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Commento
24 aprile 2010 - Prima - Afghanistan - Il Giornale
Ma l'intoccabile Gino attacca chi fa soltanto il suo lavoro
Gino Strada e la sua banda di intoccabili ci dichiarano «guerra» con una strombazzata querela. Durante una conferenza stampa il fondatore di Emergency sventola un paio di prime pagine del Giornale sulla settimana di passione dei tre «martiri» dell'Ong arrestati in Afghanistan. La nostra colpa è di essere stati gli unici a sbugiardare il Times di Londra sull'annunciata confessione di Marco Garatti, Matteo Dell'Aira e Matteo Pagani di essere in combutta con il terrorismo talebano. E di aver riportato altre notizie di presunte prove in mano ai servizi afghani conosciute dal governo italiano. In pratica siamo rei di aver fatto i giornalisti, spesso un passo avanti rispetto agli altri giornali. Per questo, a sua volta, il Giornale querelerà Strada.

La prima pagina additata al pubblico disprezzo è quella con il titolo «Gli amici di Strada, confessione shock». Peccato che Gino l'intoccabile non legga il lungo articolo che dalla prima sfocia all'interno, dove il titolo su sette colonne centra la notizia: «Gli uomini di Strada confessano. Anzi no». Il testo è firmato da chi scrive, come gran parte dei pezzi esclusivi sull'ennesima puntata degli «incidenti» di Emergency in Afghanistan. A 24 ore dall'arresto dei tre italiani, quando lo stesso ministro degli Esteri, Franco Frattini, prende le distanze, il Giornale-spazzatura, come ci bolla Strada, scopre le carte di uno sporco gioco ai danni degli arrestati.
Il giorno dopo tutti i giornaloni italiani escono con la notizia della confessione in ampia evidenza. Non risulta che Gino l'intoccabile abbia querelato pure loro. E se non bastasse la stessa mattina Cecilia Strada, figlia del fondatore di Emergency, presidente dell'ong, mi ringrazia in diretta a Rai Radio 3 (si può ascoltare sul mio sito).

Gino sventola, con meno enfasi, anche un'altra esclusiva del Giornale, che parla di un'intercettazione dei servizi afghani ai danni di Garatti. Per almeno cinque giorni gli 007 di Kabul hanno parlato di prove di tutti i generi che incastravano senza speranza i tre di Emergency. Strada, miope come sempre, si guarda bene dal leggere questo passaggio del pezzo incriminato: «Secondo l'intelligence afghana l'intercettazione è una delle prove cardine del coinvolgimento di Garatti. Tutti quelli che lo hanno conosciuto, compreso chi scrive, stenta a crederlo». Non solo: fin dal primo giorno ho scritto sul Giornale e detto in televisione e alla radio che «non credevo alla storia dei tre terroristi in camice bianco». Invece sono sempre stato convinto che Emergency abbia molto da chiarire sul vero ruolo di Ramatullah Hanefi, il loro ex responsabile locale all'ospedale di Lashkar Gah, nei sequestri del fotografo Gabriele Torsello e dell'inviato di Repubblica Daniele Mastrogiacomo. E sono altrettanto convinto che gli intoccabili dell'ong milanese sparano a zero contro la Nato, ma denunciano di meno i crimini dei talebani. Addirittura mettendo sullo stesso piano i soldati dell'Alleanza atlantica, compresi i nostri, e i terroristi. Per non parlare del fatto che nessuno si chiede più chi abbia messo le armi nell'ospedale e perché.
A Gino Strada e Peacereporter, costola mediatica di Emergency, piace solo la loro Verità con la V maiuscola, come se fossero la Pravda. Oltre alle querele sibilano velate minacce. L'editto milanese di ieri non lascia dubbi: «È stato aperto un fascicolo per calunnia contro ignoti afghani, mi piacerebbe, invece, che ne venisse aperto un altro contro nostri concittadini notissimi». Il monito di Gino in versione Travaglio è chiaro: gogna giudiziaria per il direttore del Giornale, Vittorio Feltri, quello di Libero, Maurizio Belpietro e politici vari («personaggi notissimi»). Se mai accadesse mi costituisco ai carabinieri. E mi dichiaro prigioniero d'opinione per avere raccolto notizie esclusive (talvolta a favore di Emergency) facendo il giornalista senza guardare in faccia nessuno.

Strada ci chiede di pubblicare titoli assolutori sui tre «martiri» di Lashkar Gah. Peccato che Emergency non abbia ancora risposto alla richiesta di un'intervista a tutto campo, con il chirurgo Garatti, avanzata da giorni via Cecilia Strada. Aspettiamo fiduciosi che il liberato si conceda, per porgli delle domande su alcune novità di questa storiaccia come il doppio gioco di qualcuno.
L'obiettivo vero dei duri e puri di Emergency è mettere a tacere o screditare chi critica San Gino e gli fa le pulci. Un vecchio sistema stile Kgb, che aveva cercato di fare lo stesso quando mi catturarono in Afghanistan, durante l'invasione sovietica. La mia colpa era raccontare la guerra in prima linea seguendo i mujaheddin. Quella volta le nostre autorità, che non smetterò mai di ringraziare, ci hanno messo sette mesi a tirarmi fuori dalle galere di Kabul. Non sette giorni, come gli intoccabili di Emergency.

www.faustobiloslavo.eu
[continua]

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16 aprile 2010 | SkyTG24 | reportage
Luci e ombre su Emergency in prima linea
Per la prima volta collegamento in diretta dal mio studio a Trieste. Gli altri ospiti sono: Luca Caracciolo di Limes, il sottosegretario agli Esteri Alfredo Mantica e l'ex generale Mauro Del Vecchio. In collegamento Maso Notarianni, direttore di Peacereporter

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13 aprile 2010 | RaiNews24 | reportage
Rassegna stampa del mattino
Emergency in manette in Afghanistan

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20 maggio 2007 | Terra! | reportage
I due che non tornarono
Due “fantasmi” resteranno legati per sempre alla brutta storia del sequestro e della liberazione di Daniele Mastrogiacomo. I fantasmi degli ostaggi afghani, gli ostaggi di serie B, il cui sangue pesa meno di quello di un giornalista italiano, come ci hanno detto fra le lacrime i loro familiari ed in tanti a Kabul (…) Gente comune, interpreti ed autisti del circo mediatico che ha invaso per qualche settimana l’Afghanistan e si è dissolto quando il giornalista di Repubblica è tornato a casa sano e salvo. I due fantasmi di questa brutta storia si chiamano Sayed Agha e Adjmal Naskhbandi, i compagni di sventura afghani di Mastrogiacomo che non sono più tornati a casa. I tagliagole talebani non hanno avuto un briciolo di pietà a tagliare loro la testa in nome del Jihad, la guerra santa. (…) Non si capisce cosa aveva da esultare il giornalista italiano, il 20 marzo, quando è sceso dalla scaletta dell’aereo che lo aveva riportato in patria, alzando le braccia al cielo come se avesse vinto un incontro di pugilato all’ultimo round. Alle spalle, sul campo di battaglia, aveva lasciato sia i vivi che i morti: Sayed il suo autista decapitato quattro giorni prima e Adjmal l’interprete rimasto vivo, ma ancora nelle grinfie dei talebani. (…) Purtroppo con il destino già segnato di una condanna a morte che servirà solo a seminare ulteriore zizzania politica in Italia ed in Afghanistan. Fin dal 5 marzo, quando sono stati inghiottiti in tre nella palude talebana della provincia di Helmand, i riflettori erano puntati solo sull’ostaggio eccellente, Daniele Mastrogiacomo. (…) Una prassi nei casi di sequestro dove chi ha il tuo stesso passaporto vale di più dei disgraziati locali che si trascina dietro. Loro se la cavano, si pensa spesso, ma in questo caso non è stato così. Il miraggio di guadagnare un pugno di dollari accompagnando un giornalista straniero a caccia dello scoop l’hanno pagato con la vita. Sayed aveva 25 anni e quattro figli, di cui il più grande Atifah ha solo sei anni. L’ultimo, il quinto che la moglie rischiava di perdere quando ha saputo del sequestro del marito, è nato un giorno prima del funerale del padre. Sayed faceva l’autista e pensava che non fosse tanto rischioso portare in giro Mastrogiacomo in una zona che conosceva come le sue tasche, perché c’era nato e ci viveva. Invece non aveva fatto i conti giusti con i talebani che per vecchie ruggini familiari e con l’accusa di spionaggio l’hanno processato secondo la legge islamica e condannato a morte. (…) Il 16 marzo i tagliagole hanno detto ai tre ostaggi che andavano a fare un giro, ma Sayed doveva sentire che era arrivata la sua ultima ora. Quando l’hanno fatto inginocchiare, a fianco di Mastrogiacomo, nella sabbia, in tunica bianca e con una benda rossa sugli occhi, non si agitava, sembrava rassegnato. Il giudice islamico ha letto una sbrigativa sentenza in nome di Allah ed il boia al suo fianco ha buttato il poveretto nella polvere, di traverso, per decapitarlo meglio. Nella mano destra del boia è apparso un coltellaccio ricurvo per segargli il collo. Sul corpo inanimato della vittima, come se fosse un burattino sena fili i tagliagole solitamente appoggiano la testa e si fanno riprendere soddisfatti. Ci sono voluti 11 giorni ai familiari per recuperare la salma, senza testa, perché nessuno gli ha dato una mano. (…) “Tutto il mondo ci ha dimenticato e si è occupato solo del rilascio del giornalista italiano in cambio di cinque criminali. Sayed e Adjmal lavoravano con lo straniero. Lui è stato liberato e per gli afgani cosa si è fatto?” ci ha detto amaramente Mohammed Dawood il fratello dell’autista ucciso. Adjmal aveva 23 anni e si era sposato da poco. Faceva il giornalista, non solo l’interprete e nelle zone talebane c’era già stato. Non abbastanza per salvarsi la pelle ed evitare di finire in una trappola assieme all’inviato di Repubblica. Con Mastrogiacomo ha diviso le catene ed i dolori del sequestro. (…) Nello scambio con cinque prigionieri talebani detenuti nelle carceri afghane era previsto sia Mastrogiacomo che Adjmal. A tutti e due il capobastone dei tagliagole che li tenevano prigionieri aveva detto “siete liberi”. Invece qualcosa è andato storto e Adjmal non è più tornato a casa. Quando la sua anziana madre ha capito che era ancora ostaggio dei talebani ha avuto un infarto. (…) Per non turbare il successo a metà della liberazione di Mastrogiacomo la grancassa di Repubblica aveva annunciato anche la liberazione di Adjmal e gran parte dei media hanno abboccato all’amo, ma non era vero. Qualche giorno dopo, quando Adjmal mancava tristemente all’appello, sempre Repubblica ha cercato di accreditare la teoria che era stata la sicurezza afghana a farlo sparire per interrogarlo. Anche questa volta non era così. (…) I talebani volevano sfruttare ancora un po’ il povero interprete per tenere sulla graticola il governo di Kabul e quello di Roma, che a parole ha chiesto la liberazione di tutti, ma nei fatti si è portato a casa solo il giornalista italiano. “Sono felice per la liberazione di Daniele, perché la vita di un uomo è stata salvata da un pericolo mortale. Allo stesso tempo sono arrabbiato, perché non ci si è occupati con la stessa attenzione di mio fratello” ci diceva Munir Naskhbandi assieme ad amici e cugini quando il giovane interprete era ancora vivo. Tutti, però, sapevano che il governo del presidente afghano Hamid Karzai non avrebbe più liberato un solo talebano in cambio dell’ostaggio. Per non lasciarsi testimoni afgani alle spalle a dare un’ultima scossa i tagliagole hanno condannato a morte anche Adjmal. La decapitazione di rito è avvenuto un giorno qualsiasi per loro, ma ancora più amaro per noi, la domenica di Pasqua e resurrezione. Attorno ai fantasmi e all’unico sopravissuto di questa storia non mancano le zone d’ombra, che prima o poi andranno chiarite. Rahmattulah Hanefi, l’uomo di fiducia di Emergency, che ha fatto da mediatore è stato arrestato dai servizi segreti afghani il giorno dopo la liberazione di Mastrogiacomo. (…) Il fratello di Sayed Agha, l’autista decapitato, aveva puntato subito il dito contro di lui. Amrullah Saleh il capo dei servizi di Kabul è ancora più duro e dice: “Abbiamo le prove che Hanefi è un facilitatore dei talebani, se non addirittura un loro militante travestito da operatore umanitario”. (…) L’uomo di Emergency avrebbe fatto cadere in una trappola Mastrogiacomo, sarebbe stato una quinta colonna dei tagliagole e avrebbe abbandonato Adjmal al suo destino. Le prove, però, non si vedono e fino a quando non verranno rese note non sapremo se si tratta di una ritorsione contro Emergency troppo blanda con i talebani, oppure un’innominabile verità che schizzerebbe fango su tutti, compreso il governo italiano. Un’altra ombra di questa vicenda è il canale parallelo di mediazione ingaggiato da Repubblica fin dalle prime ore del sequestro. Uno strano free lance italo inglese, Claudio Franco e la sua spalla afgana, hanno mediato per la liberazione. (…) Gino Strada, fondatore di Emergency, sente puzza di servizi segreti e non vuole averne a che fare. La strana coppia rispunta nell’area riservata dell’aeroporto militare di Kabul, quando arriva Mastrogiacomo appena liberato ed in viaggio verso l’Italia. Qualcuno della Nato li ha appena “estratti” dal sud dell’Afghanistan. Franco scatta foto esclusive di Mastrogiacomo mentre sale sul Falcon della presidenza del Consiglio, che lo riporterà a casa. Le immagini non vengono mai pubblicate e sul canale parallelo di mediazione viene steso un velo di silenzio. C‘è voluto un negoziato per avere questa fotografia di Sayed Agha con tre dei suoi cinque bambini. Nell’immagine c’era pure la moglie, ma i familiari, da buoni pasthun, non potevano farla vedere a degli stranieri (…) per di più infedeli. Alla fine hanno tagliato via la moglie e sono rimasti i bambini. Non vedranno più loro padre, morto nella provincia di Helmand, in Afghanistan, (…) per fare l’autista ad un giornalista italiano, Noi preferiamo ricordarlo così, (…) da vivo, con i suoi figli.

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radio

13 aprile 2010 | SBS Radio Italian Language Programme | intervento
Afghanistan
Mistero Emergency
La Radio per gli italiani d'Australia intervista Strada, ma i misteri di Emergency cominciano con il rapimento del free lance Gabriele Torsello nel 2006 e dell'inviato di Repubblica, Daniele Mastrogiacomo, l'anno dopo, sempre nella provincia di Helmand.

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16 aprile 2010 | SBS Australia | intervento
Afghanistan
I tre di Emergency trasefriti nella capitale afghana
Trasferiti a Kabul i tre medici di Emergency. Sembrava che la soluzione fosse ancora lontana.

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19 aprile 2010 | SBS Australia | intervento
Afghanistan
Liberati i tre operatori di Emergency
Svolta nella ultime ore dopo una settimana di passione.

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16 aprile 2010 | Radio 24 | intervento
Afghanistan
I tre di Emergency a Kabul
Una svolta l'arrivo nella capitale afghana degli italiani arrestati e l'incontro con i diplomatici.

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12 aprile 2010 | Rai Radio3 | intervento
Afghanistan
Smentito il Times
Il portavoce del governatore di Helmand, contattato telefonicamente da Il Giornale, ha smentito i virgoletatti del Times. “Non ho mai accusato gli italiani di Emergency di essere in combutta con al Qaida – ha ribadito – Ho solo detto sabato (come riportato da Il Giornale) che Marco (il chirurgo dell’ong fermato nda) stava collaborando e rispondendo alle domande”. IN STUDIO CECILIA STRADA PRESIDENTE DI EMERGENCY.

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