostri soldati che rischiano la vita ogni giorno. E talvolta ce la lasciano, purtroppo. Il ministro degli Esteri, Franco Frattini, dice che si tratta di un governo amico, ma bisogna capire se è amicizia a senso unico».

Solitamente vi opponete alla presenza del nostro contingente militare, ma in questo caso la fate pesare…

«Se si tratta di aiutare i bambini è meglio mandare dei pediatri, anziché dei militari. Rimane il fatto che in Afghanistan ci sono tre cittadini italiani prelevati dai servizi di sicurezza senza sapere quali sono le accuse formali e senza potere godere dell'assistenza legale. È inaudito».

Siete pronti ad affrontare un processo?

«Abbiamo incaricato un avvocato per ognuna delle persone coinvolte. Il responsabile del team legale è Afzel Nooristani. Io sono la prima a volere che i miei colleghi ed i sei afghani fermati vengano messi a disposizione della procura, che significa ufficialità, un magistrato e assistenza legale. Noi non pretendiamo di sottrarci alla giustizia afghana. Nel momento in cui compariranno davanti ad un magistrato penso che non verranno rinviati a giudizio, ma saranno rilasciati con tante scuse».

Suo padre, ieri, su «Repubblica» manteneva la linea dura. Non sarebbe meglio abbassare un po' i toni?

«Ci accusano di terrorismo e non dobbiamo reagire? Poi ognuno ha il suo stile di eloquio ed è libero di esprimere ciò che pensa. Rispondo di quello che dico io e non di quello che dice Gino».
È vero che vuole incontrare il presidente del Consiglio?

«Stiamo cercando di parlare con il presidente Berlusconi da qualche giorno. Hanno detto che era in viaggio negli Usa, ma che ci avrebbe contattato appena fosse stato possibile. Per ora non abbiamo ancora ricevuto una sua telefonata. Ci farebbe molto piacere parlare con lui».

Lei esclude, mettendo la mano sul fuoco, qualsiasi collusione con i talebani da parte dei vostri operatori?

«Certamente. Secondo me chiunque, con un minimo di buon senso, si rende conto che sono accuse ridicole».

Stesso discorso per il personale afghano arrestato?

«Anche per loro vale la presunzione di innocenza».

Gli italiani di Emergency potrebbero non essersi accorti che qualcuno portava armi ed esplosivi nell'ospedale?

«Non siamo la base di Bagram (la più grande roccaforte Usa in Afghanistan, nda). Abbiamo dei sistemi di sicurezza, perquisizioni all'ingresso e divieto assoluto ad introdurre armi, ma non certo body scanner. Chiunque può avere introdotto quelle armi in ospedale».

Anche i talebani?

«Sui talebani voglio essere molto chiara. Per me sono dei criminali e terroristi. La prima vittima dei talebani è la popolazione afghana. Vittime sono pure i soldati afghani e quelli della coalizione internazionale. Noi non siamo amici dei talebani. Non siamo amici di nessuno che faccia la guerra».

Molti dei nostri lettori sono convinti del contrario e che fate politica accusando sempre la Nato…

«Mi dispiace che ci sia questa impressione. Sull'ultimo numero del giornale di Emergency c'è un lungo articolo su un attentato talebano. Raccontiamo le nefandezze degli uni e degli altri. Da parte di criminali terroristi non mi aspetto che garantiscano i diritti umani. Invece lo pretendo da chi, in nome della democrazia e della pace, è presente in armi in Afghanistan».

Marco Garatti, uno dei tre arrestati, era in Afghanistan durante il sequestro del free lance Gabriele Torsello. Avete detto che per il rapimento di Daniele Mastrogiacomo, inviato di «Repubblica», si trovava in Sierra Leone, ma i servizi afghani hanno la memoria lunga. Pensate che possano saltare fuori accuse sul passato?

«Non ho idea di cosa ci potrebbero accusare, dato che non abbiamo fatto nulla di male».
Ramatullah Hanefi, l'ex responsabile del vostro ospedale a Lashkar Gah, ha mediato con i rapitori sia per Torsello che per Mastrogiacomo. Mette la mano sul fuoco che non sia una mela marcia?

«Hanefi è stato rilasciato (dopo 90 giorni di galera, nda), con tante scuse, dalla magistratura afghana. Devo presumere che sia completamente innocente».

Sappiamo tutti che è stato rilasciato per le pressioni del governo Prodi. Ma non ha risposto se mette la mano sul fuoco per Hanefi…

«Se l'Afghanistan è uno Stato di diritto dobbiamo affidarci alla decisione della magistratura afghana che lo ha scagionato. L'opinione di Cecilia Strada conta come il due di picche».
Hanefi è ancora in contatto con Emergency?

«Ha lasciato l'Afghanistan e non lavora più per noi. Voleva venire in Europa».

Lo avete aiutato?

«No, non l'abbiamo aiutato. Credo che abbia chiesto asilo politico in Germania».
Quando finirà questa brutta storia non sarebbe meglio fare del bene, ma sottovoce?

«A noi non piace stare zitti, perché la guerra ci fa orrore».

www.faustobiloslavo.eu

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16 aprile 2010 | SkyTG24 | reportage
Luci e ombre su Emergency in prima linea
Per la prima volta collegamento in diretta dal mio studio a Trieste. Gli altri ospiti sono: Luca Caracciolo di Limes, il sottosegretario agli Esteri Alfredo Mantica e l'ex generale Mauro Del Vecchio. In collegamento Maso Notarianni, direttore di Peacereporter

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20 maggio 2007 | Terra! | reportage
I due che non tornarono
Due “fantasmi” resteranno legati per sempre alla brutta storia del sequestro e della liberazione di Daniele Mastrogiacomo. I fantasmi degli ostaggi afghani, gli ostaggi di serie B, il cui sangue pesa meno di quello di un giornalista italiano, come ci hanno detto fra le lacrime i loro familiari ed in tanti a Kabul (…) Gente comune, interpreti ed autisti del circo mediatico che ha invaso per qualche settimana l’Afghanistan e si è dissolto quando il giornalista di Repubblica è tornato a casa sano e salvo. I due fantasmi di questa brutta storia si chiamano Sayed Agha e Adjmal Naskhbandi, i compagni di sventura afghani di Mastrogiacomo che non sono più tornati a casa. I tagliagole talebani non hanno avuto un briciolo di pietà a tagliare loro la testa in nome del Jihad, la guerra santa. (…) Non si capisce cosa aveva da esultare il giornalista italiano, il 20 marzo, quando è sceso dalla scaletta dell’aereo che lo aveva riportato in patria, alzando le braccia al cielo come se avesse vinto un incontro di pugilato all’ultimo round. Alle spalle, sul campo di battaglia, aveva lasciato sia i vivi che i morti: Sayed il suo autista decapitato quattro giorni prima e Adjmal l’interprete rimasto vivo, ma ancora nelle grinfie dei talebani. (…) Purtroppo con il destino già segnato di una condanna a morte che servirà solo a seminare ulteriore zizzania politica in Italia ed in Afghanistan. Fin dal 5 marzo, quando sono stati inghiottiti in tre nella palude talebana della provincia di Helmand, i riflettori erano puntati solo sull’ostaggio eccellente, Daniele Mastrogiacomo. (…) Una prassi nei casi di sequestro dove chi ha il tuo stesso passaporto vale di più dei disgraziati locali che si trascina dietro. Loro se la cavano, si pensa spesso, ma in questo caso non è stato così. Il miraggio di guadagnare un pugno di dollari accompagnando un giornalista straniero a caccia dello scoop l’hanno pagato con la vita. Sayed aveva 25 anni e quattro figli, di cui il più grande Atifah ha solo sei anni. L’ultimo, il quinto che la moglie rischiava di perdere quando ha saputo del sequestro del marito, è nato un giorno prima del funerale del padre. Sayed faceva l’autista e pensava che non fosse tanto rischioso portare in giro Mastrogiacomo in una zona che conosceva come le sue tasche, perché c’era nato e ci viveva. Invece non aveva fatto i conti giusti con i talebani che per vecchie ruggini familiari e con l’accusa di spionaggio l’hanno processato secondo la legge islamica e condannato a morte. (…) Il 16 marzo i tagliagole hanno detto ai tre ostaggi che andavano a fare un giro, ma Sayed doveva sentire che era arrivata la sua ultima ora. Quando l’hanno fatto inginocchiare, a fianco di Mastrogiacomo, nella sabbia, in tunica bianca e con una benda rossa sugli occhi, non si agitava, sembrava rassegnato. Il giudice islamico ha letto una sbrigativa sentenza in nome di Allah ed il boia al suo fianco ha buttato il poveretto nella polvere, di traverso, per decapitarlo meglio. Nella mano destra del boia è apparso un coltellaccio ricurvo per segargli il collo. Sul corpo inanimato della vittima, come se fosse un burattino sena fili i tagliagole solitamente appoggiano la testa e si fanno riprendere soddisfatti. Ci sono voluti 11 giorni ai familiari per recuperare la salma, senza testa, perché nessuno gli ha dato una mano. (…) “Tutto il mondo ci ha dimenticato e si è occupato solo del rilascio del giornalista italiano in cambio di cinque criminali. Sayed e Adjmal lavoravano con lo straniero. Lui è stato liberato e per gli afgani cosa si è fatto?” ci ha detto amaramente Mohammed Dawood il fratello dell’autista ucciso. Adjmal aveva 23 anni e si era sposato da poco. Faceva il giornalista, non solo l’interprete e nelle zone talebane c’era già stato. Non abbastanza per salvarsi la pelle ed evitare di finire in una trappola assieme all’inviato di Repubblica. Con Mastrogiacomo ha diviso le catene ed i dolori del sequestro. (…) Nello scambio con cinque prigionieri talebani detenuti nelle carceri afghane era previsto sia Mastrogiacomo che Adjmal. A tutti e due il capobastone dei tagliagole che li tenevano prigionieri aveva detto “siete liberi”. Invece qualcosa è andato storto e Adjmal non è più tornato a casa. Quando la sua anziana madre ha capito che era ancora ostaggio dei talebani ha avuto un infarto. (…) Per non turbare il successo a metà della liberazione di Mastrogiacomo la grancassa di Repubblica aveva annunciato anche la liberazione di Adjmal e gran parte dei media hanno abboccato all’amo, ma non era vero. Qualche giorno dopo, quando Adjmal mancava tristemente all’appello, sempre Repubblica ha cercato di accreditare la teoria che era stata la sicurezza afghana a farlo sparire per interrogarlo. Anche questa volta non era così. (…) I talebani volevano sfruttare ancora un po’ il povero interprete per tenere sulla graticola il governo di Kabul e quello di Roma, che a parole ha chiesto la liberazione di tutti, ma nei fatti si è portato a casa solo il giornalista italiano. “Sono felice per la liberazione di Daniele, perché la vita di un uomo è stata salvata da un pericolo mortale. Allo stesso tempo sono arrabbiato, perché non ci si è occupati con la stessa attenzione di mio fratello” ci diceva Munir Naskhbandi assieme ad amici e cugini quando il giovane interprete era ancora vivo. Tutti, però, sapevano che il governo del presidente afghano Hamid Karzai non avrebbe più liberato un solo talebano in cambio dell’ostaggio. Per non lasciarsi testimoni afgani alle spalle a dare un’ultima scossa i tagliagole hanno condannato a morte anche Adjmal. La decapitazione di rito è avvenuto un giorno qualsiasi per loro, ma ancora più amaro per noi, la domenica di Pasqua e resurrezione. Attorno ai fantasmi e all’unico sopravissuto di questa storia non mancano le zone d’ombra, che prima o poi andranno chiarite. Rahmattulah Hanefi, l’uomo di fiducia di Emergency, che ha fatto da mediatore è stato arrestato dai servizi segreti afghani il giorno dopo la liberazione di Mastrogiacomo. (…) Il fratello di Sayed Agha, l’autista decapitato, aveva puntato subito il dito contro di lui. Amrullah Saleh il capo dei servizi di Kabul è ancora più duro e dice: “Abbiamo le prove che Hanefi è un facilitatore dei talebani, se non addirittura un loro militante travestito da operatore umanitario”. (…) L’uomo di Emergency avrebbe fatto cadere in una trappola Mastrogiacomo, sarebbe stato una quinta colonna dei tagliagole e avrebbe abbandonato Adjmal al suo destino. Le prove, però, non si vedono e fino a quando non verranno rese note non sapremo se si tratta di una ritorsione contro Emergency troppo blanda con i talebani, oppure un’innominabile verità che schizzerebbe fango su tutti, compreso il governo italiano. Un’altra ombra di questa vicenda è il canale parallelo di mediazione ingaggiato da Repubblica fin dalle prime ore del sequestro. Uno strano free lance italo inglese, Claudio Franco e la sua spalla afgana, hanno mediato per la liberazione. (…) Gino Strada, fondatore di Emergency, sente puzza di servizi segreti e non vuole averne a che fare. La strana coppia rispunta nell’area riservata dell’aeroporto militare di Kabul, quando arriva Mastrogiacomo appena liberato ed in viaggio verso l’Italia. Qualcuno della Nato li ha appena “estratti” dal sud dell’Afghanistan. Franco scatta foto esclusive di Mastrogiacomo mentre sale sul Falcon della presidenza del Consiglio, che lo riporterà a casa. Le immagini non vengono mai pubblicate e sul canale parallelo di mediazione viene steso un velo di silenzio. C‘è voluto un negoziato per avere questa fotografia di Sayed Agha con tre dei suoi cinque bambini. Nell’immagine c’era pure la moglie, ma i familiari, da buoni pasthun, non potevano farla vedere a degli stranieri (…) per di più infedeli. Alla fine hanno tagliato via la moglie e sono rimasti i bambini. Non vedranno più loro padre, morto nella provincia di Helmand, in Afghanistan, (…) per fare l’autista ad un giornalista italiano, Noi preferiamo ricordarlo così, (…) da vivo, con i suoi figli.

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12 aprile 2010 | Porta a porta | reportage
Duello senza peli sulla lingua con Strada
Gioco sporco e tinto di giallo sulla sorte dei tre volontari italiani di Emergency in manette con l’accusa di essere coinvolti in un complotto talebano per uccidere il governatore della provincia afghana di Helmand. Opsiti di punta: il ministro degli Esteri Franco Frattini , Piero Fassino del Pd e Gino Strada, fondatore di Emergency

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13 aprile 2010 | SBS Radio Italian Language Programme | intervento
Afghanistan
Mistero Emergency
La Radio per gli italiani d'Australia intervista Strada, ma i misteri di Emergency cominciano con il rapimento del free lance Gabriele Torsello nel 2006 e dell'inviato di Repubblica, Daniele Mastrogiacomo, l'anno dopo, sempre nella provincia di Helmand.

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12 aprile 2010 | Rai Radio3 | intervento
Afghanistan
Smentito il Times
Il portavoce del governatore di Helmand, contattato telefonicamente da Il Giornale, ha smentito i virgoletatti del Times. “Non ho mai accusato gli italiani di Emergency di essere in combutta con al Qaida – ha ribadito – Ho solo detto sabato (come riportato da Il Giornale) che Marco (il chirurgo dell’ong fermato nda) stava collaborando e rispondendo alle domande”. IN STUDIO CECILIA STRADA PRESIDENTE DI EMERGENCY.

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12 aprile 2010 | Radio 24 | intervento
Afghanistan
Giallo sulla confessione di Emergency
Gioco sporco e tinto di giallo sula sorte dei tre volontari italiani di Emergency in manette con l’accusa di essere coinvolti in un complotto talebano per uccidere il governatore della provincia afghana di Helmand.

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19 aprile 2010 | SBS Australia | intervento
Afghanistan
Liberati i tre operatori di Emergency
Svolta nella ultime ore dopo una settimana di passione.

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16 aprile 2010 | SBS Australia | intervento
Afghanistan
I tre di Emergency trasefriti nella capitale afghana
Trasferiti a Kabul i tre medici di Emergency. Sembrava che la soluzione fosse ancora lontana.

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